Il rischio di volare era alto.
Chi avrebbe saputo prima se l'aereo fosse caduto o no?
Nessuno, perché il rischio di volare era alto, altissimo.
C'è chi si fidava delle tecnologie avanzate, chi credeva nella manodopera dell'uomo, ma non Dylan, che era abituato a sentire i piedi sulla terra e ad avere sopra la testa i rami frondosi degli alberi dei boschi.
Stringeva i braccioli del sedile con foga, stringeva i denti per non urlare e chiudeva gli occhi per non rischiare di vomitare.
Ogni centimetro, ogni millimetro, ogni nanometro del suo corpo tremava come in preda alle convulsioni.
Fuori infuriava una tempesta carica di fulmini e saette, l'aria torbida si alzava come un'onda sull'aereo e i terribili colori scuri coprivano tutto.
Odiava volare.
Odiava volare.
Odiava volare...
-Tutto bene?- chiese la signora accanto a lui, guardandolo con aria preoccupata. Era una vecchietta bassetta e grassoccia, con la pelle cascante sulle guance e troppo trucco sulle labbra e sulle palpebre.
Dylan annuì debolmente, con il viso verde e gli occhi spalancati di botto.
-Lì c'è il sacchetto, se devi vomitare, giovanotto.- lo informò la donna, alzando le sopracciglia.-Prima volta in aereo?
Il ragazzo annuì, prima di tuffare la testa nel sacchetto e svuotando la sua colazione.
"Addio ai pancakes più buoni del mondo." pensò quando si portò una mano sui capelli e l'altra stretta sul bracciolo.
-Aah, la prima volta è sempre la più tremenda.- la donna annuì, facendo vibrare le guanciotte.-E i tuoi genitori? Non sono qui?
Dylan fece cenno di no con la testa, osservando il suo accompagnatore, una guardia dell'aeroporto di New York, che prendeva posto vicino a lui.
-Signora, il ragazzo è leggermente confuso.- mormorò la guardia alla signora, anche se Dylan capì benissimo ogni parola.-Preferirei che non gli parlassi di cose...
complicate.
-Aaah, capito!- esclamò la donna, poi prese a cercare qualcosa nella sua borsa. Ne cacciò fuori una caramella schiacciata alla frutta, e la porse a Dylan con un sorriso sdentato.-Vuoi una caramella, giovanotto?
Dylan borbottò qualcosa di incomprensibile persino a lui e si alzò, andando verso il bagno.
Arrivato, si chiuse a chiave dentro e si rannicchiò nell'angolo, fissando il rubinetto dell'acqua.
Gocciolava, senza sosta.
Plink!
Plink!
Plink...
Qualcuno bussò alla porta, battendo il pugno con insistenza.
"La mia guardia." pensò il ragazzo, arricciando il naso."Solo perché sono confuso non vuol dire che ho bisogno di un aiuto per pisciare."
-Sto bene!- urlò Dylan, aprendo del tutto il rubinetto per far intendere che stava facendo.
Sentì i passi della guardia che si allontanava, e tuffò la faccia tra le braccia. Si era lasciato Sensy City alle spalle, ma non i sogni.
Quei sogni che sembravano talmente reali...
Si sognava ogni notte la ragazza dai capelli argentei, quelle creature dalle tuniche rosse e gli artigli intrisi di sangue...ma ogni notte, qualcosa spariva dalla sua mente.
Prima un particolare, poi una persona, infine un nome.
Tutto sembrava lasciare la sua mente, come se l'onda della realtà stesse portando via la spiaggia dei suoi sogni.
Solo una persona non lasciava mai i suoi sogni, la notte: quella ragazza dai capelli argentei e gli occhi azzurri come due zaffiri, il sorriso dolce...e la gola squarciata.
Non ricordava più il suo nome, ma i suoi particolari gli rimanevano in mente, sempre vividi, come se lei fosse stata sempre lì con lui.
Si chiese per l'ennesima volta se quei sogni fossero reali, o se lui semplicemente stesse impazzendo dal dolore della perdita del padre, come concordavano tutti i medici.
