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GENN'S POV
L'aveva incontrata di nuovo al parco, cioè, le era letteralmente venuta addosso, ma appena aveva incontrato i suoi occhi verdi si era bloccato, come uno sfigato. L'aveva guardata come un cretino per non si sa quanto tempo riuscendo a balbettare un "tu". E lei lo avevo guardato a sua volta e aveva sentito lo stomaco contrarsi, ma che gli stava prendendo? Saranno stati due anni e mezzo o di più che chiunque gli passasse davanti era solo una qualsiasi. Si ricordò di qualche mese prima, era andato a una qualche festa, a casa di una liceale amica di Alex, era entrato e aveva subito preso da bere, come al solito.
C'era questa ragazza che lo guardava, bionda, occhi marroni, fisico assurdo, ma niente: più la guardava più si convinceva che di bello in lei non c'era nulla, e invece tutti gli altri ragazzi nella stanza, sbavavano solo a vederla passare.
Era uno strano lui, lo sapeva, sua madre glielo ripeteva praticamente ogni giorno, il suo patrigno decideva di sbattergli in faccia un "Quanto sei anormale!" una volta ogni tre giorni circa.
Aveva vent'anni e ancora viveva con la madre, ma di lì a poco avrebbe detto ciao, ciao, e sarebbe andato a vivere nel appartamento che era andato a vedere un mese e mezzo prima, così avrebbe potuto essere anormale quanto gli pareva.
Camminava con la sigaretta in mano, aveva quasi finito il pacchetto da venti, era un lunedì triste come tutti gli altri e stava andando a lavoro, aveva iniziato li quando ne aveva diciotto, dopo aver finito il liceo classico, come gli fosse mai venuto in mente di iscriversi a quella scuola, non riusciva a capirne il senso ora come ora...
Lavorava in un negozio di musica, infatti solo la musica lo faceva tranquillizzava, anche se ormai aveva smesso di produrre la sua musica molti anni prima, ma era comunque il suo rifugio: alzi il volume, abbassi il mondo. Sì, dopo un po' è antipatico per tutti lavorare, ma almeno gli piaceva quello che faceva, la paga non era ottima ma poteva permettersi il suo nuovo appartamento in affitto.
Entrò nel negozio facendo suonare il campanello sopra la porta, si tolse il giubbotto e lo appoggiò nel magazzino, come ogni giorno, mentre si attaccava la targhetta con il nome al petto.
Non succedeva mai niente di significativo, la gente entrava e chiedeva un disco che voleva comprare, o una qualche radio.
"Genn..." Sentì la voce della sua collega, lavorava lì da qualche mese dopo che il capo aveva mandato via il vecchio commesso, era suo amico, ma non lo sentiva da quando era venuto a salutarlo dopo esser stato licenziato.
"Mm?" Rispose senza girarsi il ragazzo, non gli andava di parlare con quella, non l'aveva mai sopportata, ma lei aveva deciso di attaccarsi come una cozza dalla prima volta che l'aveva visto.
"Ciao, io sono Ilaria." Aveva detto con quella sua vocetta acuta tendendogli la mano destra quando il capo era venuto a presentargliela per la prima volta.
"Genn." Aveva detto lui, senza stringerle la mano. E così era cominciata la tortura, lo aveva tempestato di domande, e aveva ottenuto risposta a nemmeno la metà di esse.
"Mi stai ascoltando?" Sentì dirsi.
No, vattene e lasciami in pace... Fece di sì con la testa, e quella continuò a parlare incessantemente, mentre lui pensava ancora al perché della sua azione del sabato appena passato, si torturava per capire il motivo del mettersi in quel guaio, avrebbe potuto farsi ammazzare di botte... Ebbe un fremito al pensiero.
Il campanello della porta suonò, una ragazza dai capelli rossi, quella ragazza, quella di sabato alla discoteca con Alex era appena entrata dalla porta, alzò lo sguardo su di lui e incontrò il suo, si formò sul suo viso un'espressione stupita. Si avvicinò velocemente al bancone del negozio dove era appoggiato con i gomiti l'altro.
"Ciao." Cominciò la rossa, prese a chiedergli un disco di una band rock che gli trovò facilmente e glielo passò in cassa alla svelta per togliersela dai piedi, voleva solo guardare il vuoto e pensare un po' alla ragazza magari.
"Ci siamo incontrati sabato." Buttò li mentre tirava fuori dalla borsa i soldi. "Sei l'amico di Alex." Gli passò una banconota da dieci.
"Già..." Ripose dandole il resto, lei ringraziò e fece per andarsene, poi si voltò di nuovo come ricordandosi di qualcosa.
"Scusami!" Gli disse. "Ma come ti chiami?" Il ragazzo tirò con le dita la targhetta attaccata alla t-shirt.
"Genn." Rispose con tono apatico mentre chiudeva la cassa e la guardava andar via con passo spedito.
Poi sono io quello strano, eh... Pensò spostandosi i capelli dalla fronte.
Si fece l'ora di chiusura e lasciò il compito ad Ilaria mentre la salutava di fretta e se ne andava, voleva fumare e così si accese una Marlboro, soffiava il fumo distratto mentre tornava a casa per non trovare, come al solito, nessuno ad aspettarlo, in effetti stare in quella casa era un po' come vivere da soli, ma la sera era pur sempre una gran rottura avere intorno sua madre e quel ritardato di Fred.
Appena chiusa la porta, sentì suonare il telefono nella tasca e lo prese controvoglia.
"Amico!" Disse l'altro senza dargli tempo di dire "pronto".
"Ehi... Perché mi hai chiamato?" Posò le chiavi sul tavolo e si sfilò le scarpe.
"Ti chiamo perché sei mio amico... Almeno credo."
"Dimmi che vuoi o attacco, ho da fare." Si, doveva fumare un' altra sigaretta prima che rientrasse la madre.
"Non hai da fare, comunque, sabato che fine hai fatto?"
Dio che palle con questo sabato del cazzo. Pensò sbuffando.
"Che ti importa." Posò la sigaretta accesa nel portacenere, si scrocchiò le dita irrequieto, aveva ancora le nocche graffiate a causa dei pugni, si torturò una delle croste.
"Come ti pare." Gli dovette raccontare tutto alla fine, e la risposta fu un "Porca puttana!".
"Eh giá..." Riprese la sigaretta.
"É l'amica di Zoe, quella moretta." Aggrottò le sopracciglia.
"Di chi?" Quasi urlò, Zoe la rossa, quella di oggi al negozio.
"Hai capito chi, è tipo la sua migliore amica da quello che so." E se la immaginò nella mente, aveva il suo viso ormai stampato in testa, la guardava impaurita in quel bagno sudicio con la guancia arrossata, strizzò gli occhi.
"Credo che l'idea di dirmi di venire sabato, sia stata un'ottima idea, visto quello che stava per succedere..." Pensò ad alta voce, l'altro si disse d'accordo.
Genn stanco di parlargli decise di attaccare.
"Aspetta vuoi sapere come si chiama almeno?!" Disse velocemente l'altro per non farsi attaccare in faccia.
"No, se sarà destino, lo scoprirò da solo." E chiuse il telefono, buttandolo da qualche parte mentre prendeva l'ultima tirata dalla sigaretta prima di spegnerla.
E intanto il protagonista del film che stava guardando alla tv, recitava:
"Ci incontreremo di nuovo, lo prometto!" Le coincidenze schifose...

Runaway from me. | GennButch.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora