Sie sind ein Ausländer?

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Dylan non voleva perdersi nel bosco, ma purtroppo, quando hai il destino che ti prende di mira, sei spesso bersaglio di ingiustizie.
Quegli alberi erano ben differenti da quelli di Sensy City, questo lo sapeva bene, ma a Dylan sembrarono fin troppo familiari. E ugualmente orrendi.
Camminava con passi lenti e misurati, senza fretta, le mani nelle tasche del giubbotto blu, calpestando con gli scarponi la neve sporca di terra e sangue...
Strabuzzò gli occhi, ma la visione del liquido rosso scomparve com'era apparita.
"Non è niente." si disse, col cuore che batteva all'impazzata."Niente"
Continuò ad avanzare, guardigno, ma niente di inquietante fece ingresso o gli si gettò sopra.
Gli uccellini cantavano e zampettavano sopra la sua testa, e Dylan in quel momento desiderò come non mai volare.
Ma, se ci pensava bene, non aveva fretta di tornare a casa: cosa avrebbe potuto fare lì dentro, al chiuso?
"Tanto meglio restare a camminare per un po'." pensò, mentre saltava al di là di un bucaneve.
L'aria era leggermente frizzantina, ed era un piacere respirarla.
"Non è tanto male stare qui, dai." si convinse, sorridendo.
Quando gli alberi cominciarono a diventare man mano più bassi, la neve lasciò posto alle foglie secche e ad una patina sottile di ghiaccio, il vento si fece meno gelato, Dylan capì di trovarsi nel sottobosco.
La luce non filtrava più, e solo un caldo contatto sulla pelle lo ancorava a non avere panico.
Perché, tralasciando l'aria fresca che ormai gli trasmetteva ancor più panico, tutto lì lo faceva sentire sperduto.
E solo.
Tanto, tanto solo.
Gli uccellini se n'erano andati anche loro, come se lo volessero lasciare proprio ma proprio solo.

