2. Capitolo due

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 L'odore di caffè che aleggiava nell'intero reparto del tredicesimo piano -piano dedicato all'editing dei libri-, mi fece capire che non era cambiato nulla da quando, tre mesi prima, avevo salutato quel posto e quelle facce conosciute di chi da un anno lavorava al mio fianco.
Aprii la porta in mogano del mio ufficio e constatai che sul serio era tutto al suo posto. I sorrisi riportati nelle foto sulla mia scrivania erano gli stessi di quando ero partita, la poltrona girevole era ancora comoda e i libri sulle mensole e sugli scaffali non erano stati presi o spostati. Sospirai sonoramente e mi affacciai sullo skyline londinese; il cielo cupo e triste ricopriva quelle immense stradine e nonostante fossimo solo agli inizi di settembre, sembrava d'essere in inverno inoltrato. I palazzi composti da uffici, si innalzavano nel bel mezzo della città e regnavano indisturbati sulle piccole abitazioni.
Il primo giorno che occupai questa postazione, affacciandomi dai finestroni, provai un senso di smarrimento. Mi sentivo così piccola rispetto a tutto ciò che mi circondava, rispetto al mondo che girava inesorabilmente e non si fermava mai. Era così strano proiettarsi in una vita che fino a quel giorno non mi era appartenuta, non era stata mia, ed era così strano iniziare tutto da capo, affrontare un lavoro vero, responsabilità e impegni importanti.

Un colpo secco alla porta, mi richiamò dai miei stessi pensieri e pronunciando un semplice 'avanti', Mag mia collega e amica fece ingresso nella stanza.
«Diamine come sei abbronzata.» il sorriso che le si dipinse sul volto mi rese impossibile non sorriderle di rimando. Gli occhi color nocciola, grandi ed espressivi, mi scrutavano curiosi e le braccia già larghe, aspettavano che mi facessi avanti per abbracciarla come eravamo solite fare. La strinsi a me e proprio in quel momento, capii che anche quello mi era mancato stando via: il contatto fisico di chi volevo bene, un sincero abbraccio o un sorriso da condividere con chi mi conosceva davvero.
«Dispiaciuta d'essere tornata?» La voce stridula e divertita della mia amica riempì nuovamente l'intera stanza facendomi ridere di gusto. «San Diego è bellissima..» iniziai ritornando dietro la scrivania «Ma il tempo insicuro e capriccioso di Londra mi era mancato. Sai come sono, non riesco a star troppo lontana da casa.» indicai con il capo al di fuori della grande finestra e poi le feci una smorfia. «Cosa hai fatto in questi tre mesi? Te la sei spassata come tuo solito?» dirottai il discorso su di lei e le sue avventure, che da sempre erano state più interessanti delle mie. «Solite cose..» canzonò avvicinandosi alla poltrona su cui sedevo. «Ho conosciuto un tipo, si chiama Adam..» sospirò teatralmente poi fissò gli occhi nei miei concedendomi uno sguardo diverso dal solito. Non mi aveva mai parlato di un uomo con quegli occhi. «..usciamo da un po' di tempo.» spalancai la bocca alla rivelazione e dopo aver boccheggiato un paio di volte, scoppiai in una risata fragorosa che coinvolse lei stessa in un'altrettanto risata rumorosa. «Dio mio, sei seria o mi prendi in giro?» farfugliai ancora incredula da ciò che mi aveva detto. Mag spinse di poco la poltrona con un piede e poi scosse la testa. «Sono seria, lui è diverso dagli altri.» la voce della mia amica si era affievolita, era cambiata pronunciando quella parola che non le avevo mai sentito attribuire ad un uomo.
'Diverso'.. ma diverso da cosa? Da chi?
Non avevo mai amato un uomo, non avevo mai provato interesse vero per qualcuno. Avevo sempre preferito scappare, ignorare gli avvertimenti iniziali e continuare con la mia vita. Preferivo ferirmi volontariamente e da sola che essere ferita e tradita da qualcuno, sia mentalmente che fisicamente.
Ma ora ero curiosa, volevo capire cosa indirizzava un umano ad amare una persona invece di un'altra.
Volevo capire il meccanismo che spingeva due persone ad iniziare una relazione, che le spingeva a preoccuparsi l'una per l'altra, che le avvicinava a tal punto da non poter più pensare ad altro.
Cos'era davvero l'amore? Perchè tutti non riuscivano a farne a meno?
«Comunque ora non possiamo finire questo discorso, Licht Butler e Mark ci aspettano in sala conferenze.» disse poi prendendomi per mano e aiutandomi ad alzarmi. Socchiusi gli occhi e provai a ricordare dove già avevo sentito quel nome ma non mi veniva nulla in mente. Chi era questo 'Butler'? E che razza di nome era mai 'Licht'?
«Chi aspetta chi?» la voce mi uscì stridula, ero quasi imbarazzata nel chiedere informazioni alla mia collega, non volevo sembrare impreparata sul lavoro. «Uno scrittore emergente. Louis dice che ha un gran bel culo, non so come lo conosce ma mi ha rivelato che sfortunatamente non è gay.» rise leggermente ricordando le parole di un tirocinante che pranzava sempre con noi, avevamo imparato a conoscerlo solo negli ultimi tempi ma era decisamente molto simpatico. «Aspetta tutti i tirocinanti in sala conferenze, Mark deve assegnargli qualcuno di noi per la revisione del suo libro d'esordio.» spiegò poi velocemente trascinandomi fuori dall'ufficio. «Ah, lo ha detto solo stamattina quindi non preoccuparti se non lo sapevi.» mi fece un occhiolino e spinse il bottone dell'ascensore. A quella rivelazione mi rilassai immediatamente e sospirai: non mi piaceva dimenticare gli appuntamenti, soprattutto se poi si trattava di cose così importanti.
Negli ultimi due anni, avevo imparato due cose: fare attenzione a tutto ciò che il capo dice e non dimenticare mai gli impegni lavorativi. Facendo tirocinio alla 'Sirio' ero poi riuscita ad allenare la mente, mi capitava saltuariamente di dimenticare convegni o incontri ma, quando accadeva, avevo sempre paura che qualcuno potesse accorgersene e reputarmi inefficiente o improduttiva.
Chiusi gli occhi e trattenni il fiato, speravo davvero di non imbattermi in uno scrittore pieno di sé e arrogante, non avrei saputo gestire la situazione e avrei mandato tutto all'aria, perchè se c'era un'altra cosa che avevo imparato lavorando alla 'Sirio', era che non c'è nulla di più fastidioso di un uomo borioso e amante della scrittura.

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