Capitolo 1

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Dove diamine ero finita? Tutto quello che ricordavo erano i miei compagni di classe che discutevano rumorosamente come al solito per qualche questione o l'altra, forse qualche assente di troppo all'ultima verifica di greco, e dopo molta luce; quando avevo riaperto gli occhi non ero più nella mia classe, bensì in piedi davanti al mare.

Indossavo i vestiti che avevo tirato fuori dall'armadio quella mattina: un paio di jeans, le scarpe da ginnastica, una maglia a maniche corte rossa e la felpa bianca con il cappuccio. Disorientata, guardandomi attorno vidi una barca a remi avvicinarsi alla costa e decisi di provare a chiedere dove fossi finita, magari ero svenuta, quella mattina non avevo fatto colazione e gli zuccheri dovevano essere calati. Oppure ero finita in uno dei libri che mi piaceva tanto leggere. Improbabile.

Una volta che ebbero tirato l'imbarcazione a secco notai che erano vestiti in modo strano, ma non mi sarei fermata davanti a quelli che sembrano costumi tradizionali; non mi guardarono fino a quando non parlai e quando lo fecero mollarono tutto e si misero a correre, a nulla servivano le mie grida per provare a fermarli. Avevo parlato una lingua che non era l'italiano, eppure sapevo benissimo cosa avessi detto. Sospirai e mi incamminai lungo la costa sperando di incontrare qualcuno, notai che non passavano macchine e non c'erano i tipici rumori che caratterizzano una città: ancora una volta mi chiesi che fine avessi fatto.

Ricordo di aver camminato a lungo e senza meta, ricordo voci concitate tutt'attorno a me e ricordo un luogo caldo e qualcosa di morbido; le immagini sembravano quelle di un sogno e mi chiesi se tutto quello che era accaduto fino ad allora fosse davvero frutto della mia fantasia. Sentii un canto che più che un canto era una nenia, mi obbligai ad aprire gli occhi e mi ritrovai in un luogo molto ricco e pieni degli odori più disparati. Mi misi a sedere e subito fui circondata da una marea di marmocchi e adolescenti che mi guardavano come si guarda un nuovo giocattolo; parlavano la lingua che avevo usato anche io e che stranamente riuscivo a capire. In me si diffuse il terrore. Aprii la bocca per parlare e di nuovo uscirono gli stessi suoni.

"Dove sono?"

Tutto il rumore si zittì quando proferii parola, solo una donna che fino ad allora non avevo notato mi rispose.

"Sei in Grecia, straniera. Eppure parli la nostra lingua!"

Sì, parlavo la loro lingua ma non sapevo il perché, fino a qualche ora prima parlavo l'italiano e qualche cosa di inglese a cui di tanto in tanto aggiungevo qualche espressione francese tanto per far disperare il mio professore. Mi venne un dubbio tremendo vedendo il loro strano abbigliamento, feci alcuni respiri profondi e parlai:

"In che anno siamo?"

"Anno Domini 1198, straniera."

Tutto tornò buio.

Mi risvegliai in una stanza immersa nell'oscurità totale, mi alzai e seguii una traccia di luce tremolante; entrai in una stanza illuminata da qualche candela e un fuoco scoppiettante, la donna era seduta lì da sola.

"Posso?"

Sussultò, e quando si voltò notai che era molto più giovane di quanto avessi creduto inizialmente, si doveva essere spaventata e i grandi occhi neri vagavano nel buio in cerca di qualcuno tra le ombre. Mi fece sedere.

"Come sei finita qui? Da dove vieni? Perché sei vestita così?"

"Non lo so, io mi sono ritrovata qui... non ricordo e da dove vengo io ci si veste così. È molto più comodo."

Lei rise senza allegria, non volevo sembrare troppo curiosa, ma quella ragazza non poteva aver generato tutta quella prole.

"Prima che venga il padrone ti dovrai cambiare." parlava in un sussurro appena udibile.

"Dove sono? Quei ragazzi non possono essere tutti figli tuoi."

"Ho la tua età straniera, credo... alcuni di loro sono più grandi di me. Qui sei nella casa del più grande mercante di schiavi di Pilo, io sono ancora qui per diversi motivi. Come ti chiami?"

Mi sentivo male. Un mercante di schiavi? Cosa mi sarebbe successo? Dov'erano gli altri? Perché ero là? Non mi ero mai fatta così tante domande in una volta sola.

"Io... io sono Niche." dovevo inventarmi qualcosa di plausibile, non potevo certo andare in giro raccontando di essermi trovata sulla spiaggia di una città lontana centinaia di chilometri da Torino, mia città natale, dove tra l'altro mi chiamavano Veronica, e di essere tornata indietro di circa 800 anni.

Restammo in silenzio fino a quando lei non si alzò facendomi cenno di seguirla, mi portò in una stanza grande dove prese degli abiti che mi porse. Cominciai a togliermi quelli che avevo e quando arrivai alla biancheria intima mi guardò come se fossi un'aliena, sebbene credo di essere piuttosto sicura del fatto che non saprebbero cosa siano.

"Come diamine li fai quelli?" sembrava sconcertata.

Sorrisi complice e cercai di spiegarle come venivano fatti, mentii dicendo che li facevo io, come altro evitare di sembrare pazza? Mi feci aiutare ad allacciare un corsetto che mi tolse l'aria dai polmoni. Alla fine avevo un lungo abito verde e mi aveva raccolto i capelli in una meravigliosa tiara. Mi sorrise, ma durò poco. Ben presto divenne pallida come un cencio e abbassò lo sguardo.

"Dove l'hai recuperata? Non è arrivata alcuna nave."

"È arrivata da sola questa mattina." quel che diceva si capiva appena.

La voce era maschile, profonda, ma non dura come mi ero aspettata; sembrava un uomo abituato al comando e quando mi disse di voltarmi mi trovai davanti un uomo insolitamente alto dalle spalle larghe, il viso era disteso e leggermente scurito dal sole implacabile di quelle regioni, i capelli corti e gli occhi neri illuminati da un bagliore sinistro. Cominciai a tremare e l'unico ragionamento sensato che la mia mente riuscì a formulare fu: voglio tornare a casa mia, da mia madre.

Dormii poco e male quella notte, loro due erano rimasti a parlare a lungo, ma mi aveva mandata via. Più avanti quella notte la ragazza mi raggiunse nella camera.

"Non dovrei essere qui ma ti devo avvertire. Domani è un giorno di mercato e non sono riuscita a convincerlo."

Rimasi in silenzio, non avevo nient'altro da dire. Avevo già passato troppe cose per riuscire a tollerare altro e tutto ciò che riuscii a fare fu sospirare e mormorare fissando il buio:

"Forse è il mio destino, grazie."

Se ne andò poco dopo lasciandomi sola con la mia ansia fino al mattino quando mi venne a prendere per portarmi con gli altri al mercato. Avevo pensato di scappare nella notte, ma dove sarei potuta andare?

Li seguivo come un automa e quando fui venduta guardai appena chi mi avesse comprata. Ma la tratta degli schiavi non era illegale?

Nota dell'autrice:
Un ringraziamento speciale a Veronike_obscure per la copertina meravigliosa

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