Capitolo 17

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4 mesi dopo

-Avada Kedavra!-. Un urlo rabbioso squarciò il cielo ed un lampo verde colpì un cuore. Terrore e paura regnavano . Sta volta risuonò un urlo di disperazione.

Si svegliò nel buio della notte. La pelle chiara era malida di sudore e il corpo tremante. Non osava muoversi. Sentiva l'oscurità pesare sulle spalle incurvate per la posizione e sentiva il vuoto creato sul fianco dalla mancanza del suo braccio.
Erano passati ormai quattro mesi da quel giorno. Quel giorno di allegria che si era trasformato in lutto.
Sentiva il respiro di colui che aveva preso il suo posto quel pomeriggio stesso regolare sulla poltrona accanto al letto.
Diceva che un rapporto troppo personale lo avrebbe potuto distrarre dal suo lavoro e gli avrebbe portato via la concentrazione necessaria per farlo al meglio.
Baggianate.
Lui si era fatto coinvolgere e aveva dato il massimo, le aveva donato anche la sua stessa vita.
Si alzò dal letto e si strinse in una semplice vestaglia di seta verde, un tempo appartenuta a sua madre. Quanto le mancava. Quanto le mancavano tutti quanti. Avrebbe fatto di tutto pur di sacrificare la sua vita per la loro, anche se era successo esattamente il contrario.
Involontariamente si trovò ad accarezzarsi quel punto di pelle poco sotto la spalla attraverso il tessuto liscio del soprabito.
Tutti le dicevano di dimenticare. Ma come si faceva ad andare avanti se si era costretti a portare sul proprio corpo un segno indelebile , come quella cicatrice? Come si faceva a scordare di possedere un qualcosa che ti ricordava il sacrificio di una persona cara? Tutti parlavano ma in realtà non dicevano niente.
Tutti si scusavano per ciò che era accaduto senza sapere.
Non sapevano che lui l'aveva aiutata ad accendere una luce nel momento più scuro della sua vita.
Nessuno sapeva che, veloce come il vento spegne una candela, la morte lo aveva portato via da lei.
Era seduta su uno sgabello della cucina a bere il tè , quando una mano le si posò sulla spalla.
-Dimmi Jasper.- rispose con tono assorto.
-Ti volevo dare il buongiorno. Oggi sarà il tuo primo giorno di tirocinio al Ministero, sarà una giornata faticosa.
E, comunque, sono Patrick.-
Quel nome fu una pugnalata al cuore.
Ogni volta che le ricordava il suo nome, i ricordi di quella giornata riaffioravano, anche se, pur non facendoci caso, ci pensava sempre.
Fece un mugolio in risposta e continuò a sorseggiare la sua calda bevanda.

