OverPower 3.2 - Parte 2

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Giorno 0 (bis)

"Giorno zero" scrivo sul mio diario, per l'ennesima volta.
Il diario è redatto - come ogni diario - in maniera cronologica, ma i numeri dei giorni non lo sono quasi mai. Non inizia dal giorno 1, innanzi tutto, ma dal 742, cioè più di due anni dopo l'esplosione, durante il processo.
Prima credevo di non averne bisogno, ma mi sbagliavo: tenere un diario è una buona terapia.
Ci sono quattro conteggi alla rovescia e altrettanti "giorni zero" che si sono rivelati una delusione e che sono stati seguiti da altri giorni 1, oppure - a seconda del mio umore - dal calcolo reale partendo dall'esplosione: giorno 954, giorno 2333...
Ma questa volta è diverso. È il giorno zero definitivo.
Scrivo anche questa parola sul diario e chiudo il file, deciso a non riaprirlo mai più.
Il giorno zero è quello da cui ripartirà tutto.
Mi fermo a pensare a cosa potrebbe mancarmi, di questi 3688 giorni, e oltre al diario non mi viene in mente nulla.
Più di dieci anni dal disastro dell'OverPower 3.2.
Migliaia e migliaia di pagine di un diario che nessuno oltre me ha mai letto, che nessuno leggerà mai e - soprattutto - che da domani non esisterà, non sarà mai esistito.
(È curioso come la pagina sia ancora un'utilizzatissima unità di misura del testo scritto, pur se di fogli in carta veri e propri non se ne stampano più da tempo. Ogni testo viene ancora sempre suddiviso in pagine di dimensioni virtuali e sempre differenti. Non potrebbe semplicemente essere un unico flusso? Questa cosa non smette di stupirmi...)
Mi alzo e controllo le nuvole fuori dalla finestra. Da quando sono uscito dal carcere abito in una casa modesta per stile e dimensioni, arroccata sul versante della collina al fondo di una strada tortuosa e sufficientemente difficile da percorrere da permettermi il più totale isolamento. Unico pregio estetico della mia dimora: un panorama a centottanta gradi rivolto a sud-sud-ovest. E proprio ad occidente scorgo il primo strato di cumulonembi violacei in avvicinamento, come mi aspettavo.
Adoro la precisione millimetrica che le previsioni meteorologiche hanno raggiunto negli ultimi anni: erano giorni che preannunciavano il temporale, segnalandone l'arrivo per il tardo pomeriggio in un orario che potrebbe scostarsi di dieci o dodici minuti al massimo da quello stabilito.
Mi sfrego la lunga barba con soddisfazione e mi convinco sempre di più che oggi andrà tutto bene.
Niente può andare storto.
Però devo darmi da fare.
L'abbigliamento è sempre il solito. Deve essere sempre il solito. Non deve destare sospetti, anche se è molto rara la possibilità che qualcuno mi stia spiando.
Ormai sono un emarginato.
Oscar Dome... un emarginato.
Scaccio il pensiero dalla mente a forza, come migliaia di altri che mi ostino a voler seppellire ma ineluttabilmente risalgono a galla. Pensieri che non ho mai riportato nel diario per negar loro il vantaggio della concretezza della parola scritta, per non renderli reali, ma che mi assillano ogni giorno, incuranti della loro immaterialità.
Mi infilo i pantaloni di tela marrone, la camicia a scacchi, gli scarponi logori e un vecchio cappellaccio per ripararmi dal sole. Dimostro almeno vent'anni più di quelli che ho, ed è quello che voglio: il mio travestimento è "anziano boscaiolo isolato dal mondo, dedito ad occuparsi della campagna e ad inconcludenti lavori per il risanamento del versante collinare. Dimesso, burbero, introverso, poco loquace."
Sto recitando bene, nessuno ha mai avuto sospetti che io potessi esser qualcos'altro. Ma lo sono, ovviamente! Io sono Oscar Dome! Sono un genio, lo sono sempre stato, e aspetta solo di svegliarti domani, mondo, e vedrai cosa sono stato capace di fare!
