Zia Beth

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Dylan vide molti cartelli mentre l'auto nera sfrecciava fra le viuzze di molti paesi, ma uno in particolare attirò la sua attenzione:
Willkommen nach Wolfen!
"Era solo un sogno." pensò quando tradusse inizialmente la scritta in lupo."È solo una coincidenza, niente di più né di meno."
Intanto la neve gocciolava dal cielo.
E l'auto continuava a gironzolare per Wolfen.

L'auto nera si fermò davanti a dei cancelli neri serrati su un cortile circondato da dei pini allineati parallelamente alla stradina di terra battuta.
La neve scricchiolò sotto le ruote dell'auto, mentre gli alberi sventolavano la neve depositata sopra i loro rami al passaggio del veicolo.
Il cielo si stava facendo scuro, mentre le nuvole con i fulmini sparivano oltre l'orizzonte.
La neve persisteva nella sua caduta.
Alfred cliccò un pulsante del suo telecomando rosso e le due ante del cancello si aprirono cigolando, sfregiando la neve.
L'auto passò oltre, raggiungendo un giardino grandissimo pieno zeppo di fiori profumati e tutti bianchi che si confondevano fra la neve.
L'uomo fermò l'auto davanti all'entrata di una casa grandissima, lunga come un treno merci di dieci vagoni e alta quattro piani.
Era di un color giallo antico, dai balconi bianchi senza imperfezioni e mazzi di fiori anch'essi bianchi pendenti da viticci che percorrevano in altezza e lunghezza tutta la casa.
Alzando lo sguardo, Dylan vide una cupola simile a quella di una cappella, con delle campane che tintinnavano dentro. Guglie e pinnacoli erano coperti da un velo di neve, bianca come una perla.
Sembrava un palazzo ducale.
"Una reggia" pensò.
Dylan rimase a bocca aperta per troppo tempo, tanto che Alfred tossì per fargli cenno di uscire dall'auto.
Il ragazzo aprì la portiera e fu investito da un vento gelato, accorgendosi solo lì fuori del riscaldamento acceso nell'auto.
Alfred gli portò la valigia e poi sparì via con la sua auto, probabilmente andando a parcheggiare.
Il ragazzo si grattò la testa, in attesa che accadesse qualcosa.
La neve in poco tempo lo avrebbe sepolto: forse era meglio così.
Alla fine si decise a suonare al campanello, un'enorme faccia di leone dove premendo il naso partiva una canzoncina di qualche sinfonia di Beethoven.
"Particolare." pensò Dylan, stringendo tra le mani la sua valigia blu con le stelle bianche.
Il portone si aprì cigolando - "Qui tutto cigola, manco fossimo in un film dell'orrore" pensò lui, - e una donna sulla sessantina si affacciò.
Se li portava bene, gli anni: aveva i capelli bianchi striati di grigio sciolti fin sotto le spalle, le rughe quasi assenti sul volto pallido, le labbra sottili verniciate di rossetto rosso e due occhi azzurrissimi.
Era vestita con un completo grigio-blu con sotto una camicia bianca e una gonna lunga fino alle ginocchia, dove portava delle calze scure; indossava sui piedi delle pantofoline rosa con i coniglietti, che rovinavano il suo aspetto da avvocato.
-Willkommen Dylan.- esordì la signora, sorridendo leggermente.-Io sono la tua prozia, Berthild Marleen Jackson. Puoi chiamarmi zia Beth. Prego, entra.
Dylan annuì e la prozia lo fece entrare, chiudendo la porta dietro di lei.
Siete mai stati in un castello?
Perché la casa della sua prozia era uguale.
Un tappeto rosso ben trattato correva per l'entrata, fino a salire delle scale che conducevano ai piani superiori, diramandosi in più direzioni.
Un gigantesco lampadario di cristallo brillava sopra le loro teste, con l'alito mille lucine di candela che diffondevano nell'aria un odore di cera profumata.
Ai lati della stanza, una a destra e l'altra a sinistra, c'erano due porte aperte che pendevano su altre stanze immani; due servitori, uno maschio e l'altra femmina, attendevano vicino a esse, immobili come statue.
-Camille, porta la valigia di Dylan nella sua stanza, per favore.- ordinò Berthild, e la donna si staccò dalla porta per prendere la valigia del ragazzo e scomparire su per le scale.
-Peter, potresti andare a dire al cuoco di cominciare il suo lavoro, per piacere? Il ragazzo sarà affamato, dopo il lungo viaggio.- aggiunse, poi l'altro servitore sparì dietro la porta sulla destra.
Per un attimo, il silenzio.
Dylan era un po' intimorito.
Si sentiva piccolo, ma anche al sicuro.
Ed era una sensazione che non avvertiva da tanto di quel tempo...
Poi la sua prozia riportò i suoi occhi azzurri su di Dylan, congiungendo le mani sopra al petto.
-Mi dispiace molto per la perdita di tuo padre, Dylan.- disse con una semplicità tale che il ragazzo pensò lo stesse prendendo in giro.-Era pur sempre mio nipote, il figlio di mio fratello, e qualche volte da piccolo è venuto a farmi visita. Ora che ci penso, sei uguale a lui... tranne per gli occhi, ovviamente.
Dylan annuì con noia, continuando a guardare la stanza dorata decorata da moltitudini di colonne con capitelli scolpiti e sculture a tutto tondo raffiguranti persone che si rincorrevano per la stanza. Erano talmente realistiche e belle che il ragazzo pensò fossero vere e stessero per uscire dalla pietra.
Poi, non aveva voglia di parlare di quel fatto che gli bucava lo stomaco ogni volta che ci pensava.
-Belle, vero?- chiese sua prozia, sorridendo con amore verso le sue statue.-Appartenevano all'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo. Ma ci sono anche altre statue scolpite da Michelangelo in persona. E i quadri sono stati dipinti da Giotto e Cimabue, quelli lì in fondo, vedi? Ce ne ho uno pure di Botticelli, da qualche parte...ma normalmente non la sua Primavera: non volevano darmela, quelli del museo. Ma pazienza, ho rimediato lo stesso qualcosa che abbia la pena di essere qui.
Dylan spalancò gli occhi.
O quella era completamente pazza, o era ricca da far schifo.
Una parte di sé pregò per la seconda, perché un'altra pazza era l'ultima dei suoi desideri.
"Botticelli? Michelangelo? Ma cosa...?" pensò, guardando la prozia.
-Prozia Berth...- cercò di dire, ma la prozia lo fermò con un elegante cenno della mano, dicendogli:
-Chiamami zia Beth. Bene, continua pure: stavi dicendo?
Dylan annuì, indicando le statue con un cenno delle braccia.
-Come hai avuto tutto questo?- chiese meravigliato, osservando i fantastici colori della stanza.
Degli stendardi medievali pendevano dal muro, abbelliti da fiori bianchi come seta.
Sì, quel posto gli piaceva.
E anche molto.
-Sono un'archeologa e una storica.- rispose la prozia, alzando leggermente le spalle, come se tutto quello fosse ovvio.-Inoltre, tempo fa la nostra famiglia era una Casata Nobile della Germania, talmente rispettabile che tuttora le persone si rivolgono a noi con il titolo di Lady e Lord. I soldi sono tanti, anche troppi: almeno mi arricchisco culturalmente, ti pare?
Il ragazzo annuì di nuovo, grattandosi la testa, a disagio.
Cosa avrebbe dovuto dire? Che era un piacere restare in quella splendida reggia? Che era felice che la sua prozia l'avesse accolto, benché non lo avesse mai visto in vita sua prima d'ora? Che non avrebbe causato problemi?
Be', forse l'ultima non gliel'avrebbe mai potuto promettere.
"Dire 'Grazie per avermi invitato dopo che tutta la mia famiglia è morta, mi sento onorato!' non mi sembra un gran modo per cominciare." pensò, sorridendo divertito.
Lo divertiva quella situazione.
Lo divertiva il fatto che la sua famiglia, dalla parte del padre, fosse stata una Casata Nobile.
Lo divertiva tutto questo, visto che si sentiva fuori luogo.
Il suo ridere si perse fra l'eco e il silenzio. Di nuovo.
La neve, fuori, si era fatta più forte.
-Senti, Dylan.- cominciò sua zia, poggiando le mani sui piedi di una statua di un uomo in tunica, forse un frate o un santo.-Io non conosco te come tu non conosci me. E non dobbiamo far finta di essere una famigliola felice, perché sarebbe strano persino per me. Non ti ho preso qui per fare opera di carità: non conoscevo neppure tua madre, e sinceramente non mi importava di incontrarla, dopo il litigio con mio fratello. Ma, sappi che ti ho preso qui perché, non avendo figli, quando io morirò nessuno potrà continuare la dinastia dei Jäckonson all'infuori di te. E non voglio che tutto questo, tutta la storia della nostra famiglia vada nelle mani dello Stato o, peggio ancora, in beneficenza.
-Gentile.- commentò Dylan, appoggiandosi ad una colonna e sorridendo in direzione della prozia.-E quindi?
-La casa sarà tua, quando morirò.- annunciò lei, sorridendogli gonfiando gli zigomi.-Prendila come un regalo per tutte le volte che non sono venuta a conoscerti: un regalo per il tuo perdono, dunque.
-Be', grazie.- rispose Dylan con indifferenza, anche se dentro di sé stava danzando dalla felicità.
Ora aveva una casa.
Un posto dove vivere.
Una vera casa!
-Ma sai che sono un ragazzo mentalmente confuso?- chiese Dylan, ridendo sotto i baffi.-Nessuno sano di mente lascerebbe la sua eredità in tali mani, è risaputo.
La prozia gli si avvicinò con fare provocante, volgendo gli occhi verso la colonna su cui era poggiato Dylan e alzando lo sguardo.
-Be', forse vuol dire che non sono sana di mente, dopotutto.- sorrise lei, rilassando le spalle.-Ma si sa, tutti i migliori sono matti.
Dylan alzò lo sguardo verso il soffitto, dove stava guardando la prozia, e vide un cielo stellato squisitamente dipinto al centro di una piramide d'oro.
-Dai, la cena è pronta. Seguimi.- disse la zia Beth.

Underwood [IN PAUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora