Non ci aspettavamo certo un saluto festoso da Anchise quando fossimo tornati a casa, ma, mi disse in un secondo momento, fu molto peggio perché gli diede appena il tempo di giustificare la sua presenza con una bugia che avevamo architettato accuratamente la notte prima e di salutare la madre prima che lo trascinasse nella biblioteca. Io ero andata subito nelle cucine perché non dovevo essere vista dal padrone, ma Leta venne a salutarmi con lacrime di gioia negli occhi appena i due uomini se ne furono andati.
Jean venne da me subito dopo il colloquio con il padre. Aveva il viso scuro e continuava a borbottare maledizioni, incurante della servitù e delle occhiate di riprovazione della madre. Entrambe tacemmo aspettando che ci desse delle spiegazioni, non osavamo fare domande sicure che si sarebbe chiuso in un mutismo ostinato. Ci vollero due bicchieri di vino e una pagnotta calda prima che cominciasse a spiegarci tutto tra mille imprecazioni:
"Quel maledetto! Oltre alla guerra ora anche questo. Se solo non fosse mio padre... - quella minaccia rimase così, a metà. – Vuole che chieda la mano ad una bambina. Ha solo tredici anni, ma può già darmi dei figli, – scimmiottò. – e tutto questo per una stupida alleanza in questa inutile guerra!" urlava, se all'inizio qualcuno era ancora nelle cucine per quando aveva finito eravamo rimasti solo noi tre.
Leta si alzò e posò una mano sul braccio del figlio che sospirò passandosi una mano tra i capelli scuri, aveva camminato nervosamente avanti e indietro mentre parlava con la schiena rigida e i muscoli della mascella contratti, ma un tocco dalla madre era stato sufficiente a farlo rilassare. Si scusò con lei che gli sorrise prima di abbracciarlo, lui si chinò per posare la testa sulla spalla della madre e vidi tutta la sua furia evaporare, distolsi lo sguardo non volendo immischiarmi un momento così privato. Mi sarei sentita un'esclusa per tutta la vita se non fossi riuscita a tornare a casa mia?
Dopo un po' si venne a sedere accanto a me e mi resi conto che non doveva aver riferito tutto il colloquio, c'era altro perché continuava a giocherellare con il bicchiere che aveva davanti, così gli diedi una gomitata per spingerlo a finire. Mi guardò un momento negli occhi e deglutì nervoso, non avrei mai creduto di vederlo così insicuro. Qualcosa o qualcuno in me si mosse come per avvertirmi che stava per dire qualcosa di assolutamente spiacevole, ma cosa avrei potuto fare?
"Non ho finito, madre. – lei lo guardò impassibile. – Ho detto a mio padre che non potevo fare come mi diceva perché mi sono promesso ad un'altra."
Mi prese la mano e la posò sul tavolo mentre era prigioniera della sua, il mio stomaco si aggrovigliò e cercai di sfilarla disperatamente dalla sua presa una volta capito cosa stesse insinuando. Era impazzito, non c'era altra possibile spiegazione.
"Lo sai che non accetterà mai." gli ricordò con voce pacata.
"Devo riparare. Niche è incinta e posso sostenerla anche senza la sua eredità!"
Sbarrai gli occhi e mi girai verso di lui, come gli veniva in mente di dire una cosa del genere? Era una bugia con le gambe così corte che praticamente era seduta per terra, e poi insinuare che mi avesse sedotta! Mi colpì leggermente la gamba sotto il tavolo e tornai a girare la testa verso Leta senza però riuscire a guardarla negli occhi. Perché non mi aveva avvisata prima? Perché doveva inventarsi una cosa del genere pur di infastidire il padre? Si rendeva conto anche lui che non era poi così plausibile, no? Mille domande mi stavano frullando per la testa e non potevo dire assolutamente niente, dovevo tenere la bocca chiusa o non sarei più riuscita a controllarmi. Lo avrei ucciso.
"Vorrà verificare, lo sai che non si fida di te adesso."
"Può farlo." rispose deciso, io mi sentii morire.
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Rintocchi d'eternità
Historical FictionCatapultata nel 1198 insieme a tutta la sua classe, ognuno di loro finisce in una nazione diversa e mette se stesso alla prova. Veronica (Niche) finisce in Grecia, a Sparta (nella realtà storica la città non esisteva più) come schiava di una ricca f...