Esco nell'aria afosa di agosto e salgo sul pick up. Ogni boscaiolo ha un pick up, e nel mio caso non potrei desiderare di meglio: è l'ideale per trasportare la domeìte, nascosta in mezzo ai massi che mi vanto di usare per consolidare i letti dei torrenti.
Guido in discesa. Dopo un paio di tornanti accosto sul ciglio della strada e guardo verso la valle. Per anni ho odiato questa vista, ma oggi è diverso.
È il giorno zero.
Da domani, tutto sarà come dovrebbe essere.
Bellbourg si crogiola nel sole del pomeriggio. È una cittadina moderna e ordinata fatta di palazzi in acciaio e cristallo, inframmezzata da pochi edifici in pietra o in mattoni ricostruiti in stile novecentesco dopo essere stati rasi al suolo in quel maledetto giorno di dieci anni fa. La pianta circolare è enfatizzata dall'immenso Parco Della Rimembranza che si trova al suo centro e da cui si dipartono, a raggiera, tutte le strade principali. Il parco è, in pratica, un'unica grande aiuola con un diametro di mezzo chilometro, in mezzo alla quale sorge l'imponente obelisco in porfido rosso la cui ombra, al crepuscolo, raggiunge con il suo abbraccio protettivo persino le vie più periferiche.
Il concetto di protezione non è evocato a caso: è il significato dell'obelisco.
La protezione di Bellbourg.
La sua salvezza.
È il monumento che il paese ha dedicato a Selene.
Riavvio il motore mentre il mio umore è un misto di rabbia, dolore, rimpianto e vergogna, ma anche speranza e una prorompente voglia di rivalsa. È quest'ultima che pian piano prende il sopravvento, e mi lascio alle spalle anche l'immagine dell'obelisco e del parco.
Dovrei esserne orgoglioso, e un po' lo sono, ovviamente: mia sorella - una Dome - è l'eroina che ha sventato una catastrofe di dimensioni inaudite.
La Coraggiosa.
La sventata che più non si può, incurante della propria vita e della propria incolumità.
Chiuso nel bunker 1, strizzato con altre trentaquattro persone (avrei giurato fossero molte di più!) avevo atteso per ore che l'indicatore geiger confermasse ciò che tutti temevano: una devastante fuga radioattiva. Avevo parlato ai miei involontari compagni di sorte, spiegando che la fuoriuscita di radioattività avrebbe reso invivibile l'area intorno a Bellbourg per anni, forse per decenni, e che quindi avremmo dovuto rimanere rintanati in quel rifugio per il maggior tempo possibile, razionando le scorte in maniera rigorosa.
Dopo aver trascorso quindici ore all'interno del bunker era successa una cosa sorprendente: qualcuno aveva bussato dall'esterno. Era stato Due-Tacche ad aprire e ricordo l'espressione di ebete incredulità sul suo volto come l'unica scena divertente degli ultimi dieci anni. Oltre la porta, tre soldati semplici e un generale ci avevano autorizzato ad uscire, spiegandoci che l'emergenza era rientrata.
Quando rividi il mondo all'esterno mi accorsi che il reattore era intatto, ma la centrale era andata completamente distrutta. Si scoprì in seguito che qualcuno era riuscito ad interrompere la reazione di fissione nucleare, inserendo le barre di grafite ed evitando l'esplosione del reattore. Si erano verificate ingenti perdite radioattive all'interno dell'edificio contenente il nocciolo, ma la robusta struttura di contenimento aveva evitato che ci fossero fuoriuscite.
Nel momento in cui si era raggiunto il massimo della potenza, l'immenso calore aveva scaldato l'acqua di raffreddamento, facendola evaporare all'interno delle tubazioni e trasformando la centrale di Bellbourg in una gigantesca pentola a pressione di cemento. Senza valvola di sfiato.
Non era stato il reattore a scoppiare, ma la centrale stessa.
Non fui affatto sorpreso quando mi comunicarono che era stata mia sorella Selene a fermare la reazione, scongiurando l'esplosione del reattore e una catastrofica perdita radioattiva.
Chi altri poteva averlo fatto?
Pur tuttavia, la deflagrazione aveva spazzato via una parte delle case di Bellbourg e la frana causata dall'onda d'urto aveva fatto piazza pulita di quella rimanente.
