Capitolo 29

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Di nuovo i miei ricordi si fanno incoerenti e frastagliati: un paio di braccia forti, il letto morbido in cui mi sembrava di annegare, la luce delle candele che sfarfallavano sui muri e delle parole di rimprovero nei miei confronti da troppe persone che insieme crescevano fino a diventare un rombo mostruoso. Dopo quello un caldo tropicale che mi bruciava la pelle da dentro, seguito da un freddo polare che mi mangiava le ossa; un corpo accanto al mio, coperte alternate a panni freschi, a volte il pianto di Elpis perforava la coltre pesante che mi teneva prigioniera e la mano di Jean che avvolgeva la mia mi teneva ancorata alla vita.

Non so quanto tempo fosse passato quando finalmente mi risvegliai, ma doveva essere il crepuscolo perché Sofia mi dava le spalle mentre accendeva qualche candela, feci qualche tentativo prima di riuscire a pronunciare le parole con voce roca e quasi inudibile, come la voce di un morto che ti raggiunge dall'oltretomba; lei si voltò con estrema lentezza e subito notai le linee severe della preoccupazione che avevano iniziato a scavare nel suo volto giovane.

"Hey..." non esattamente un ritorno poetico, ma mi sentivo come se fossi stata calpestata da un branco di elefanti.

"Hey? Ti dovrei fare una testa quanto questa casa per esserti alzata dal letto, ti ci avrei dovuta legare!" aveva lasciato metà delle candele spente e stava marciando verso di me con determinazione e un sorriso di sollievo che cominciava a formarsi.

"Non può essere stato così male." scherzai girando il capo per seguirla.

Mi guardò fin troppo seriamente e per un attimo temetti di sentirmi dire che era successo qualcosa di terribile mentre ero in uno stato febbricitante.

"Sono nove giorni che non dici qualcosa di sensato. Nove giorni che tuo marito dorme sulla sedia accanto a te." la voce era misurata, ma sentivo la rabbia di Minasse pronta a scagliarmi nel peggior girone infernale e lasciarmi lì alla mercé dei diavoli.

La guardai in silenzio. Non potevo risponderle nulla perché aveva ragione: la mia curiosità non era mai stata placabile e non aveva mai mancato di cacciarmi nei guai, talvolta più seri di altri; distolsi lo sguardo dal suo, incapace di sostenere l'accusa di averli fatti preoccupare tutti a morte. Lei ora era vicina per controllare la ferita che quella notte aveva ricominciato a sanguinare e, come mi disse mentre la puliva, mi aveva fatto perdere parecchio sangue.

Mio marito rientrò all'ora di cena e Sofia su mia richiesta non gli disse che mi ero svegliata. Quando entrò nella mia stanza dopo cena lo guardai nella penombra e notai che le spalle erano piegate in avanti e non incedeva come era solito fare, ma si trascinava in giro. Non accese una candela, permettendomi di guardarlo ancora, e quando mi si sedette accanto con un sospiro che mi fece spezzare il cuore mi dovetti trattenere dal parlargli, gettargli le braccia al collo e consolarlo.

"Niche, svegliati presto, qui le cose si complicano e ho bisogno del tuo consiglio." parlava piano, come si parla quando nella stanza c'è un bambino che dorme.

Mi sfiorò il viso e chiusi gli occhi in fretta, aveva le dita fresche che si fecero lentamente strada dalle tempie fino al collo dove il mio battito pulsava erratico. Volevo che quel contatto non si interrompesse mai, tenero e nuovo, fragile come le favole che si leggono la sera prima della buonanotte. Tornando su si soffermò sulle mie labbra e il mio respiro rallentò, come se avesse fatto un incantesimo.

"Ma allora in fondo mi vuoi bene." mormorai, incapace di aspettare ancora.

Vidi la spina dorsale raddrizzarsi mentre irrigidiva le spalle e gli occhi danzare nella pallida luce che entrava da fuori: mi prese entrambe le mani che strinse con foga mentre le portava alle labbra e le teneva lì, mi sorrideva felice, quasi estatico e con un tremolio quasi invisibile di cui però mi accorsi per il contatto tra di noi, ma dai suoi occhi capii che non l'avrebbe mai ammesso a voce alta.

"E dovrei venirlo a dire a te?" riuscì finalmente a dire.

"E a chi altrimenti, scusa?" domandai sconvolta, sorridendo come un'ebete a mia volta.

Rise una risata allegra, forse leggermente incrinata, piena di sollievo perché, anche se probabilmente ero pallida e avevo le guance scavate, non avevo perso il mio modo di fare infantile e irrispettoso: gli avrei sempre detto quello che mi passava per la testa quando si trattava di criticare il suo atteggiamento da cavernicolo medievale. Si stese accanto a me portandomi contro il suo petto dove sentivo il suo cuore battere il solito ritmo calmo e cadenzato che non mancava mai di tranquillizzare anche me, ogni tanto le sue braccia mi stringevano più forte e lo sentivo respirare più profondamente, come quando torni su dall'apnea, io sorridevo e disegnavo fantasie con le dita sui dorsi delle sue mani.

"Perché ti sei alzata l'altra sera?" domandò in un soffio contro il mio orecchio. Inclinai il capo per allontanarmi un po' perché mi aveva fatto solletico, lui insinuò subito il naso nell'incavo del mio collo e posò un bacio leggero dietro la conchiglia del mio orecchio.

"Facevi rumore, sai come sono curiosa."

Scosse il capo e il suo mento scompigliò i miei capelli che dovevano essere un disastro, cosa che potei confermare quando mi finirono in faccia; li spostò con una mano mentre l'altro braccio continuava a tenermi stretta a lui. Facevamo così noi: giocavamo, ma quando uno dei due superava il segno diventavamo feroci.

"Ma non hai avuto riguardo per la ferita." mi rimproverò. Cosa potevo dirgli? Hai ragione? Rimasi in silenzio mentre cercavo qualche cosa, qualsiasi cosa, che potesse costituire una scusa credibile. Mi arresi e invece chiesi:

"Era lui, vero? Dove l'avete trovato?"

"Niche, per favore." la voce era tentennante, ancora più bassa di prima, non voleva parlarne.

"No, accidenti! Non dirmi di smetterla. Ha colpito me, per l'amor del cielo."

Stavo alzando il tono di voce che però non era deciso e sferzante come l'avevo immaginato, bensì era ancora tremulo e gracchiante, ridicolo. Mi resi improvvisamente conto che il mormorio nell'altra stanza, cui normalmente non avrei mai prestato troppa attenzione, era cessato, ma non m'importava. Le scenate con un pubblico non erano mai state un problema per me, lui però mi guardò in cagnesco e allentò la sua presa sul mio corpo perché era cresciuto con l'idea che davanti agli altri tutto doveva apparire perfetto, anche se poi dietro la facciata tutto stava marcendo.

"Non parlava, tutto ciò che sono riuscito a cavargli di bocca è che si tratta di una ripicca." era estremamente frustrato e arrabbiato che fossi riuscita a rovinare anche un momento quasi perfetto come quello, si era sollevato su di un gomito per riuscire a guardarmi in faccia, dovetti obbligarmi a non distogliere lo sguardo.

Gli feci un sorriso tirato e lo guardai stancamente, stremata dal nostro litigio; mi sentivo debole al punto che un refolo di vento avrebbe potuto portarmi via. Jean si chinò su di me e mi stampò un bacio delicato sulla fronte prima di lasciarmi di nuovo sola.

Rintocchi d'eternitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora