Stalle alla larga - William

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Non c'è niente di peggio dell'avere matematica alle ultime due ore di scuola, il sabato. Sei già stanco di tuo perché reduce da una settimana pesante, magari da un sabato pesante, e ti devi sorbire pure le menate di quel barbone del tuo prof, le cui spiegazioni sono ancora più incomprensibili della materia che insegna. Il professore continua a spiegare teorie che ho già studiato, che già so, ma mi sto costringendo lo stesso a stare attento. I miei voti sono passati da 7 a 6, e mia madre si è infuriata da morire quando ha scoperto che il mio rendimento è calato. Mi ha pure costretto ad aumentare le ore di ripetizioni! Stento a tenere gli occhi aperti, tanto le lezioni di questo professore sono noiose.
-Will?- Il mio compagno di banco mi chiama, e qualcosa mi fa sospettare che non abbia capito niente della spiegazione che il prof sta per concludere.
-Dimmi- rispondo controvoglia.
-Non ho capito nulla di tutta sta roba!-esclama, cogli occhi un po' sgranati dall'ansia. Diventa sempre ansioso se si avvicina un compito di cui lui non sa nulla. Sospiro, prendo il quaderno, la penna e inizio a spiegare. Posso usare la sua incapacità nello studio come contrattempo. A causa dello scorrere veloce delle mie parole nello spiegare a quel troglodita del mio compagno la lezione, perdo la percezione del tempo e solo dopo aver finito di parlare alzo gli occhi, al richiamo del suono della campanella.
È finita. Posso andare a casa.
Come una furia infilo nello zaino tutti i libri, in modo scomposto, chiudo velocemente la zip e mi allontano dal banco e da quell'imbecille di Johnny, che gridandomi dietro "ti chiamo domani sera, così finisci di spiegarmelo!" crede ancora che io sia disposto ad aiutarlo. Invece raggiungo Stefan, uno dei miei migliori amici, che mi sta aspettando davanti alla porta di classe. Noto la sua espressione cupa, mentre scendiamo le scale e usciamo da scuola attraverso la porta principale, insieme a una fiumana di studenti tutti ammassati fra loro che ci spingono a destra e a sinistra.
-Potevamo uscire dalla porta si servizio!- impreca con rimorso il mio amico, che mi tira via con uno strattone dalla massa di gente, che pian piano si dirama in ragazzi diretti in diverse direzioni.
-Allora vengo a mangiare a casa tua, e poi?- gli chiedo, mentre ci avviamo con gli zaini in spalla. Ho accettato di passare il sabato con lui, ma non mi ha ancora detto cosa faremo, né di pomeriggio, né di sera. D'altronde, questa settimana eravamo entrambi troppo impegnati, tra verifiche e interrogazioni di fine trimestre, per poterci sentire. O almeno, questo è quello che mi ripeto per giustificare la colpa di non aver fatto nulla come un apatico per tutta la settimana.
-Usciamo con un paio di persone- risponde lui secco, col viso puntato sul cellulare.
-Tipo?- chiedo, curioso.
-Tipo, non li conosci.-
Mi limito a sbuffare, guardandolo con un mezzo sorriso. Quando ti risponde così, è meglio non irritarlo troppo.
-Giornata pensante?- chiedo.
-Scherzi? Oggi mi va tutto di merda!- sbotta, ma il suo tono non mi turba; me lo aspettavo, e incasso il colpo mentre lo ascolto.
-Ho preso due 3, uno a inglese e uno a fisica. Fanculo.- Borbotta.
-Dai. 3 più 3 fa 6- rispondo, e lui ride.
Camminiamo fuori da scuola, pranziamo e, dopo esserci rilassati tutto il primo pomeriggio senza l'intenzione di muovere un piede fuori da casa, finalmente decidiamo di uscire.
Ci mettiamo il giubbotto e usciamo da casa. Attraversiamo un tratto di strada a piedi, poi finiamo in un parchetto abbandonato, con qualche alberello dalle fronde basse e le foglie secche portate via dal vento freddo che si sta alzando. Vedo un gruppo di gente radunato attorno a un tavolino con due panche laterali, e sento ridere e scherzare. Ci stiamo dirigendo proprio verso il tavolino.
-Ciao ragazzi- dice Stefan, rivolgendosi al gruppo di gente, poi fa un giro del tavolo per salutare tutti. Io non dico nulla, chiedo a un ragazzo se può spostarsi più in là per farmi spazio sulla panca con un mezzo sorriso, senza presentarmi. Non conosco nessuno di loro, a parte una ragazza coi capelli corti castani e un cappellino nero in testa che qualche volta incrocio per i corridoi, a scuola. Sta a un paio di classi più in là rispetto alla mia. Se non sbaglio, si chiama Alice. Queste persone devono essere totalmente diverse da me: quante volte ci verranno, a questo parchetto, in settimana? Non lo posso sapere, di solito io me ne sto in casa a studiare, a parte il fine settimana. Sul tavolo ci sono delle carte, stanno giocando a briscola. Appena finisce la partita ne ricominciano un'altra, e stavolta gioco pure io. Nei vari turni, memorizzo i nomi di quasi tutti quello al tavolo: un ragazzo coi capelli rasati di nome Julian, un altro coi capelli castani e un neo sotto il sopracciglio chiamato Jack, una ragazza slovena dai capelli lunghi e scuri chiamata Alja, un altro ragazzo scuro di pelle chiamato Laurent e una ragazza dai capelli biondi ossigenati (che all'inizio pensavo fossero bianchi) chiamata Maddie. Mi soffermo un po' di più di quest'ultima, perché tra tutti è quella che spicca di più: è magrissima, ha i capelli con un ampio ciuffo totalmente tirato a sinistra, un doppio strato di eyeliner con tanto di linea esterna finale sugli occhi e dei vestiti attillati e neri, con un corpetto troppo scoperto sotto il giubbotto. Ma non le fa freddo?
Nel corso della partita riesco a scambiare un paio di parole con tutti, tranne con questa ragazza, Maddie, che di tanto in tanto mi scruta coi suoi occhi scuri, ma non dice nulla.
-Ci siete stasera, allora?- chiede, e mi accorgo che ha pure un piercing sulla lingua. Rispondono tutti, e decidono anche dove andare.
-Io andrai al Bar Marius, è facile arrivarci e non c'è nemmeno troppa gente- propone Laurent.
-Scherzi?! Costa un botto!- replica subito Alice, e anche Laurent sembra ricredersi.
-Io andrei al Whaizled, no?- interviene Stefan.
-Sì, ma te sai come arrivarci, per caso?- continua a controbattere Alice.
Io non cerco nemmeno di dire la mia, di bar non ne so niente. Mi accorgo che nemmeno Maddie esprime la sua, e si limita a dividere di nuovo le carte rosse e quelle blu. Io le faccio un cenno con la mano, per farle capire che vorrei aiutarla. Lei mi gela con uno sguardo privo di significato, e ricomincia a mescolare le carte.
Cordiale, la ragazza. C'è da dire, però, che la figura del cretino l'ho fatta io. Così mi limito a guardarla male, ma lei sembra non farci caso.
Passiamo il resto del tempo a non fare nulla di particolare, se non a chiacchierare, ascoltare musica e a fare un'altra partitina a carte. Poi ognuno si saluta (stavolta anche io ne approfitto per fare il gentile) e se ne va per la propria strada. Io seguo Stefan, visto che dobbiamo fare lo stesso percorso. Mi scompiglio i capelli riccioluti con una mano, e lo guardo.
-Un po' scorbutica la tua amica, eh?- gli dico.
-Chi?-
-Quella Maddie.-
-Ah, sì. Sì, sembra un po' scontrosa, ma ti assicuro che non la conosci- mi sorride.
Io faccio spallucce. -Spero. È molto carina.- Non ce la facevo proprio a non ammetterlo, l'ho osservata per la maggior parte del tempo, ma appena queste parole mi escono dalla bocca lui si rabbuia.
-Lasciala fare- biascica, e io lo guardo corrucciato. Lui se ne accorge, e mi risponde subito. -Non fa per te. Anzi, non fa per nessuno.-
Non riesco a capire il filo logico di quello che ha detto, quindi parlo di altro fino al momento in cui le strade verso le nostre rispettive case ci dividono. Io faccio un cenno di saluto, ma lui mi ferma.
-Seriamente, amico. Non metterle gli occhi addosso, o ci rimarrai di merda.-
Neanche stavolta capisco, ma faccio finta di niente e mi avvio verso casa mia, per prepararmi per stasera.
Chissà, magari in serata riuscirò a scambiarci quattro chiacchiere.

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Salve a tutti! Questo era il primo capitolo della mia prima storia, e anche se non succede niente di particolare, spero non vi sia dispiaciuto! Ringrazio in anticipo chi deciderà di continuare a leggere (quando aggiornerò) o di lasciare un commento. Alla prossima!

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