Capitolo 34

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Al mattino quando mi svegliai ero sola nella stanza e prima di alzarmi mi stiracchiai con calma godendo del relativo silenzio offerto dalle quattro mura della nostra camera in affitto. Misi un abito lungo che non fosse rovinato al punto da farmi sembrare una stracciona prima di scendere nella sala principale dove trovai i ragazzi che cercavano di far fare colazione a Elpis, ma di mio marito nessun segno. Mi sedetti accanto a loro e mi passarono subito la bambina che mi lanciò le braccia al collo con grida entusiaste, io sorrisi apologeticamente agli altri avventori che si erano girati infastiditi verso di noi e dopo guardai per bene mia figlia. Vedendole il viso pasticciato di cibo piegai il capo di lato per guardare interrogativa i tre baby-sitter, i quali cominciarono a giustificarsi spiegandomi quando fosse difficile far sedere immobile una bambina mentre le si dava da mangiare, come se non lo sapessi già. Ignorandoli parlai direttamente a mia figlia:

"Elpis, che zii cattivi che hai, eh?" lei gorgogliò del tutto inconsapevole di essere mia complice nella sfrontata presa in giro degli unici amici che ci fossero rimasti in tutto il Paese.

Due mani grandi si posarono sulle mie spalle e sebbene la cosa avrebbe dovuto farmi saltare, in qualche modo sapevo si potesse trattare solo di Jean, così piegai la testa indietro per incrociare il sorriso sfrontato di mio marito. Si piegò in avanti per baciarmi, e dopo disse ad appena un centimetro di distanza dalle mie labbra:

"Ma sarà gli unici che avrà, quindi ce li dobbiamo tenere buoni."

Mi si sedette accanto e con un finto sospiro rassegnato procedetti a passargli la bambina che aveva cominciato a scalpitare per stare in braccio al padre. Lui giocò con lei mentre io mangiavo ed i tre che erano rimasti con noi, i ragazzi che avevano originariamente disertato con Jean, gli altri erano tornati a casa tra insistenze e minacce, discutevano animatamente di tutto e di niente come il loro solito. Era rilassante essere parte di quel cameratismo. Dopo un po' fui riportata con i piedi per terra da Jean che si schiariva la voce piuttosto rumorosamente accanto a me.

"Salperemo domani mattina, ma dobbiamo cambiare nomi. Siamo dei disertori qui in Grecia e sapete cosa ci aspetta se mai dovessimo essere trovati dall'esercito. – qui esitò e un senso di paura mi attanagliò improvvisamente lo stomaco – Non so cosa fare con Niche, non la faranno salire. Le donne portano male a bordo." Risi in preda al nervosismo, doveva star scherzando. Pregai che stesse scherzando, ma a giudicare dagli sguardi seri attorno al tavolo ero l'unica a capire la follia di quell'affermazione.

"Non potete essere seri – affermai – i soldi davvero non servono a nulla in questo caso?" domandai alla soglia della disperazione. Non mi fu data risposta, ma sapevo che qualcuno avrebbe fatto qualcosa. Il viaggio serviva a me, no? Li guardai uno alla volta aspettando che mi dicessero che era uno scherzo, anche se di pessimo gusto a mio parere. Ma loro si guardarono le mani posate sul tavolo senza osare incrociare il mio sguardo. Mi voltai verso mio marito e gli diedi una gomitata al fianco per ottenere una risposta.

"Ci possiamo provare, ma probabilmente dovremo fare il giro a piedi, magari comprare dei cavalli, anche se non sarà facile trovarne di buoni con quello che ci è rimasto. È difficile trovare un capitano disposto a portare per mare una donna, figurarsi se questa ha una bambina." Io sospirai, anche la mia mente solitamente iperattiva e piena di idee si era ammutolita, ma andare a piedi ci avrebbe rallentati troppo, ed era già passato moltissimo tempo da quando ero piombata del passato. Se non avessi trovato più nessuno? La speranza di incrociare i miei compagni di classe era flebile tanto per iniziare, non potevo mettere il Fato alla prova così, mi sarei risa in faccia da sola.

Fummo tutti estremamente silenziosi per il resto della giornata, io in preda al panico e loro senza abbastanza coraggio per venirmi a parlare. Decisi di uscire dalla locanda nel pomeriggio perché non ne potevo più dell'aria greve che sembrava aleggiare come una nebbia irremovibile. Portai la bambina con me per fare una passeggiata, sperando che essere all'aperto mi aiutasse a trovare capo e coda del nostro dilemma. Non ebbi troppa fortuna, e l'idea di andare al porto per saggiare le acque si era rivelata pessima. quando rientrai nella sala principale della locanda ero ancora più stanca e scoraggiata di quando ero uscita, e dei miei uomini non c'era nemmeno l'ombra. Salii in camera rassegnandomi all'idea che nessuno mi avrebbe parlato comunque, e trovai mio marito che dormiva sul letto con espressione distesa. Se inizialmente ero stata gelosa della sua evidente spensieratezza, dopo qualcosa di caldo sembrò posarsi sul mio petto e tutta la frustrazione lasciò il mio corpo. Posai la bambina che già dormiva al suo fianco, e lei istintivamente si raggomitolò contro la schiena del padre. Li guardai sorridendo prima di prendere la lettera di Leta che non avevo ancora letto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 18, 2018 ⏰

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