Sono un libro aperto.

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-Puoi andare da tutte le parti.- lo informò la zia Beth, mentre camminavano verso la sala da pranzo che si trovava dall'altra parte dell'entrata.-Tutte le stanze sono accessibili: la biblioteca nella parte est della casa, la sala musica nella ovest, i giardini e le serre fuori, le cantine sotto...dappertutto.
Dylan annuì, dicendo ironicamente:
-Quindi niente posti vietati dove scopro che sei un'assassina professionista che uccide le persone come nei film horror?
La zia si fermò davanti ad un portone che fu aperto immediatamente da due servi, invitandoli ad entrare in una sala dove al centro c'era un enorme tavolo rettangolare lunghissimo.
Era pieno di cibi di ogni genere: la sala era colma di odori speziati, profumati e deliziosi.
Tre vassoi contenevano tacchini arrosto con salse di arance caramellate; al centro c'era una enorme banconata con un maiale grassoccio arrostito e con una mela in bocca, mentre un contorno di insalata e pomodorini galleggiava ai suoi piedi.
C'era ogni ben di Dio: dolci e torte grandissime erano a fianco della frutta e dei semi; budini e marmellate erano su dei vassoi che dei camerieri tenevano in equilibrio sulle mani e sulle braccia.
Insomma, chi avrebbe mai finito tutto quello che c'era?
Zia Beth prese posto su una lussuosa sedia, invitandolo a fare lo stesso su una sedia opposta alla sua. -Io sono un libro aperto.- rispose allora la zia, cambiando velocemente discorso dicendo:
-Prendi ciò che vuoi, tanto è tutto per te: io sono intollerante al latte e ai suoi derivati, al glutine e soffro di pressione alta e bassa. Ah, e sono vegetariana.
-Problemi della vecchiaia.- rispose Dylan, iniziando a riempirsi il piatto: patate al forno, carne di fagiano e quaglia, minestra di pollo e oca farcita erano tutti squisiti.
-Lo diceva sempre anche mio fratello.- la zia alzò le spalle, mentre un cameriere le porgeva una minestra di uno strano colore e odore.
Dylan cominciò a riempirsi il palato di cucchiaiate di minestra, mentre un gruppo di donne e uomini ben vestiti strimpellavano con i loro violini e violoncelli.
-Pare di essere in un castello.- pensò ad alta voce, pulendosi a cavolo la bocca come stava facendo educatamente la zia Beth.
-Be', questo è poco in confronto al tempo di quando io e tuo nonno eravamo giovani.- sorrise la prozia, sollevando il cucchiaio con la minestra vicino alla bocca e soffiandoci leggermente.
-Nomini sempre mio nonno, ma perché non me ne parli?- suggerì Dylan, leccandosi le dita dal grasso della quaglia. Era deliziosa.
La zia lo osservò a lungo, quasi indugiasse, ma alla fine rispose:
-Jacob...be', Jack era un grandissimo figlio di puttana.- rise senza gusto, quasi ricordando i vecchi tempi passati.-E nostra madre ebbe molti amanti dopo la nostra nascita. Quindi sì, Jack lo era in tutti i sensi.
La zia continuò a rimboccarsi di cucchiaiate di quella schifosa minestra insapore e inodore.
Nella mente di Dylan, intanto, riflettevano luminose come un faro le parole:
Il grande Jack, come dimenticarlo! Era un grandissimo figlio di puttana!
Solo che non ricordava chi gliel'aveva detto nei suoi sogni.
Ne ricordava la voce, ma non il volto.
"Ma a chi importa?" pensò, ingoiando le patate al forno."Tanto era solo un sogno."
Però disse lo stesso:
-Sei la seconda persona che me lo dice.
-Ah sì?- la zia non sembrava interessata a saperne il perché, ma probabilmente lo chiese per buona educazione.-Be', è vero. Eravamo gemelli, sai? Anche se non ci assomigliavamo per niente.
-Com'è morto?- chiese allora Dylan, senza rendersi conto di aver fatto la domanda troppo velocemente.
La zia Beth si rabbuiò, i suoi occhi azzurri divennero quasi grigi per il risentimento, ma mantenne la stessa posizione eretta sulla sedia, con il cucchiaio delicatamente posato fra le dita affusolate.
-È morto, no?- chiese Dylan, corrucciando la fronte.
La zia annuì, dicendo con decisione:
-Certo che è morto. Ma non mi va di parlarne, Dylan.- rispose infine, riconquistando la sua espressione sorridente.-Che ne dici se finiamo di mangiare e tutt'e due ci facciamo i fatti nostri in santa pace? Così potrai visitare la casa.
-Mi sembra perfetto.- rispose Dylan, ansioso di stare un po' da solo.
Restarono in silenzio per i quindici minuti dopo, dove il solo rumore che si sentiva era il tintinnio dei piatti e delle posate.
Quando venne il momento del dolce, Dylan si era stufato e cotto di quel lugubre silenzio.
-E la scuola?- chiese, spezzando l'eco delle posate.
Il braccio della zia, intenta ad appoggiarsi sul bordo del tavolo, si fermò a mezz'aria e il suo volto assunse un'espressione pensosa.
Passarono altri cinque minuti prima che la zia Beth si accinse a rispondere.
-Be', a Wolfen c'è un liceo privato di alto livello.- suggerì, mordendosi il labbro con fare indeciso.-Oppure c'è il liceo comune, al centro della città. Oppure ancora, Berlino non è molto lontana...lì ci sono molti licei e collegi prestigiosi, potrei iscriverti lì con facilità...vitto e alloggio non saranno un problema...
-Preferirei restare a Wolfen, se vuoi sapere come la penso io.- disse Dylan, immergendo una fetta di pane nella sua cioccolata calda.
-Bene, allora il liceo privato farà al caso tuo...- stava dicendo la zia.
-Ehm, no grazie.- ribatté irritato lui, scuotendo la testa.-Voglio fare il liceo normale come tutti gli altri. Già sono strano di mio, fare il liceo privato sarebbe troppo per me.
La zia alzò le spalle, indifferente.
-Manderò domani Alfred a iscriverti.- promise la zia, alzandosi dalla sedia e dicendogli:-Gute Nacht, Dylan. Chiedi a Camille di indicarti la tua camera, quando avrai finito di mangiare.
Dylan annuì e la zia uscì dalla sala, come se lui non esistesse.
"Sì, penso proprio che starò bene qui." pensò sorridendo.
Finì il suo dolce e uscì dalla sala senza neanche cercare aiuto nel sapere dei servitori.
Un po' di avvetura non gli faceva male, quindi perché non cercare la sua camera a casaccio?

Ci mise due ore a trovarla.
Non si trovava né al quarto piano, né al primo, nemmeno al secondo, ma alla fine di uno dei corridoi del terzo. Come l'aveva trovata?
Alla fine aveva chiesto aiuto a Camille.
Be', però alla zia non l'avrebbe mai detto, giusto per conservare quel po' di dignità che gli rimaneva.
Entrato, si buttò sul letto a baldacchino, mordibo come mille piume e con delle coperte blu pesanti.
Era una stanza grandissima, con tutto quello che serviva: un bagno pure troppo grande, un armadio immane con più vestiti di quelli che si era portato e specchi, specchi dappertutto.
"Cosa ci farò io con tutti questi specchi non ne ho idea."
Si tolse la maglia e andò a dormire nel letto a petto nudo.
Faceva caldo, anche se fuori nevicava.
"Wow, mi piacerebbe vivere così per sempre." pensò prima di addormentarsi.

Underwood [IN PAUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora