Capitolo 15

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Il giorno dopo, dopo pranzo, mi precipitai nella tenda fremente con l'intento di prendere le mie cose e andarmene in quel preciso momento: non sarei rimasta lì un minuto in più. Mi ero abituata a doverlo servire e mangiare dopo con gli altri inservienti del campo, ma sentir parlare di me come merce di scambio, con un valore di poco superiore a quello di un cavallo, mi aveva fatto imbestialire: avevo finito di servire il suo pranzo con un sorriso sulle labbra, poi me ne ero andata senza neanche preoccuparmi di cibarmi.

La tenda si aprì rumorosamente alle mie spalle e due mani grandi si posarono sulla mia vita sollevandomi di peso per girarmi. Davanti avevo uno Jean sufficientemente furioso da farmi paura e le ingiurie che stavo per sputargli contro mi morirono in gola, lo avevo visto così arrabbiato solo la notte prima che partisse per la guerra.

"Non te ne andrai, non mi abbandonerai di nuovo!" parlava a denti stretti, pronto a scattare per un nonnulla, ma cercava di contenersi per non dare spettacolo. La tenda non lasciava poi così tanta privacy.

"Non resisterò qui un solo secondo di più, tornerò da tua madre come mi consigliasti tempo fa." replicai cercando di non lasciarmi intimorire, se mi avesse convinta sarei impazzita.

Alzò una mano come per colpirmi, ma sembrò cambiare idea a metà strada perché me la mise sulle spalle scuotendomi come se fossi un albero carico di frutti maturi, forse un livido sarebbe stato difficilmente giustificabile, anche se avevo i miei dubbi che qualcuno avrebbe fatto domande.

"Non tornerai indietro, il tuo posto è con me nell'esercito." vidi il dolore nei suoi occhi sepolto sotto strati di duro vetro infrangibile.

"Voglio tornarmene a casa mia, non ce la faccio più."

Mi sentivo gli occhi carichi di lacrime, mi bruciavano terribilmente e non riuscivo più a metterlo a fuoco.Se avessi continuato a guardarlo negli occhi mi sarei messa in ridicolo.

Si allontanò e abbassai lo sguardo prima di sedermi sul pagliericcio che condividevamo ormai da tempo; tacevamo entrambi, ognuno carico dei propri fardelli che non potevamo condividere perché eravamo ancora ben lontani dal fidarci ciecamente l'uno dell'altra. Passeggiava per il perimetro libero del nostro appartamento come una belva in gabbia, ero troppo preoccupata dal tremore nelle mie membra per occuparmi anche del suo benessere.

"A chi appartieni allora figlia del vento? Perché mi sembra che tu non possa trattenerti mai troppo a lungo in un luogo."

La sua voce era spenta, avrei potuto azzardare uno spezzata, e le spalle flosce, abbattuto come non lo avevo mai visto. Mi sentii in colpa anche se non ne capivo il perché.

Mi alzai e mi avvicinai così tanto a lui da farmi credere che un sospiro ci avrebbe potuti unire indissolubilmente. Gli posai le mani sulle braccia tenendo gli occhi chiusi ed il capo chino, lui me lo sollevò con gentilezza, senza dire una parola, ma comunicandomi con decisione che dovevo guardarlo.

"Mi dispiace, se ti raccontassi... non capiresti." come avrebbe potuto capire? Mi avrebbe etichettata come pazza. Forse allora sarei stata libera.

"Prova!" quasi mi supplicava.

"Non costringermi Jean. Partirò che tu venga con me o meno." se lo avessi ferito mi avrebbe lasciata in pace, ma come potevo spingermi a tanto?

Mi guardò negli occhi come se vi cercasse una risposta, ma risposte non ce ne erano mai state e gli restituii uno sguardo sconsolato. Vidi improvvisamente una scintilla nel suo sguardo e ben presto vi divampava un incendio ed ebbi paura che volesse seguirmi.

"Se uscissimo di notte non se ne accorgeranno. Ci sono alcuni ragazzi che vogliono disertare, insieme saremo più sicuri." improvvisamente sprizzava entusiasmo da tutti i pori.

Sospirai, ma non gli dissi niente. Si sarebbe accorto da solo che non poteva disertare per me? Che avrebbe messo a repentaglio la propria vita? Non potevo certo dirgli che non sarei potuta partire con lui nonostante mi sentissi male al solo pensiero di stargli lontana, che quelle poche settimane passate lontana mi avevano uccisa. Tacqui, sperando che cambiasse idea, ma lui uscì dalla tenda per andare a cercare gli altri.

Sapevo che sarebbe stato fuori a lungo per organizzare il tutto nei minimi particolari, non avrebbe mai e poi mai lasciato nulla al caso, e ne approfittai per prendermela con calma: carezzai il nostro giaciglio come si carezza un figlio che dorme, feci riposare lo sguardo su tutte le sue cose per imprimerle nella memoria. Non volevo dimenticare nulla di lui.

Sospirai e presi i jeans per metterli nella sacca, mi ritrovai tra le mani il mio i-pod e sorrisi ricordando quanto gli fossi stata legata in quella che ormai mi sembrava un'altra vita, lo posai e mi sedetti al tavolo pronta a iniziare la mia seconda lettera a Jean, l'avrebbe letta?

Mentre la posavo sul nostro letto il mio sguardo fu catturato da un altro foglio che sporgeva dai suoi abiti, lo presi e riconobbi subito la mia grafia frettolosa dall'α con l'inconfondibile ricciolo al fondo. Sorrisi e vi impressi sopra un bacio prima di voltarmi e uscire nella calda luce del pomeriggio, pronta a lasciarmelo dietro una volta per tutte.

Camminai più che potetti, ma superati due villaggi mi dovetti arrendere e mi fermai a dormire in una locanda che si trovava poco distante dalla strada principale che stavo percorrendo e dove un paio di notti non mi sarebbero costate più di quanto potessi pagare. Dormii su di un letto vero dopo un sacco di tempo e rivolsi più di un pensiero fugace all'uomo che avevo abbandonato per la seconda volta.

Non mi avrebbe mai perdonata.

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