-Tutti i membri del Wizengamot...-.
Era da quaranta minuti che la piccola signora del ministero le stava parlando del suo lavoro all'interno la corte suprema dei maghi. Era la sfortuna di arrivare in anticipo di un'ora, per colpa di un orologio rotto, essere placcati da una povera donna palesemente priva di qualcuno che le dava ascolto.
Aveva sempre ritenuto il lavoro al Wizengamot noioso e privo di azione. Per questo aveva deciso di lavorare nell'ufficio misteri: non aveva gente che le stava tra i piedi ma possedeva quella dose di segretezza da farti salire l'adrenalina alle stelle.
-Molto taciturno il tuo fidanzato , cara.- stava dicendo la signora.
All'inizio si guardò intorno credendo che si stesse rivolgendo a qualcun altro. Poi fece caso all'esile dito puntato verso Patrick ed indossò uno dei suoi migliori sorrisi di circostanza. La prima regola era : non dare nell'occhio. Per cui , se questa donna non aveva fatto caso allo sguardo guardingo, la bacchetta sfoderata e la postura rigida pronta ad un contrattacco, era meglio stare al suo gioco.
Fece un piccolo risolino mentre allungava la pallida mano verso il bruno e la stringeva nella sua. Lui colto di sorpresa tentò di sciogliersi dalla presa poi, quando si sentì trattenere, ricambiò la stretta.
Quest'ultima era sorprendentemente forte e dolce allo stesso tempo, il calore della sua mano riscaldava la sua.
Per la prima vera volta si trovò ad osservare chi stava al suo fianco da mesi. I muscoli di schiena e torace erano tesi sotto il completo, gli occhi nocciola erano in perenne allerta e i capelli scuri gli ricadevano in delle piccole ciocche sulla fronte crucciata.
-Sì ,non ama molto parlare con le persone. Sembrerebbe burbero ma non lo è. Il resto è tutto un mistero.- disse tornando a rivolgersi alla signora che la stava osservando, poi aggiunse: - Ora ci scusi ma dobbiamo proprio andare.-
Pochi secondi dopo erano immersi tra la folla che si dirigeva verso gli ascensori, le loro mani ancora che si tenevano strette.
***
La giornata non poteva andare peggio. Per iniziare si era svegliato tardi, era inciampato nei suoi stessi piedi finendo così disteso alla fine della scala, si era versato il tè addosso e aveva invertito l'ordine delle scarpe. Poi sembrava che tutto si fosse sistemato, tralasciando il fatto che aveva sbagliato camino e che era caduto all'interno della fontana del ministero, fino a quando il suo superiore non gli aveva chiesto di scendere all'ultimo piano.
Odiava quel posto : era tutto scuro e tetro, il freddo penetrava nelle ossa e ti ci potevi smarrire al suo interno senza nemmeno avere il tempo di rendertene conto.
-Ufficio Misteri. -. Così la voce lenta e metallica lo avvisò di essere arrivato a destinazione. Prese un bel respiro e fece un passo avanti.
Suo padre gli aveva raccontato che lavorare al suo interno era molto pericoloso, anche per gli auror più esperti. Aveva aggiunto che, quando era giovane, molti dei ragazzi che ci andavano a lavorare sparivano, come le ombre una volta che il sole è sorto.
Stava camminando con il capo chino avanti e indietro. Era arrivato nella sala circolare con molte porte che portavano chissà dove.
Il suo supervisore lo aveva avvertito di non fare di testa sua ed aspettare che la responsabile lo accompagnasse. Già se la immaginava: una donna con lo sguardo spiritato e la fobia per le persone, o con qualche disturbo causato dalla solitudine. Una sorta di sosia della professoressa Cooman.
Era talmente tanto sovrappensiero che non si accorse che dalla porta di fronte al suo viso una pila di pergamene volteggianti ed una ragazza con una piuma tra i capelli ed uno scatolone pieno di profezie stava uscendo.
Tutto accadde in un secondo: la pila crollò atterra , lo scatolone lo urtò e in pochi istanti si trovò sul pavimento gelido con le profezie che rotolavano per la stanza e il viso della giovane donna a pochi millimetri dal suo.
Si alzarono entrambi, lei raccolse le sue cose e disse che sarebbe tornata in un attimo.
Era ancora perso tra le curve che quel completo elegante metteva in risalto e che invece precedentemente erano spesso coperte o dalla divisa scolastica o dal pesante mantello, era ancora immerso nelle sue iridi, quando si accorse di quella sottospecie di scimmione che seguiva ogni suo passo ed ogni mossa.
Abbassò lo sguardo quando una fitta gli trapassò lo stomaco.
In quel momento si ricordò di lui: lui che era riuscito a conquistare quel posto che lui non avrebbe mai ottenuto, lui che l'aveva fatta star bene, lui che pur di salvarla si era parato davanti al suo corpo. Lui che l'aveva amata come meritava, lui che l'aveva amata veramente. Lui, Jasper, che era morto 4 mesi prima, che aveva fatto ciò che lui non sarebbe mai riuscito a fare:sacrificarsi.
***
-Cazzo! E poi dicevi che io non avevo ereditato il cervello della mamma eh?! Io, al contrario tuo, non ho messo incinta la mia ragazza a soli diciassette anni!- urlò con gli occhi fuori dalle orbite.
-Tu, anche volendo non avresti potuto, perché una ragazza non ce l'hai! -rispose guardandolo male.
-Lei era lì. -
-Ci credo che era lì! Se no non sarebbe potuta rimanere incinta!-
Ma l'attenzione del fratello era ormai rivolta verso la figura incappucciata che era entrata dalla porta.
-Lei era lì. - ripeté mentre il cappuccio calava mostrando un volto rigato dalle lacrime e due occhi come un cielo plumbeo.

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