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GENN'S POV
Ed era stato destino, le aveva detto il suo nome, in macchina prima di lasciarla a casa, poco prima di correre fuori dalla festa, era passato dalla sua amica rossa a chiederle l'indirizzo e aveva riconosciuto in un attimo la via.
Appena l'aveva vista, si era subito accorto dai suoi occhi verdi che qualcosa non andava, aveva mimato il suo nome con le labbra, e ne aveva avuto la conferma.
L'aveva vista tre volte in tutta la sua vita, e aveva rischiato già due volte di andare in ospedale a causa sua.
Ma dopotutto, anche quello poteva essere un modo di conoscere qualcuno, salvandola.
Gli aveva parlato con quella voce armoniosa, e l'aveva guardato negli occhi, cose che con chiunque altro non avrebbero importato niente, ma si sentiva realizzato ripensandoci. Per averle parlato, per averla avuta seduta nella sua macchina, si sentiva un pizzico più felice da tanto tempo.
Ritornó a casa dolorante dopo la rissa, era l'una e un quarto ed entrò piano in casa, cercando di non fare rumore.
Dopo essersi messo a letto, si mise a guardare il soffitto, finché non si mise a canticchiare. Erano anni che non cantava più, da quando era morto suo padre, l'unico che lo incoraggiava in questo suo talento.
Vide il suo viso nella mente, e sorrise al suo pensiero. Se ne era andato anni fa, ma gli mancava ancora come se fosse successo tutto solo ieri.
"Tesoro, la mamma deve dirti una cosa." Sentì nella sua testa, le parole che le erano state dette quel maledetto giorno.
"Si, mamma, veloce però che devo finire matematica." Aveva risposto con la penna in bocca, senza nemmeno alzare gli occhi.
"Beh, tesoro, mi hanno chiamato dall'ospedale e... Io... Ho saputo che papà, cioè, tesoro... Papà se ne è andato."
Prima di capire passarono vari secondi, poi rendendosi conto del significato di se ne è andato, guardò la madre con gli occhi già pieni di lacrime.
"Cosa?!" Strilló.
"Genn, papà è morto..." E quel giorno vide piangere sua madre per la prima volta.
E quel giorno fu la sua rovina: diventò il ragazzo chiuso e strano che è adesso, aveva più o meno quindici anni quando ci fu quel maledetto incidente, e quindi cinque da quando era diventato il classico cattivo ragazzo, solo che questo cattivo ragazzo a differenza degli altri suoi simili, amava la musica e amava studiare, ma qualcosa si era rotto quando il destino si era portato via il padre.
Si era addormentato con i vestiti della sera prima addosso e il telefono sullo stomaco, si svegliò per il gran caldo e fece cadere l'oggetto per terra.
"Buongiorno!" Mormorò sarcastico. Si vestì di fretta e uscì di casa ricordandosi che alle otto doveva essere a lavoro.
Si fece una buona parte del tragitto di corsa e arrivò preciso per l'orario di apertura.
Appena entrato si tolse la giacca e si accasciò sulla sedia dietro il bancone.
Si sfiorò per sbaglio il naso, e sentì le lacrime agli occhi per il dolore, decise di aspettare che passasse, prima di controllare gli altri danni della rissa della sera prima.
Si alzò piano la felpa e vide un grosso livido nero sulle costole, lo toccó e si maledì mentalmente.
"Tutto bene?" Ed eccola, Ilaria, già a farsi gli affari suoi.
Già rompe i coglioni, oggi...
"Sì." Rispose, coprendosi con la felpa.
"Sicuro?" Con quella vocetta acuta che di prima mattina si sopportava ancora meno del solito.
"Ho detto di sì." Ripetè, prima di mettersi a controllare gli arrivi della merce per il prossimo mese sul computer.
Quel giorno sembrava non passare mai, lo tempestó di domande e dopo qualche ora stava per chiuderla dentro il magazzino, ma si trattene. Appena scattarono le sette e mezza, corse fuori dal negozio e si accese una sigaretta mentre si sedeva su una panchina e si rilassava, dopo tutti gli istinti omicidi della giornata.
Aveva le mani piccole, si ricordò d'sitinto mentre passava la sigaretta da una mano all'altra dopo ogni tirata, si toccó un unghia distrattamente, facendo uscire il fumo per poi farlo rientrare dal naso, da quando aveva imparato a farlo non smetteva più.
Solo che in quel martedì sera così triste, sentì che aveva bisogno di qualcos'altro e così chiamò quell'antipatico di Giulio, lo conosceva tramite Alex, era l'unico che avesse l'erba a buon prezzo nei dintorni.
"Amico." Rispose quello alla chiamata, perché la gente credeva che fosse loro amico!?
"Ehi, senti, ci possiamo vedere adesso?" Gli disse schiacciando la cicca con la scarpa.
"Sì, sì, perché no? Quanta te ne serve?" Fece un calcolo prima di rispondere.
"Dammene per una settimana, ci vediamo al bar all'angolo davanti casa mia fra venti minuti?"
"Va bene, G." Il suo nome è troppo lungo?
"Genn, amico, sono Genn." Gli disse con voce fredda prima di attaccare e prendere a camminare verso il bar, faceva più freddo del solito quella sera, era uno dei tanti giorni freddi di marzo, solo che sentiva il freddo attraversargli le ossa e invadergli i pensieri mentre aumentava il passo per riscaldarsi e arrivare prima.
Lo vide seduto ad un tavolo esterno già vari metri prima, con il capello rosso dei New York Yankees, la sigaretta in bocca, il giubbotto nero abbottonato fino al collo e i piedi sul tavolino.
Si vergognó di se stesso di dover chiedere il fumo a quello, meno male che era uno che teneva la bocca chiusa se no già lo avrebbe lasciato perdere.
"Ce l'hai fatta!" Disse Giulio mentre si sedeva sbracato sulla sedia accanto alla sua.
"Ci metto quanto cazzo mi pare ad arrivare, tanto i soldi li prendi lo stesso no?" Rispose guardando le gente passare per strada.
"In effetti si." Tiró fuori dalla tasca la sua bustina con l'erba e gliela passó, Genn la chiuse in tasca e prese nell'altra i soldi, passando sul tavolo anche quelli.
"Allora, grazie..." Disse piatto mente si alzava.
"Aspetta, amico, mi hanno detto che sono giorni che prendi botte per una puttanella!" E si mise a ridere.
Genn poggiò il viso a nemmeno dieci centimetri di distanza dal suo, sbattendo le mani sul tavolo.
"Chiamala puttanella un'altra volta, e vengo a pestare anche te." Sputó, prima di allontanarsi da suo viso, rimettere la sedia dove era seduto poco prima e dirgli.
"Coglione." Sputandogli su una scarpa.
"Oh, ma chi ti credi di essere..." Intanto diceva Giulio mentre l'altro si allontanava, minacciandolo di non dargli più niente da fumare, gli fece un dito medio mentre girava a destra verso casa.
Li picchio tutti, solo se la nominano. Pensó, prima di prendersi per matto da solo.

Runaway from me. | GennButch.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora