8-Guardiano

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Si sposta. Si ferma. Scatta. Si arresta. Osservo la lancetta. In tutti questi anni non l'ho vista ferma una sola volta. Giorno dopo giorno, incessantemente, continua il suo movimento. Un moto alternato. Indeciso. È un vecchio orologio quello dell'atrio. A pensarci bene non stona con quanto ha intorno. Non è solo una data a dare alla nostra scuola un aspetto tanto antico, sono gli ambienti. Le stanze sono molto ampie, gli elementi interni penso siano rimasti invariati da quasi un secolo. L'eco. Mi è capitato di camminare da solo per i lunghi corridoi, il primo ad entrare o l'ultimo ad uscire dalla classe. Per quanto cerchi di fare passi leggeri il rumore delle scarpe mi risuona intorno. Come un lamento delle pareti, disturbate da quello scalpiccio mattutino. Se provassi ad immaginare questi spazi con le luci spente, deboli raggi di sole che filtrano dalle tende, mi sembrerebbe di muovermi in un museo. Una teca dei trofei vinti dalla scuola giace in un angolo. Fissate al muro, bacheche traboccanti di schede informative, perfette raffigurazioni del lavoro sprecato. Il vetro opaco delle porte delle aule, capace di distorcere la realtà. Trasformare in spettro la sagoma più elegante.

Attesa. Sono appoggiato al muro, appena superato l'ingresso. Mi confondo tra gli altri studenti. Lei sta consultando la piantina delle classi e la lista dei professori, appese in fondo all'atrio. Il suo dito scorre sulla carta come la lancetta nel quadrante dell'orologio. Con il passare dei secondi mi avvicino sempre più ad un possibile snodo. Abbassa il dito e continua a fissare i fogli. Tic. Fa scivolare una delle spalline dello zaino per prendere l'agenda, insieme ad una penna a sfera, dalla piccola tasca posteriore. Toc. La copertina è blu, tenuta chiusa da un elastico nero. Tic. Sfoglia le pagine, anche da questa distanza posso intravedere numerosi post-it. Si ferma ad una pagina precisa e annota qualcosa. Nella sua mano, la penna danza in sincronia con la lancetta. Toc. Chiude il diario. Lo mette via.

Fino ad un attimo fa, anche il mio cuore scandiva il tempo, ma adesso rischierei di accelerarlo. In quanti sottoinsiemi potrei dividere i suoi movimenti, i suoi gesti? Sposta il peso da una gamba all'altra. Si sistema il cappotto. Scosta una ciocca ribelle dal viso. Cerca con lo sguardo la direzione da prendere. Sono il pavimento che regge il suo peso ora. Sono il tessuto tirato dalle sue mani. Sono quei capelli, sfiorati ancora una volta dalla sua pelle. Quanto ancora in profondità, pur di ritardare la verità? Trattengo il fiato. In mezzo a tante persone, statue ora, si muove lei. Ecco il vero museo. Sagome di marmo che la osservano in silenzio. Un singolo visitatore. Da sola, si muove indisturbata, imprevedibile. 

Accettazione. Se si prolunga troppo un momento di tensione, di agitazione, esso finirà per mescolarsi con la tranquillità, con la normale routine. Non siamo fatti per sopportare oltre un certo limite lo stress. Onestamente, vorrei davvero che fosse così. Poiché un macigno sembra pesare sopra di me da quando ho incontrato i suoi occhi su quell'autobus. Si muove. La seguo.

Non siamo più da soli. Anche lei si confonde tra gli studenti adesso. Saliamo le rampe di scale. Un'ascesa apparentemente infinita. Per tutto il tempo abbiamo camminato, mai troppo lontani l'uno dall'altra, in un labirinto. Svolte si sono susseguite. Le scelte erano sempre limitate, ma non per questo potevo prevedere il risultato di quel cammino. Siamo alla fine di questo dedalo ormai.

Si ferma al primo piano. Il mio. Comincia a percorrere il corridoio. Non sento il caratteristico rimbombare dei nostri passi. Il dolore causato dalla lama che mi trafigge il cuore copre ogni cosa. Speranza. Un'arma a doppio taglio. Ma allora perché già la sento scavare dentro la mia carne? Come se sapessi in anticipo di essermi sbagliato. Su tutto. La mia classe è sempre più vicina. Ancora, pochi passi avanti a me, c'è lei. Mi precede in questo sogno.


-Ad un passo dalla "rivelazione" si chiude quest'ottavo episodio. Commentate e ditemi cosa ne pensate :) -





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