III

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« Jasha ». Yadviga distolse lo sguardo dal corpo esanime di Aleksej e lo puntò sul suo servitore. « Resta qui », gli ordinò. « Spiega allo Zar che il morbo si è diffuso in fretta », indicò il cadavere con un cenno, « senza lasciargli via di scampo. Io devo cercare una cosa ».
Jasha tenne gli occhi fissi in quelli della donna. Strinse i pugni e serrò la mascella: avrebbe voluto seguirla, saperne di più, ma qualcosa nelle iridi pallide di Yadviga lo costrinse a lasciar perdere. « Sì, Baba Yaga », mormorò. La donna annuì e uscì dalla stanza in fretta, ritrovandosi nel lungo corridoio. Le guardie le lanciarono occhiate interrogative. « Il giovane Aleksej è morto! », gridò lei e i due uomini in uniforme scattarono, il primo dirigendosi nella stanza, il secondo allontanandosene.
Yadviga giunse all'ingresso del Palazzo d'Inverno, chiuse gli occhi e annusò l'aria: sentiva intorno a sé l'odore della neve, quello intenso delle candele che venivano spente, quello del legno; ma c'era qualcos'altro, lì in mezzo, un sentore dolciastro che l'anziana donna conosceva bene.
L'odore della morte.
Yadviga lo seguì come un segugio segue la sua preda, senza prestare attenzione a nulla che non fosse quella labile traccia nell'atmosfera. Raggiunse una rampa di scale e ne salì i gradini, due alla volta, senza badare allo scricchiolio delle sue ossa, né al dolore che a ogni passo le logorava articolazioni e spina dorsale. Continuò a salire e nell'aria la traccia divenne più forte: non si limitava ad accarezzarle le narici, delicata e fuggevole, ma forzava il suo ingresso nella gola della donna, avvelenandole il respiro.
Yadviga incespicò. Sembrava che quelle scale fossero destinate a non finire mai, ma lei fece un altro passo e all'improvviso non ci furono più gradini. La Baba Yaga si guardò intorno: si trovava nella torre campanaria del Palazzo d'Inverno. L'ampio spazio sembrava essere stato abbandonato da tempo.
Yadviga lasciò vagare lo sguardo sulle pareti sopra di lei, dove ampie finestre prive di vetri offrivano alla vista il cielo pallido del primo mattino. Gli occhi della donna continuarono a salire in alto, molto più in alto rispetto alla posizione occupata dalle campane che pendevano nel vuoto. Lì, dove l'oscurità era così fitta che non permetteva di distinguere altro che ombre, due occhi senza palpebre la osservavano.
« Il disegno è completo ».
Un rumore di passi attirò l'attenzione della donna, che si voltò verso la rampa di scale alle sue spalle. Passarono pochi secondi prima che da lì facesse capolino una figura alta e snella, fasciata in un lungo abito nero. Sof'ja Ekaterina lanciò una rapida occhiata oltre le campane, ma fu questione di un attimo, poi rivolse la sua attenzione a Yadviga. « Cosa ci fai qui? », le chiese, la voce dura.
Lei ghignò. « Potrei chiederti la stessa cosa, Sof'ja ».
La Zarina strizzò gli occhi in un moto di fastidio e le puntò un dito contro. Un anello nero le risplendeva attorno all'indice affusolato. La donna ritirò la mano un attimo dopo, rilassando i tratti del volto. « Mi hanno riferito ciò che è successo. Il mio Aleksej... ». Si interruppe, portandosi una mano alle labbra e serrando le palpebre. Fece un respiro profondo. Le ci vollero alcuni secondi per riacquistare il controllo. « Quando una guardia mi ha riferito ciò che era successo, sono tornata indietro con lo Zar, poi ti ho vista e ti ho seguita », spiegò con voce tremante, quasi stesse tentando di dominarsi per non crollare ancora di fronte all'altra donna.
Yadviga annuì. « Nella città fredda le persone muoiono come mosche », rantolò. « Chiamate le guardie », aggiunse poi, « mia signora ». Queste due parole colpirono la Zarina come un insulto. Strinse la mascella e gli occhi. « Perché dovrei? », chiese alla Baba Yaga in tono brusco.
« Perché c'è un cadavere, lì sopra, che marcisce oltre le campane ». La Baba Yaga ghignò e superò la giovane donna senza degnarla di uno sguardo. Scese le scale con passo incerto e quella le fu subito dietro.

Lo Zar Aleksandr strinse a sé il corpo esanime del figlio, bagnando i suoi capelli di lacrime. « Il mio Aleksej », singhiozzò, dondolandosi sul letto sfatto, il corpo inerte dell'erede al trono che ondeggiava seguendo i suoi movimenti. « Non è vero », gemette, « non può essere vero. Aleksej, svegliati! Svegliati, non è il momento di andartene, non è il momento, devi svegliarti. Non è ancora il momento, non lo è », continuò a ripetere, la voce mutevole, ridotta a un lamento e poi a un brusco sussurro.
Jasha osservava la scena con lo sguardo perso. « Era troppo giovane per morire », mormorò, la voce roca a causa della gola secca. La Baba Yaga gli indirizzò un'occhiata di scherno e scosse la testa, il viso deformato da un sorriso storto e del tutto fuori luogo. « No, Jasha. Non si è mai troppo giovani per morire ».
« Quale natura giusta fa in modo che un padre stringa a sé il corpo senza vita di suo figlio? », ululò lo Zar. Strinse a sé il cadavere con più forza. « Quale Dio misericordioso permette che ciò avvenga nel suo regno? »
« La natura ha ben poco a che fare con ciò che sta accadendo qui, Aleksandr ». L'uomo fulminò Yadviga con lo sguardo, ma lei continuò: « Se le dicessi che posso fermare tutto questo? Che posso scovare la causa del morbo che ha divorato suo figlio, ponendo fine alla sua vita così presto? »
« Puoi farlo? » La voce dello Zar era carica di sofferenza e venata di collera. Jasha sentiva il suo odio crescere e saturare l'aria attorno a loro come un gas venefico. Nel suo sguardo il desiderio di vendetta risplendeva: era una scintilla pericolosa nelle iridi scure.
La Baba Yaga annuì.
« Se stesse mentendo? » Sof'ja mosse un passo verso Yadviga, scrutandola attraverso le lunghe ciglia.
« A che scopo? », la provocò l'anziana donna. Restarono a guardarsi in cagnesco, studiandosi a vicenda, poi qualcuno bussò alla porta e Genrikh si fece strada nella stanza. Le sue mani si mossero in un impacciato segno della croce, ma il suo sguardo si manteneva basso, fisso sulla punta degli stivali. Esitò prima di cominciare a parlare. « Mio Signore, ci sono stati altri casi di malattia, nelle stanze della servitù. Le due donne che si occupavano di - ». Si bloccò, indugiando con lo sguardo sul corpo senza vita dell'erede al trono. « Le donne sono morte ».
« Questo male è contagioso? » Aleksandr allentò la presa sulla salma, ma non la lasciò andare.
« Non lo so, Signore. Non sono sicuro di niente ». La sua voce si incrinò, lui trasalì e rivolse lo sguardo a Yadviga: era colmo di terrore. « Avreste dovuto vedere i loro occhi! Erano neri, tutti neri, non ho mai visto niente di così raccapricciante ». Tornò a rivolgere la sua attenzione ad Aleksandr e mosse un passo in direzione del baldacchino azzurro. « Entrambe hanno detto qualcosa, prima di morire. Le stesse parole. Erano possedute! »
Lo Zar lasciò andare il corpo di suo figlio con un movimento distratto. « Cosa hanno detto? »
« Le donne che le assistevano hanno giurato che fossero minacce. Minacce contro l'intera città fredda, mio Signore ».
La Baba Yaga rise. « Profezie », precisò. « Le stesse parole pronunciate dal giovane Aleksej prima del sonno eterno ». Mosse alcuni passi in direzione della Zarina. « Il mio aiuto vi serve, Sof'ja. Non mi pare che abbiate altra scelta ». Yadviga si strinse nelle spalle. « Andrò alla mia capanna, nella foresta di Kholod, e sarò di ritorno domani con un nome ». Fece una pausa e scandagliò con lo sguardo i volti intorno a lei. « Quello dell'assassino ».
« Questo cos'altro comporterà? » Sof'ja si rivolse ad Aleksandr, che la guardava senza vederla, gli occhi gonfi di lacrime. « Altri omicidi? Non puoi fidarti di lei, Aleksandr. Nessuno può! È pazza, una creatura del demonio! »
« Placa il tuo animo, Sof'ja Ekaterina ». La Baba Yaga si allontanò verso la porta e fece cenno a Jasha di seguirla. Prima di attraversarla e andarsene, si voltò verso la Zarina. « Qualcuno potrebbe pensare che non ti interessi trovare il colpevole della morte di tuo figlio ». Uscì dalla stanza, sentendo la schiena bruciare sotto lo sguardo feroce della moglie dello Zar di Kholod.

L'ultima Baba YagaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora