Capitolo 2.

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Ebony's pov.
È ormai da mezz'ora che tiro roba a caso dall'armadio, cercando qualcosa da mettermi. Odio Lea e le sue idee di merda, invitare Genn dopo mesi che non stiamo assieme? Non se ne parla!
Alzo gli occhi verso l'orologio proiettato sulla parete e impreco mentalmente quando mi accorgo che mancano solamente più 15 minuti all'arrivo di tutti.
“Merda. Che cazzo mi metto, che merda d'idea hai avuto Lea?” urlo dalla camera cercando di farmi sentire, afferro dei pantaloni a vita alta e una maglietta corta rosa candido. Fisso per un pò gli indumenti, ma più li guardo e più mi accorgo che non mi convincono per nulla questi vestiti. Ma sinceramente non ho più testa di cercare altri vestiti, per questo 5 minuti dopo sono già pronta.
Mi aggiusto i capelli piastrati allo specchio, tiro un grande sospiro e giro lo sguardo verso la porta.
Sono ansiosa, chi lo avrebbe mai detto che ci avrei di nuovo avuto a che fare con Genn? Insomma era tutto finito, no? Era la fine, giusto?.
Non voglio uscire dalla camera, non me la sento. Ho paura di ricadere di nuovo nelle sue grinfie, ma se voglio bene a Lea o almeno ad Alex devo uscire da questa porta e affrontare, cose che nella vita sono delle cazzate.
Esco finalmente dalla camera e scendo dalle scale cercando almeno di tenere un piccolo sorriso sul viso, appena scendo l'ultimo gradino noto due signori almeno sulla 50ina salutare Lea.
Noto subito la somiglianza di Lea nella signora che in questo momento sta abbracciando la figlia e sorrido affiancandoli alla ragazza bionda.
“Oh! Tu devi essere Ebony, giusto? Piacere Lisa, la mamma di Lea.” sorride raggiante la donna bionda di fronte a me, mentre mi porge la mano la stringo annuendo alla sua domanda, rispondendo con un fleibile "piacere."
Mi giro verso il padre di Lea, che dice di chiamarsi Robert.
“Alex? Non era con voi?” a quella domanda di Lea mi guardo attorno, notando appunto l'assenza dei due ragazzi.
“Si! Ci ha accompagnato fino a qui, ma il suo amico...Genn, diceva di sentirsi male e quindi sono rimasti un attimo fuori. Ma dovrebbero entrare."
come non detto. Alle parole di Lisa la porta si apre rivelando i due ragazzi in questione.

...
Mi sta squadrando dalla testa ai piedi, come se fossi un bocconcino ancora fumante.
Lo sto guardando da lontano, ma mi mancavano i suoi occhi i suoi vestiti il modo che ha di porsi alla gente. Mi mancava lui.
Mi faccio da parte quando, sia lui che Alex si presentano ai genitori di Lea.
Accenno un piccolo sorriso ad Alex appena finite le presentazioni per poi rifugiarmi in cucina, cercando qualsiasi cosa da fare per evitarli tutti e due. In effetti mi dispiaceva aver rotto i rapporti che si erano creati tra me e Alex, ma era quello che doveva succedere. Mi giro con un piatto in mano, probabilmente mancante non lo so ma pur qualcosa dovevo fare, ma non avrei dovuto girarmi. È appoggiato allo stipite della porta, le mani in tasca e la camicia di una fantasia strana si fa larga sul suo corpo, lascio cadere il piatto a terra che si rompe in mille pezzi.
Impreco a bassa voce guardando il piatto a terra, perché è qua? Cosa vuole ancora?
Mi abbasso senza degnarlo più di uno sguardo, raccolgo i pezzi di vetro che si sono frantumati, come me del resto, posandoli sul bancone sopra di me.
Vedo un'altra mano aiutarmi e gli strappo via il vetro dalle mani, tagliandomi il polpastrello, serro la mascella mugolando.
“Vattene. Non ho bisogno del tuo aiuto.” dico dura, mentre mi alzo. Apro l'acqua del rubinetto porgendoci poi il polpastrello colante di sangue, sotto. Ecco perché non lo voglio di nuovo al mio fianco, mi procura solo dolore solo del male. È questo quello che voglio no?.
“Ti devo parlare.” quando quelle parole escono dalla sua bocca giro lo sguardo quasi in modo felino verso di lui, la bocca serrata e ancora il dito sotto l'acqua. Chiudo il rubinetto girandomi dall'altra parte non riuscendo più a reggere il suo sguardo.
“Ti sembra il momento di parlarmi?.” ribatto sempre con un tono duro, senza nemmeno guardarlo. Afferro uno straccio portandomelo al dito cercando di fermare il sangue, che non ne voleva proprio sapere do fermarsi.
“Non ho detto ora, dopo.” si infila le mani in tasca, tirando così più su le spalle. Annuisco solamente, accenna un sorriso ed esce dalla cucina lasciandomi nuovamente da sola ad affrontare tutti i miei pensieri.

Empty Bed. [U.S] 2.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora