MICHAEL
Entro in casa sentendo ancora la voce squillante di mia madre ridere per qualcosa detta dai suoi interlocutori, ovvero i genitori di Eva.
Quando l'ho vista in fondo alle scale accanto a suo fratello, per un attimo ho dubitato della mia sanità mentale, pensando di sognare per quanto fosse adorabile con quegli occhi spalancati per la sorpresa, le labbra schiuse e le gote leggermente arrossate. Molto probabilmente non se l'aspettava neanche lei. Ed era comunque magnifica. Ho cercato di reprimere un sorriso troppo grande per non dare una cattiva impressione ai suoi genitori, e credo di esserci riuscito anche abbastanza bene. Suo padre non è di molte parole e mi piace che arrivi al punto della situazione senza girarci troppo intorno. Mi ha fatto alcune domande sul college dato che questo è il mio ultimo anno, un anno in ritardo, mandandomi letteralmente nel panico. Ho i miei validi motivi per non essermi ancora interessato al college, ma di certo non potevo dirlo a loro, soprattutto non ad Eva, non in quella situazione. Lei, al contrario, aveva risposto efficacemente a tutte le domande poste da mia madre: alla fine dell'anno sarebbe andata a Brisbane per seguire i corsi della facoltà di lettere e scienze sociali. La naturalezza con cui le ha risposto mi ha fatto capire quanto fosse felice all'idea di andarsene, esattamente com'è successo a me un paio di mesi fa. Canberra aveva iniziato ad opprimermi fin troppo e quando mia madre mi disse che da li a breve ci saremmo trasferiti, le mie prospettive cambiarono totalmente. E nonostante io sia consapevole del fatto che presto tornerò fra quelle strade, la mi testa rimarrà comunque qui a Sydney.
Poggio le chiavi sul mobile nel corridoio e mi dirigo verso i rumori provenienti dal salotto, salutando con un cenno del capo. "Michael, spero non siate usciti con questo tempo!" interviene subito la madre di Eva visibilmente preoccupata per sua figlia, il che mi fa sorridere, essendo solo un po' di pioggia.
"No, assolutamente. Siamo passati da casa per prendere il suo skate ma appena dentro ha iniziato a diluviare perciò siamo rimasti li a guardare un film, finché non si è addormentata."
"Tipico di Eva. Dimentica il concetto di film con lei, ne vedrà sempre solo i primi venti minuti. Se ti va bene e il film è molto interessante, potrebbe riuscire a rimanere sveglia anche per un'ora, ma poi devi perdere le speranze." Mi risponde suo padre ridendo e scaturendo una leggera risata anche in me. Questo è decisamente un punto a mio favore.
Michelle, la madre di Eva, decide che è ora di tornare a casa data l'ora, e dopo lunghi saluti con mia madre, escono di casa lasciandoci nel silenzio più totale.
Quando mia madre torna da me in salotto ha l'aria raggiante, come se avesse ritrovato la serenità dopo tanto tempo. Sembra più... dolce, il che rende felice anche me e al tempo stesso mi rattrista doverglielo dire ora. Dopo ciò che è successo, un po' di felicità se la merita soprattutto lei.
Mi chiede come sia andata con Eva, e come nasconderglielo, è andata bene e penso che anche un bambino di quattro anni si renda conto del fatto che io stia bene in sua compagnia.
"Mi sei sembrato diverso oggi tesoro, più... come dire, sereno."
"Mi sei sembrata lo stesso tu, mamma."
"Lo sono, Mike. Michelle ed io eravamo amiche dai tempi delle elementari, ma quando mi sono trasferita a Canberra per tuo padre, ci siamo perse per tutto questo tempo, ed averla ritrovata qui è stato davvero piacevole." Le sorrido calorosamente in segno di conforto, perché voglio che lei stia bene davvero e so che qui, dove lei è cresciuta, può esserlo.
"Mamma, c'è una cosa di cui dovrei parlarti." Le dico dopo un po' facendola sedere sul divano. Faccio un respiro profondo cercando di tenere i nervi saldi ma questo argomento mi ha sempre mandato all'esasperazione: dubito non risuccederà. "Torno a Canberra fra un paio di settimane. Ci sono delle cose che devo sistemare e tu lo sai meglio di me. Non posso ricominciare qui se non ho chiuso tutto a Canberra. Starò da Mark, credo."
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The Echo | Michael Clifford
FanficBabe we both know that the night were meanly made for say the things that you can't say tomorrow day. - Arctic Monkeys