Triangolo.

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Quel giorno stavo male, avevo un mal di testa martellante. Era il venticinque febbraio duemilaundici.
Mia mamma mi venne a prendere con anticipo a scuola perché non riuscivo più a stare tra i banchi e ascoltare le spiegazioni della supplente di italiano. I miei compagni, maligni, pensarono che fosse tutta una finta per evitare la verifica di scienze dell'ultima ora, ma non era così. Anzi, ero una dei pochi che andava a scuola anche quando stava male per non saltare le verifiche; anche oggi sono così: sono ansiosa, quindi prima finisco il compito, meglio è.
Ero pallida come un cadavere e debole, mi sentivo svenire a ogni passo.
Rimasi tutta la mattinata sotto un piumone, sdraiata sul divano in camera dei miei fratelli.
A un certo punto suonò il citofono. Mia mamma si affacciò dal balcone per capire di chi si trattasse e subito dopo rientrò dicendo: "È D! È D!". Io saltai dal divano, arrotolai il piumone e lo misi nell'armadio, andai in bagno a cercare di ristrutturare la mia immagine. Mi dava fastidio avere l'espressione di una morta, ma stavo dannatamente male.
In pratica, io e D abbiamo dei cugini in comune perché suo zio ha sposato la cugina di mia mamma. In quel periodo, una nostra cugina calabrese venne in Lombardia per delle operazioni e lei e la sua famiglia alloggiavano a casa di D. Quindi ci fecero una visita. D li accompagnò perché loro, non essendo del posto, non conoscevano le strade.
D mi salutò e mi baciò e già mi sentivo meglio. Rimasero a casa nostra tutto il pomeriggio, fino a sera; parlai con D che pareva essere interessato a me.
Nel frattempo arrivò anche il mio cuginetto e, come al solito, mi chiese di giocare con lui. Tutti i suoi giochi erano in una grossa cesta in balcone, perciò andai a prenderla. Appena uscii fuori sentii degli schiamazzi. Erano i ragazzi del condominio e del vicinato che giocavano a calcio, tra questi ce n'erano altri che non abitavano nelle vicinanze, tra questi c'era M. Rimasi incantata ad ammirarlo mentre calciava il pallone nel freddo e nella sera che stava facendo il suo ingresso. Mio cugino gridò perché non mi affrettavo a prendere i giochi, così, sentendo i suoi richiami infantili, li afferrai e li portai dentro. La cesta era colma di giocattoli, alcuni stavano per cadere e D mi diede una mano. Poi mi riaffacciai sul balcone, per continuare a guardare M. Mia sorella disse a uno dei mio cugini, che all'epoca aveva otto anni, che quello era il ragazzo che mi piaceva e iniziarono a chiamarlo con nomignoli strani, per farmi arrabbiare. Mi infuriai, infatti. Ma M sembrava non essersi accorto di nulla, era perso nel gioco.

La sua malinconia era in perfetta sintonia con la mia, entrambi avevamo lo stesso umore del cielo: poco sereno, vago, instabile.

Poi, M venne ancora qualche volta nel cortile del mio palazzo a giocare a calcio, e io rimanevo incollata al vetro della finestra.

Una giornata iniziata nel verso sbagliato, prese la giusta piega. In un pomeriggio di febbraio, gli unici ragazzi che fino ad allora mi avevano fatto vibrare il cuore erano vicini più che mai: uno, seduto a una sedia del tavolo in salotto, l'altro a giocare nel cortile, a tre piani di distanza.
Avrei voluto che si incontrassero, che lottassero per me. Ma io ero una bambina, M un ragazzino ribelle e D un ragazzo già maturo. Eravamo un triangolo che non avrebbe mai potuto funzionare, qualcosa che non avrebbe avuto futuro. E così fu, infatti.

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