3. Capitolo tre

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Il cielo grigio e cupo rispecchiava per intero il mio stato d'animo.
Il progetto che avrei dovuto intraprendere con Licht Butler sarebbe cominciato a breve e da come avevamo iniziato, potevo già capire che non sarebbe stato per niente facile. Camminai veloce tra i passanti cercando di non inciampare: ero nervosa e il mio corpo non riusciva a mascherare l'ansia che si era insediata in me, nel sapere di dover incontrare insieme al mio capo il giovane scrittore.
Quando entrai nella tavola calda a qualche isolato dagli uffici, sospirai profondamente e chiusi gli occhi; non potevo permettermi nessun tipo d'errore, dovevo stare calma e concentrata sul mio lavoro più che sull'insolenza del mio nuovo conoscente.
I tavolini e le sedie in legno rendevano l'ambiente confortevole, i miei nervi si rilassarono quando la temperatura del locale mi riscaldò e istantaneamente, pensai che alla fine potevo farcela. Sbuffai e lasciai uscire una leggera nuvola d'aria dalle mie labbra tremolanti mentre mi dirigevo al tavolo prenotato per il pranzo di lavoro.
I miei occhi passarono in rassegna i volti dei clienti abituali di quel piccolo pub fin quando non notai una chioma nera e lucida: Mr. Butler era già lì; tra le mani aveva un libro dalla copertina rigida e lo sguardo attento, seguiva ogni parola di ciò che stava leggendo con trasporto.
Quando mi avvicinai, senza alzare gli occhi da quelle pagine, parlò a bassa voce.
«Mark verrà con dieci minuti di ritardo, doveva occuparsi della presentazione di un libro in uscita» fece una pausa e lentamente chiuse il romanzo rivelando una vecchia stesura di 'Romeo e Giulietta' di Shakespeare, «Se le va potremmo iniziare noi» sorrise debolmente quando il suo sguardo si fissò nel mio, annuii a quella proposta e presi posto difronte a lui più inquieta di prima.
«Ha fame?» chiese poi d'un tratto apprensivo. «Mi piacerebbe aspettare Mr. Smith se non le dispiace.» abbozzai un sorriso e cercai di allontanare quella sensazione di disagio che attanagliava il mio stomaco.
«Bene, allora credo che potremmo iniziare a parlare del mio libro, Miss Murray» unì velocemente le mani davanti a se incrociando le dita affusolate.
«Innanzitutto vorrei dirle che preferirei che lei fosse sempre onesta e sincera con me, e che mi dica tutto ciò che pensa della mia scrittura senza problemi, intesi?» il suo sguardo spensierato aveva lasciato posto ad uno sguardo duro e autoritario, velocemente aveva cambiato umore e solo parlando della sua scrittura, aveva perso quella dolcezza che poco prima gli contornava il viso, proprio come era capitato qualche ora addietro in sala conferenze.
Abbassai lo sguardo sentendomi quasi estranea a quella conversazione. Sospirai lentamente e cercai di non mostrare le mie perplessità anche se -impercettibilmente- un leggero brivido mi pervase la schiena rivelando quanto in realtà fossi tesa.
«Non avrei provato a nasconderle il mio punto di vista Mr. Butler. Come le accennavo prima, credo molto nel mio lavoro e la sincerità è il primo passo per un ottimo risultato.» Parlai velocemente senza rendermi conto che molto probabilmente, ero stata troppo schietta.
Spesso mi capitava di mettermi sulla difensiva quando qualcuno provava a screditare il mio lavoro e sentendomi colpita nel profondo, non riuscivo a nascondere lo sdegno.
«Mi sembra nervosa, lei pensa che io sia inopportuno?» a quella domanda mi si gelò il sangue nelle vene.
Avrei voluto chiedergli il perchè non si fidasse di me quando poi era stato lui a scegliermi come tirocinante, e ancora, avrei voluto chiedergli il perchè di quel cambiamento del tono di voce quando parlava del suo libro. Ero incuriosita dal suo oscurarsi, ero totalmente interessata al cambio repentino del suo volto che indugiai qualche secondo di troppo sulle sue labbra strette in due fessure severe.
«Come ha fatto a capire che ero arrivata senza neanche alzare lo sguardo?» dissi cercando di cambiare discorso focalizzando la mia attenzione sulle sue grandi mani.
Se fino ad allora le dita erano state intrecciate tra loro, in quel momento giocavano libere sul tavolo, tamburellando una timida melodia cadenzata. 
Chiuse un secondo gli occhi e quando li riaprì li puntò sulle mie labbra schiuse in attesa di una risposta.
«Ho riconosciuto il suo profumo, miele giusto?» la calma apparente che lo aveva lasciato pochi attimi prima, adesso abitava nuovamente la sua voce smorzandola.
Mi agitai sulla sedia e incredula annuii ancora. Mi voltai verso una cameriera che stava passando al mio fianco e le chiesi di portare dell'acqua; la gola mi si era infiammata e sotto lo sguardo dello scrittore le mie labbra si erano seccate.
«Le piacciono i classici?» indicai con un cenno del capo il libro shakespiriano; mi congratulai con me stessa per l'ennesimo cambio di discorso riuscito e mi domandai tacitamente, quante volte ancora avrei dovuto utilizzare stupidi giochetti di parole per evitare situazioni imbarazzanti.
«Decisamente» annuì come ad avvalorare la sua risposta. «Penso che la storia della scrittura sia tutta qui, tra le parole dolci di due innamorati. Non crede sia la storia d'amore per eccellenza, quella di Romeo e Giulietta?» alzò un sopracciglio con aria di sfida aspettando la mia replica come se già immaginasse ch'io -in parte- non appoggiassi o condividessi quella sua orgogliosa opinione e senza allontanare lo sguardo da me, portò il bicchiere alla bocca e prese un generoso sorso d'acqua.