Dopo mezz'ora, si fermò a riposare.
"Ma cosa cazzo ho in mente?!" si chiese, sbuffando."Ora voglio proprio sapere come faccio a tornare indietro. Dovrebbero darmi il nobel per la stupidità."
Ripulì i suoi capelli neri dalla soffice neve, passandoci sopra la mano calda.
Sentì uno scricchiolio dietro di lui e cadde, colto dalla sorpresa, tra le radici di un gigantesco albero.
Non osò muoversi: la paura che la creatura dal mantello rosso fuoriuscisse dal sottobosco era troppo grande, troppo insormontabile.
Il cuore gli batté forte, sempre più forte, finché un musino dal naso nero umido non spuntò da un punto più avanti.
La volpe bianca, saltellando, gli si avvicinò e lo annusò, indecisa sul da farsi.
Dylan allungò una mano, sospirando dal sollievo, e la immerse nel pelo folto e caldo della volpe. Da un lato della sua mente, ripensava a Olaf, la sua volpe addomesticata a Sensy City, e ne rimase triste: chissà che fine aveva fatto, dopo che lui se n'era andato...
-Annie!- gridò una voce, la voce di un ragazzo.
Dalla sua sinistra, fece capolino dalla neve la testa biondissima di un ragazzo: aveva le guance arrossate, gli occhi scuri come due pezzi di ossidiana e gli angoli della bocca leggermente alzati.
Quando lo vide, assunse un'espressione leggermente sorpresa, poi puntò gli occhi sulla volpe bianca che stava ancora addosso a Dylan e disse:
-Annie, ihn in Ruhe lassen!
La volpe, come se avesse capito tutto, tolse le zampette piene di neve dal torace di Dylan e andò a rotolarsi ai piedi del ragazzo.
Questo si rivolse a Dylan e, con un sorriso timido, gli chiese in tedesco: -Wie geht es Ihnen? Ich hoffe, dass Annie hat zu viele Probleme nicht gegeben.
Dylan restò impalato lì per terra dallo sforzo di capire come rispondere al ragazzo in tedesco: non ci aveva capito una virgola.
Ma il ragazzo biondo parve capire il suo disagio e chiese comprensivo:
-Sie sind ein Ausländer?
Purtroppo per lui, Dylan non capì nemmeno questo.
Già, era andato in Germania senza imparare il tedesco. Rimpiangeva di averlo fatto, in quel momento.
Ma allora aveva problemi più importanti dell'imparare il tedesco.
-Ehm...sono americano.- cercò di scandire ogni sillaba, sperando che quel malcapitato capisse un po' di inglese.
Lo sguardo del ragazzo si illuminò e disse, in modo fluento:
-Ah, e dillo prima! Comunque, mi dispiace che Annie ti abbia dato fastidio: ama giocare, perdonala.
-Oh...- rispose solamente Dylan, sorpreso che il ragazzo abbia così ben interpretato i suoi pensieri.
" 'azzo, se tutti qui sanno l'inglese, sarà una passegiata." pensò, anche se di sicuro non era così.
Era impossibile che fosse così.
Sarebbe stato troppo bello per essere vero...
-Certo, nessun disturbo, figurati.- aggiunse, giusto per non fare la figura del perfetto idiota. Anche se dubitava di averla fatta lo stesso.
Il ragazzo biondo gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi dalle radici dell'albero e si presentò:
-Io sono Hans.
-Dylan.- accettò la mano e si alzò.
Si spazzolò i vestiti dalla neve, mentre Hans lo osservava e lo scrutava da capo a coda.
-Non sapevo che sapessi parlare inglese.- Dylan diede voce ai suoi pensieri, abbassando la testa quando superò un ramo particolarmente basso.-Cioè, qui sembrano tutti così tedeschi...senza offesa.
-Figurati.- Hans uscì dal sottobosco con l'agilità della sua volpe, mentre Dylan lo raggiungeva con passi pesanti e incerti.-Mia madre è americana e io sono nato a Los Angeles. Sei nuovo, giusto? Non ti ho mai visto qui in città.
-Già.- rispose Dylan, alzando le spalle.-Sono arrivato ieri. Abito nella casa dei Jäckonson, da mia zia.
-Ah, la vecchia Berthild?- sorrise Hans.-È un osso duro, a quanto si dice. Alcuni pensano sia una psicopatica.
-Spero siano false supposizioni, allora.- sorrise Dylan, aumentando il passo per star dietro al ragazzo biondo platino.
Era simpatico, pensò Dylan, perché non faceva domande troppo intime.
E di questo gli era infinitamente grato.
-Potresti indicarmi la via per la mia casa?- gli chiese Dylan dopo un po'.
-Ti sei perso?- chiese Hans.
-Già.
-Certo! Capita a tutti di perdersi nella Selva: quando conoscerai meglio la città, attraversare il bosco sarà una sciocchezza.- lo rassicurò Hans, cambiando direzione.
Dylan lo seguì.
E Annie trotterellò loro dietro.

Quando furono davanti alla grande reggia, Hans si fermò e disse, facendo schioccare le dita:
-Be', io ho altre faccende da sbrigare...ci si vede in giro!
Stava per andarsene quando Dylan lo richiamò con voce incerta; Hans si fermò e lo scrutò con lo stesso sorriso che gli aveva rivolto dal primo sguardo: un sorriso amichevole.
-Ehm, Hans?- chiese Dylan dopo un momento di cieca vergogna.
-Ja?
-Com'è che hai chiamato la volpe?
-Chi? Annie?- il ragazzo sembrava confuso, però sorrise lo stesso.-Perché?
A Dylan venne in mente un pezzo del suo sogno, dove c'era...
...niente. Non c'era più niente...
Com'era venuto, il sogno scomparve. E lui si ritrovò vuoto.
Digrignò i denti e sbuffò, poi si sforzò di sorridere e alzare le spalle come se fosse stata una domanda banale.
-No, così.- rispose, con voce pur sempre staccata e distante.-È un nome carino.

Underwood [IN PAUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora