-Jenna.-
Il ragazzo sembrava implorare per una spiegazione, più abbattuto di lei, sempre che quest'ultima lo fosse.
-Jenna!- La chiamò ancora, la risposta fu solo l'ennesima vista delle sue scapole sporgenti.
-Fammi vedere.- Poggiò una mano sulla sua spalla, pronto a girarla, aspettandosi di vedere il viso della ragazza che amava in lacrime ed arrossato dal dolore.
Ella lo precedette e si girò, non una lacrima sul suo volto. L'espressione era serena, ma il contrasto tra essa ed il suo silenzio inquietante era enorme.
Lui si limitò ad ammutolirsi, sottomesso da quello sguardo calmo ma autoritario.
-Dimmi.- E gli sorrise, permettendogli di ammirare quei denti dritti e regolari, reduci di due anni di apparecchio, lo sapeva bene.
Lui sapeva tutto di lei, o almeno così credeva.
-Dimmi? Dimmi?! In questi giorni sei strana, fredda, scostante...- Passò subito dalla rabbia ad aver paura della reazione di Jenna, il cui animo stava venendo sottoposto alla cruda verità, sputatale in faccia sottoforma di parole crudeli.
-...Mi sembri...diversa...- Concludendo quasi in un sussurro, per istinto le prese un braccio, coperto dai numerosi monili colorati che lei era solita indossare.
Ella gemette di dolore, ritraendo in fretta l'arto sottoposto al contatto amorevole.
-Sono sempre così!- Fu la risposta, fredda e pronunciata con velocità e rabbia inspiegabile.
-Fammi vedere il polso.- Le intimò, ma al rifiuto di lei il suo animo si accese, sfociando in ira generata dalla confusione.
-FAMMELO VEDERE HO DETTO!- Lui non gridava spesso, quasi mai. La fanciulla sobbalzò, e lasciò che il ragazzo le prendesse il polso, togliendole i bracciali.
Sotto tutti quei colori vi erano tagli, tagli di un magenta appassito. Ma poi, più in basso, le ferite diventavano profonde, irregolari, non dritte come ci si sarebbe aspettato, parevano fresche.
Ella non tacque, non pareva vergognarsi.
-Cosa pensi che siano? Pensi che mi sia tagliata?-
-Non è così...?- mormorò lui, mentre il senso di colpa e l'imbarazzo cominciavano a farsi sentire.
-No. È stato il mio gatto.- Nonostante fosse una delle scuse più usate (e meno credibili) per nascondere l'autolesionismo, sembrava seria.
-Come no.-
-Davvero! Ascoltami bene, non sei nessuno per sapere...- le sue parole, cariche di nervosismo, vennero interrotte dall'improvviso cigolio della porta.
-Ci sono i tuoi in casa?- domandò lui, voleva accertarsi di non essere sentito da nessun altro fuorchè Jenna.
-No, non ci sono...c'è il mio gatto, però.- Sorrise, mentre il felino, con un balzo, le si aggrappava al polso, procurandole vari tagli.
-Jenna...-
-Ti perdono.- Sussurrò, guardando il gatto mollare la presa e cadere sulla moquette.