Passai la lingua tra le labbra e morsi leggermente quello inferiore combattuta sul dire la mia ed essere totalmente sincera su quell'argomento.
«Lei ritiene la morte di due persone che si giurano amore eterno 'storia d'amore per eccellenza', Mr. Butler?» sussurrai attenta e forse troppo scettica.
La prima volta che avevo letto 'Romeo e Giulietta' avevo pensato che tutte quelle parole, tutte quelle emozioni, erano semplicemente fasulle. Ogni giorno, per molto tempo, avevo potuto notare quanto l'amore era subdolo e ingannatore, avevo potuto capire quanto una persona da all'altro solo per ricevere e tutto questo, mi aveva solo spinto a credere che Giulietta, nella realtà, non avrebbe mai scelto di togliersi la vita per il suo Romeo, che non avrebbe mai deciso di morire perchè la vita senza il suo amato ormai non valeva più nulla.
Diventando grande non avevo mai provato nessuna passione sfrenata e irrefrenabile, non avevo mai perso la testa e la ragione per un unico e irresistibile pensiero.
Alle parole 'tu sei la mia vita' ero sempre scappata.
«In verità ritengo 'storia d'amore per eccellenza' la passione e il desiderio che lega i due protagonisti. Insieme hanno scelto di lottare contro tutto e tutti pur di non dividersi e alla fine, hanno sconfitto anche la morte. Non crede che questo sia autentico e da ammirare?»
La sua risposta, così seria e sentita, per un attimo mi era parsa quasi sensata, facendomi vacillare.
Scossi il capo allontanando totalmente quell'opzione e sorrisi amareggiata.
«Non credo che possa trovare esempi simili da pormi. Quella storia è solo una messa in scena rifilataci da Shakespeare per farci credere nell'amore puro. Ma sa una cosa Mr. Butler?» il mio sorriso ironico si accentuò a quella domanda retorica «L'amore dura un battito d'ali e nessuno può farci nulla. Noi siamo marionette nelle mani di altri, siamo indifesi e per quanto vorremmo credere che tutto andrà bene, nel profondo sappiamo di sbagliare.»
Chiusi gli occhi e sospirai; con quella risposta mi ero giocata il mio lavoro o la fiducia di un possibile scrittore dell'anno.
Precedentemente molte persone notando il mio rifiuto verso l'amore mi avevano chiesto come potessi amare così tanto la scrittura e con quella domanda, avevano anche messo in dubbio la mia passione verso la letteratura.
Io ero sempre stata amante dei classici inglesi e dentro di me sapevo che anch'io -come tutti i lettori- , speravo nel lieto fine ma -nonostante sogni e speranze- come potevo pensare anche solo di credere in una cosa che non mi si era mai figurata davanti?
«Lei è impegnata Miss Murray?» Quella domanda sussurrata a mezza voce mi confuse e disorientò al punto che dimenticai di cosa stavamo parlando precedentemente.
Non riuscivo a staccare lo sguardo dai suoi occhi che ancora una volta, mi studiavano ingordi e famelici.
«Non vedo come questo possa aver a che fare con questo discorso, Mr. Butler» biascicai infastidita. Girai impercettibilmente il capo e scrutai i volti all'interno del ristorante cercando il viso sorridente di Mark Smith, sentendomi persa non trovando i suoi occhi color nocciola.
Mi sentivo soffocare e avvampare, non capivo più di cosa stavamo parlando e inevitabilmente, cercavo solo una via d'uscita, una fuga.
«Se fossi io il suo uomo mi sentirei offeso da ciò che ha detto riguardo l'amore» sorrise leggermente e si avvicinò di poco col busto verso di me portando la mano destra tra i miei capelli. Li carezzò dolcemente e schiuse le labbra «Proverei a farle cambiare idea e le farei capire cosa significa volere ed essere voluti.»
Le parole vennero baciate una ad una quando lasciarono le sue labbra, investendomi con un tono basso e roco. Ogni traccia di ilarità o divertimento aveva lasciato il suo volto.
«Comunque qualsiasi sia la risposta, spero non ci siano distrazioni per lei, Miss Murray. Ho bisogno di tutta la sua attenzione, non mi piace essere un pensiero di troppo.»
L'intensità con il quale sputò quelle parole, la caparbietà che vi rifletté, mi immobilizzarono.
''Di cosa stava parlando?''
Ritirò la mano e tra le dita aveva una pallina di lana che evidentemente, mi si era incastrata tra i capelli quando mi ero vestita la stessa mattina.
Ripresi a respirare a fatica quando mi accorsi di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. Avevo l'impressione d'essere appena stata attaccata dal fronte nemico e inevitabilmente, mi sentivo come un guerriero sconfitto ancor prima di finire la battaglia. Sotto i sui occhi blu come il mare in burrasca, mi sentivo nuda ed inerme eppure, non potevo distogliere lo sguardo dal suo fin troppo intenso, non potevo abbassare la guardia, non gli avrei dato questa soddisfazione.
«Finalmente mi sono liberato, avete già ordinato?» la voce squillante del mio capo si disperse intorno a noi riportandoci ad una conversazione lavorativa che di lavoro, non aveva proprio nulla.
Per la prima volta in vita mia, ringraziai tacitamente il mio capo per avermi liberato da una situazione decisamente imbarazzante.
Non ne sarei mai uscita viva da sola.



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