-Era solo un sogno...un sogno...- mormorò, avvicinandosi al lavello e sciacquandosi il volto con l'acqua fredda. Le mani gli diventarono rosse, presto sarebbero diventate blu, pensò.-Era solo uno stupidissimo sogno...
La guardia ribussò alla porta.
Dylan aprì con poca voglia la porta, uscendo prima che la guardia potesse fargli la ramanzina.
Si sedette proprio quando il pilota annunciò di star per atterrare a Berlino e di allacciare le cinture; ricordò inoltre ai passeggeri di spegnere i cellulari.
-Ho dimenticato il cellulare a casa...- pensò ad alta voce, tanto che la signora di fianco a lui lo guardò impietosita e gli sorrise.
-La tua prozia te ne comprerà uno nuovo.- disse la guardia, alzando le spalle con aria non curante.
-Già, penso di sì...- Dylan si richiuse nel silenzio più profondo, osservando come l'aeroporto si faceva sempre più vicino.
Sempre più vicino...Quando mise piede nell'aeroporto, si chiese se sarebbe potuto rientrare sull'aereo seduta stante.
C'era tanta gente.
Molta gente.
Moltissima gente.
Troppa gente.
Si nascose dietro alla guardia, emettendo un lamento.
Si sentiva piccolo e vulnerabile, sempre in pericolo.
Poi notò un uomo dalla pelle scura e smoking con in mano un cartello rifinito con una scritta bellissima per Dylan: Dylan Jackson, 17 years old, from New York.
-Be', ci si vede.- disse alla guardia, ma questa lo afferrò per un braccio e lo accompagnò dall'uomo personalmente.
Parlò per qualche secondo con l'uomo in tedesco, finché l'uomo con lo smoking non cacciò dal taschino della giacca un tesserino e dei documenti e la guardia si congedò, andando a vedere alla reception se c'era del lavoro per lui.
-Dylan Jackson?- chiese l'uomo a Dylan, in un perfetto inglese.
-Pare di sì.- rispose lui, alzando le spalle.-Sono leggermente confuso, sa? Le persone dicono che non riesco a distinguere i sogni dalla realtà.
L'uomo lo osservò con i suoi occhi scuri, stringendo ancora il cartello col nome del ragazzo. Aveva un graffio al labbro inferiore, notò Dylan, e un altro sullo zigomo destro. Le mani erano callose e forti, con le unghie ben curate.
"Chissà cosa avrà fatto per procurarsi quel taglio..." si ritrovò a pensare, quasi sospettoso.
Il sospetto però svanì in fretta.
-E lei? Cosa ne pensa?- gli chiese infine l'uomo, con lo stesso volto imperscrutabile.-Riesce a distinguere i sogni dalla realtà?
Dylan si zittì, puntando lo sguardo verso il basso.
Nessuno gli aveva chiesto cosa pensava lui.
Lo credevano quasi muto -di nuovo- e non gli chiedevano mai niente.
Inoltre, quella formalità era una cosa estranea, troppo strana per lui.
-Non lo so.- rispose, riposizionando lo sguardo sull'uomo.-Forse hanno ragione loro. Ma non lo so.
Era la verità: ormai non lo sapeva più, non sapeva più cosa provava, cosa pensava lui.
L'uomo annuì, quasi soddisfatto.
-Lady Berthild la sta aspettando nella sua nuova casa, signor Jackson.- disse con fare formale, aggiungendo in un sussurro:-Mi chiamo Alfred, piacere.
Dylan mormorò un timido "piacere" e lo seguì fuori da quel posto immane.
Forse sarebbe stato un soggiorno abbastanza normale.
"Sperem" pensò Dylan.
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Underwood [IN PAUSA]
FanfictionSequel de "Il Meticcio". In Germania, i segreti sono molti. E i pericoli una quotidianità. Dylan dovrà affrontare i suoi sogni, che non sono rosa e fiori. Nuove rivelazioni, ricordi del passato, vecchie conoscenze...ma è tutto reale? Non sempre i s...