Misi tutto ciò che avevo in una sacca e al culmine della serata, quando tutti erano troppo occupati a ripulire in cucina o ubriachi per ricordarsi della mia esistenza, sgusciai fuori dalla stanza e mi misi a correre nel giardino verso dove sapevo si trovava la porticina di servizio che dava su una strada buia e poco trafficata. Da lì avrei studiato un piano, magari mi sarei anche messa alla ricerca dei miei amici. Mi scontrai contro qualcuno che mi afferrò saldamente per le braccia, mi riempii di paura, come potevo giustificarmi con qualcuno degli ospiti? Mi avrebbe certamente denunciata ai padroni di casa. L'uomo, perché solo di un uomo poteva trattarsi, mi portò sotto un fascio di luce e riconobbi Jean, il mio cuore perse ancora un paio di battiti.
"Perché sei qui a quest'ora? E questa sacca?" parlava duramente.
"Lasciatemi andare."
Provai a dibattermi, ma aveva una presa ferrea e gli occhi sembravano di vetro, scuri e impenetrabili come due fondi di bottiglia. Mi spintonò contro un muro inchiodandomi là, cominciai a tremare, sembrava davvero arrabbiato e non potevo fare niente per fermarlo, qualsiasi cosa avesse deciso di fare.
"Lo sai che gli schiavi che fuggono vengono uccisi, no?"
"Cosa ve ne importa? La vita è mia!" cominciavo ad alzare la voce, vedevo sfumare ad una velocità impressionante i miei progetti e sogni di libertà inconsistenti.
Mi mise una mano sulla bocca per zittirmi e provai a scrollarmelo di dosso senza alcun evidente successo, che avesse così tanto potere su di me (in tutti i sensi) mi infastidiva tanto quanto mi lasciava le ginocchia molli. Avrei disgustato qualsiasi femminista.
"Cosa devo fare perché tu resti?" ora parlava dolcemente, persino i suoi lineamenti si erano fatti più morbidi, l'espressione più serena.
Mi obbligai a non baciargli il palmo della mano per la dolcezza che mi stava dimostrando, ma mi bastò ricordare le settimane appena passate per rinvigorire il mio odio. Spostò la mano perché potessi respirare e rispondergli, per un momento pensai di dirgli esattamente quello che pensavo di lui, magari mi avrebbe lasciata andare a quel punto. Oppure tentare di impressionarlo inventando un maleficio qualunque, conoscevo il latino fin troppo bene per non risultare minimamente credibile, e magari mi avrebbe lasciata andare... o denunciata alla Chiesa. Poi, l'illuminazione:
"Insegnatemi a tirare di spada e io resto."
Fece scorrere il suo sguardo su di me prima di rispondermi, mi chiesi cosa vedesse dato che per una volta non c'era lascivia nei suoi occhi.
"Un esserino piccolo e fragile come te vuole tirare di spada? Ci sarà un bel po' di lavoro da fare, ma potrei farlo." se aveva iniziato pieno di sarcasmo, aveva finito come un sergente presentato al gruppo di matricole più esile del mondo, quasi sconsolato.
Mi accesi di felicità, finalmente avrei potuto passare del tempo con lui e avrei imparato a difendermi: cosa potevo volere di più? Mi rimproverai, non dovevo vedere cose dove non ce ne erano, magari era una promessa vuota.
Mi accompagnò fino alla mia stanza senza una parola e dopo tornò ai suoi ospiti. Dormii rilassata e fui iperattiva per tutta la giornata seguente, sembrava avessi dimenticato perché avevo cercato di fuggire. Finito di lavorare Jean mi portò nel giardino dove mi aveva sorpresa la sera prima, ma in una zona più appartata.
Aveva con sé due spade. Me ne porse una ma non riuscii a sollevare la punta da terra, probabilmente per come la impugnavo. Sapevo che non poteva pesare poi molto. Lui sospirò e me la prese di mano posandola su di una panca di pietra.
"L'ho fatto per farti capire che non terrai in mano una spada ancora per mesi, forse. Da oggi proveremo la tua resistenza. Faremo come hanno fatto con me: non mi importa che sei una ragazza, mi hai chiesto tu di imparare."
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Rintocchi d'eternità
Historical FictionCatapultata nel 1198 insieme a tutta la sua classe, ognuno di loro finisce in una nazione diversa e mette se stesso alla prova. Veronica (Niche) finisce in Grecia, a Sparta (nella realtà storica la città non esisteva più) come schiava di una ricca f...