Ai tempi, si erano contati seicento morti, ma se fosse scoppiato il reattore e se la radioattività si fosse sparsa nell'aria, le vittime sarebbero potute essere decine di migliaia e le conseguenze sulla salute dei sopravvissuti e della loro prole si sarebbero protratte per decenni.
Mia sorella aveva sventato, con il suo sacrificio, questo terribile scenario. I suoi resti non erano mai più stati trovati, ma due tecnici in fuga dall'edificio del nocciolo giurarono di averla vista correre verso il reattore, prima che esplodesse la centrale.
La fuoriuscita radioattiva si limitò a saturare l'edificio del nocciolo ma, per paura di perdite future, l'intero reattore venne in seguito seppellito sotto una colata di cemento ed è ancora lì, un'obbrobriosa pustola grigia accanto alle rovine della centrale e della torre di raffreddamento.
Sono convinto che Selene sia ancora là sotto, da qualche parte, nella più squallida delle tombe.
Erigere un monumento in suo onore era il minimo che la cittadinanza di Bellbourg potesse fare per celebrare il suo gesto. Ricordo molto bene il giorno dell'inaugurazione dell'obelisco, con le massime autorità della nazione schierate sull'attenti, il plotone d'onore, il discorso, la banda...
Se era l'onore ciò a cui ambiva Selene, l'aveva certamente ricevuto. Nessuno mi toglie dalla testa che fosse una sorta di destino, un percorso già scritto che mia sorella non doveva far altro che percorrere.
Era nata per essere un'eroina e aveva raggiunto l'obiettivo della sua esistenza.
Continuo a non capire perché Switch non se ne renda conto.
Sbuffo infastidito al suo pensiero, mentre imbocco la strada che conduce alle rovine della centrale, sfiorando la periferia di Bellbourg. Switch ha osato accusarmi di essere il colpevole del disastro dell'OverPower 3.2 - proprio lui! L'informatico incaricato dei sistemi di sicurezza! Che sfacciataggine! - e ha testimoniato più volte contro di me, al processo. Erano tutti contro di me!
Un'altra pagina mai scritta del diario...
Due-Tacche era sul punto di venire condannato per aver causato la catastrofe in base ad un vecchio regolamento - giustissimo, a mio parere - secondo cui il direttore della centrale è l'unico responsabile di ogni incidente possa avvenire. Gomma, Switch e altri si misero di mezzo, testimoniando con incrollabile faccia tosta che Due-Tacche era succube della mia superiorità e riconosceva me come capo-progetto plenipotenziario. Gli avevano creduto e lui aveva ottenuto uno sconto di pena. Sfortunatamente per lui, era crepato dopo poche settimane, per un infarto.
O forse perché beveva troppo...
Mi fermo ad un semaforo rosso e aspetto paziente il mio turno, il gomito fuori dal finestrino e lo sguardo attento sull'incedere del temporale.
"Sei un assassino!" sento urlare improvvisamente da qualcuno che non vedo. Alcuni passanti si voltano e guardano indignati verso la mia auto.
"Sei un..." ripete la voce, anzi la vocina, prima di venire interrotta da una tempestiva mano sulla bocca. Il bambino che l'ha pronunciata avrà cinque anni al massimo e i suoi occhi sono due piccole cipolle su uno sfondo nerissimo.
"Identico a suo padre" borbotto con insofferenza. E' il figlio di Black-Ciccio e l'ho già visto un paio di volte, in questa parte della città. Probabilmente è qui che vivono.
Quando ritenevo che Black-Ciccio fosse l'essere più scuro della Terra era perché non avevo ancora visto la moglie: nera come domeìte carica. Il simpatico pargolo che mi ha così gaiamente apostrofato ha naturalmente preso da entrambi, così come i fratellini - uno di poco più grande, l'altro molto piccolo - che osservano stupiti la scena dal bordo del marciapiede.
Mi diverte il pensiero che Black-Ciccio racconti storie truci ai sui figli per farli addormentare, e che in queste fiabe spaventose l'uomo nero... sia io!
Scoppio a ridere, ed è inconsapevolmente una risata sconcia, da uomo maturo, sicuro di sé e un po' misterioso. Il bambino sembra sul punto di mettersi a piangere e la madre, che lo aveva provvidenzialmente preso in braccio tappandogli la bocca con la mano, mi rimprovera muta, con un'espressione schifata. So cosa pensa di me. Pensa esattamente ciò che insegna ai suoi figli: che io sono un assassino, che la catastrofe dell'OverPower sia colpa mia, e che il suo grasso, insignificante marito si sia comportato da eroe accusandomi al processo e facendomi sbattere in galera.
Ripenso alla sua testimonianza, a come raccontò nei dettagli la vicenda delle due donne alle quali avevo rifiutato l'ingresso al rifugio e che morirono nel percorso tra i due bunker. Soprattutto, ripenso che lui stesso avrebbe potuto fare la stessa fine, che se ciò fosse avvenuto nessuno di quei tre marmocchi maleducati sarebbe mai nato, e forse non sarebbe stato un male.
La luce verde del semaforo si accende con un bagliore inconsueto, stagliandosi contro il blu violaceo delle nubi, e mi distoglie dai pensieri.
"Pochi minuti e sarà tutto finito" - ripeto più volte sottovoce, come un mantra - "tutto ritornerà come deve essere".
La tempesta si sta avvicinando rapidamente e il cielo è già interamente coperto da cupe nubi indaco, ma eccomi arrivato: la centrale è un rudere e la strada che la raggiunge è ormai una rugosa striscia di asfalto crepato e devastato dalla vegetazione. Parcheggio il pick up al solito posto, dietro una catasta di macerie, scendo e prendo il DO.T.T.E.R.: tutto il resto l'ho già portato qui in passato, poco per volta, ma questo strumento ha un valore inestimabile e non mi sarei mai azzardato a lasciarlo incustodito.
Il DOmeite Trans-Time Energy Recorder potrebbe essere l'apparecchiatura più evoluta che un singolo essere umano sia mai riuscito a produrre senza aiuti esterni, e non credo sia un caso il fatto che questo singolo essere umano si chiami Oscar Dome! Ne sono oltremodo orgoglioso.
Il concetto di base ricalca il primo apparecchio costruito nel laboratorio di studio della domeìte, ormai più di vent'anni fa, ma il vantaggio del DOTTER è una regolazione ancora più sensibile e soprattutto l'assoluta maneggevolezza: sono riuscito a compattare questa avanzatissima tecnologia nello spazio di una valigetta!
La rete in filo spinato che cinge le rovine della centrale regge un cartello in cui si vieta l'ingresso in modo perentorio e segnalando a mo' di minaccia la presenza di una telecamera di sorveglianza, ma io so che la telecamera è fuori uso da anni (l'ho sabotata io stesso, e nessuno se n'è mai accorto, alla faccia della sorveglianza!) e la rete è stata troncata, accanto al palo che ora mi trovo di fronte.
Con pochi gesti ormai abituali apro la rete, entro nella zona proibita e mi dirigo con passo sicuro verso il Punto Zero, l'omologo spaziale del Giorno Zero.
È qui che tutto ricomincerà.
Poso a terra il DOTTER e lo accendo. Sono nel luogo dove più di dieci anni prima si trovava la sala di controllo della centrale nucleare di Bellbourg, metro più metro meno. Sto camminando sulle sue macerie, nonché su uno strato di domeìte grezza lungo un metro e ottanta centimetri, largo cinquanta e profondo - giusto per avere del margine - più di venti centimetri. In pratica, un letto di domeìte.
Per anni, metodicamente, ho raccolto questo materiale in ogni luogo del mondo in cui fossero caduti dei meteoriti, e l'ho portato qui nascondendolo nel pick up, tra massi, pale, teli e altre cianfrusaglie. L'ho riunito in questo luogo e affinché risultasse invisibile l'ho sepolto sotto un basso strato di macerie varie, che rimuovo ora con rapidità. Sono galvanizzato, tutto sta funzionando perfettamente.
Mi fermo un attimo e rifletto sul fatto che anche gli altri tentativi erano partiti in maniera egregia, salvo poi diventare degli insuccessi per motivi chiaramente non dipendenti dalle mie capacità.
Un tuono esplode alle mie spalle e rimbomba lungo i fianchi della collina; una folata di vento ulula tra le rovine e alza un drappo di polvere. Il temporale sarà qui fra pochi minuti.
Mi concedo alcuni secondi: è un momento storico e non voglio farlo scivolare via senza una riflessione, un pensiero.
Oggi, 3688 giorni dopo l'OverPower 3.2, un uomo viaggerà nel tempo.
Quell'uomo è Oscar Dome.
Oscar Dome viaggerà nel passato fino al giorno dell'esperimento OverPower 3.2 e interverrà per scongiurare una catastrofe.
Sarà un eroe.
Se qualcuno oserà non credere alle sue parole, Oscar Dome lo zittirà rivelando fatti reali e circostanziati che avverranno nei dieci anni successivi. Sarà ricordato da tutti e per sempre come l'eroe che ha salvato Bellbourg e come il primo uomo a viaggiare nel tempo, e il suo nome e le sue gesta diventeranno immortali.
Un altro tuono - più vicino - sottolinea lo solennità delle mie riflessioni.
A margine, rammento a me stesso gli altri vantaggi collaterali: ringiovanire di dieci anni, riportare in vita Selene (anche se sono convinto si caccerà presto in qualche altro guaio fatale), concedermi la soddisfazione di cacciare dal team sia Switch, sia Gomma, sia Due-Tacche, quei vigliacchi, spergiuri e invidiosi che hanno tramato per farmi condannare. Ah, che bella lezione ho in mente, per loro!
Ma ora basta pensare: è il momento di agire! Collego il letto di domeìte ai cavi, e questi al Benjamin. Ho sempre trovato simpatico il fatto che l'azienda realizzatrice di questa una mini-centrale elettrica portatile che raccoglie e convoglia l'energia dei fulmini abbia chiamato il prodotto con il nome di Franklin, l'inventore del parafulmine.
All'inizio i Benjamin erano troppo poco potenti, e questa è stata la causa del secondo tentativo fallimentare, qualche anno fa. C'era anche poca domeìte, a dire il vero.
Il primo esperimento era di pochi mesi precedente e non arrivò neppure alla fase di accensione della domeìte, purtroppo: il temporale coincise con il giorno del processo che mi vedeva coinvolto in qualità di imputato. Ero convinto di cavarmela e di poter uscire dall'aula del tribunale a testa alta già nel primo pomeriggio, in tempo per la tempesta prevista per la serata, ma la testimonianza inattesa di quel lavacessi mancato di Black-Ciccio mandò tutto all'aria: dovetti rimanere in carcere tre giorni prima di poter patteggiare gli arresti domiciliari.
Comunque non avrebbe funzionato: se il secondo esperimento fallì anche per la ridotta quantità di domeìte, allora non ne avrei avuta abbastanza neppure per il primo esperimento. Questo non toglie, tuttavia, che Black-Ciccio sia da allora iscritto nella lista delle persone di cui mi devo vendicare con sottile crudeltà, non appena ritornato al giorno dell'OverPower.
Cioè fra pochi minuti.
Devo vendicarmi dell'infamia che è stata gettata sulla mia persona, dell'ignobile processo e dell'ancor più ignobile condanna: cinque terribili anni trascorsi in galera prima di ottenere che la pena fosse commutata in lavori socialmente utili. Nell'ultimo anno - benché sia costretto a vivere come un emarginato - sono riuscito ad approntare e perfezionare la strumentazione che mi permetterà di viaggiare indietro nel tempo. Inoltre, ho utilizzato ogni mezzo disponibile per raccogliere quanta più domeìte possibile, viaggiando per il mondo con ogni mezzo, spesso al limite della clandestinità.
"Oggi funzionerà" ripeto a bassa voce per l'ennesima volta, mentre la tempesta si avvicina e la pioggia comincia a colpirmi, spinta dal vento come una doccia impazzita. Sono teso, devo ammetterlo.
Attivo il DOTTER e lo collego alla domeìte. Il display si accende e sotto quel cielo cupo sembra ancora più luminoso. Ho già controllato il punto decine di volte, ma non posso permettermi di sbagliare e controllo ancora. Il DOTTER mette in collegamento la domeìte a cui viene collegato con altra domeìte presente nel passato nello stesso identico luogo, e ne rileva la carica energetica. L'ho costruito io stesso, pezzo per pezzo, e non ne esiste un altro uguale. È un peccato non poterlo portare con me, ma credo che nel mondo che riconquisterò tra poco mi prenderò un po' di tempo per ricostruirlo. E anche per brevettarlo.
Il regolatore trans-temporale è manovrato da un grosso pomello un po' vintage ma molto pratico: girando verso sinistra il display mi indica la carica energetica della domeìte a ritroso nel tempo. Giro velocemente il pomello per saltare gli ultimi anni - il display indica una carica praticamente nulla - poi rallento nel punto che già conosco: c'è un picco rosso fuoco che riempie tutto il display. È il momento dell'esplosione, quando la domeìte ha assorbito un'energia incommensurabile.
Per la cronaca, il terzo tentativo di ritorno all'OverPower fallì per una cattiva calibratura del precedente DOTTER: sarei ripiombato nel passato proprio nel mezzo dell'esplosione, ma per fortuna in quel momento io non ero già più nella sala di controllo. Non mi sono "reincarnato" e l'esperimento è fallito.
Ricordo solo un gran mal di testa.
Giro ancora il pomello, molto lentamente. La potenza scema: è l'attimo immediatamente precedente all'OverPower 3.2, quando la domeìte inizia ad eccitarsi ma si può ancora intervenire per fermare la procedura. Fermo il pomello e premo il pulsante di blocco. È tutto pronto. Sono emozionato fin nelle viscere. Mi distendo sul letto di domeìte e chiudo la copertura che ho ideato, una rozza ma efficiente struttura che trasformerà il mio giaciglio in una Gabbia di Faraday, per evitare che una folgore inopportuna mi riduca ad un mucchietto di cenere.
Il DOTTER è acceso e regolato in maniera impeccabile e il Benjamin è pronto ad attirare il fulmine più vicino e a convogliarne l'elettricità nella domeìte. Sorrido pensando che l'energia per il più futuristico esperimento tecnologico arriverà dalla prima, più ancestrale fonte: il fulmine.
Ora devo solo aspettare. Cerco di rilassarmi, di respirare in maniera costante. Qualunque cosa accada, non sarà dolorosa, ne sono convinto. Dai due oblò nella copertura vedo i lampi, vicini e potenti, mentre la pioggia martella incessante sul tettuccio a una spanna dal mio naso.
Aspettare...
Poi, tutto accade in una frazione di secondo, com'è ovvio che sia: improvvisamente sento una scossa e i miei sensi vengono neutralizzati. Non sento più la pioggia, né i tuoni, non vedo i lampi né il display del DOTTER, la mia mente fluttua come priva di gravità, non avverto la sensazione di essere sdraiato su qualcosa di solido, sono in un qualche punto tra il presente e il passato. Non mi capacito di quanto a lungo duri questo momento, di quante riflessioni io riesca a fare, i pensieri mi si accavallano, ma uno sovrasta su tutti: sto viaggiando nel tempo!
Ad un tratto, qualcosa comincia a materializzarsi. I miei sensi si attivano. Vedo un chiarore e delle ombre che si muovono, sento dei rumori sempre più distinti e riconosco che sono voci umane, poi avverto il mio respiro ansimante, la sensazione del mio corpo...
La scena si rischiara in pochi secondi ed è esattamente come l'avevo immaginata.
Esattamente come me la ricordavo.
Il sole entra prepotente nella sala di controllo della centrale e illumina il viso di Selene, il primo che riconosco. Mi emoziono nel rivedere mia sorella, mi sembra più bella che mai. Le dono uno sguardo affettuoso che la farebbe sciogliere, se solo mi stesse guardando, ma è concentrata sul monitor e non si cura di me. Accanto a lei, quel maledetto traditore di Switch! La sua vista mi aiuta a rischiararmi velocemente le idee: devo bloccare l'esperimento immediatamente!
"Fermate tutto!" - ordino con la voce impastata, come se mi fossi appena svegliato al mattino dopo un'ubriacatura - "Interrompiamo l'esperimento!"
Switch mi lancia uno sguardo divertito, poi si volta verso Selene e insieme ridacchiano.
Gliela farò pagare, a quello stronzo. E Selene si beccherà un rimprovero che non dimenticherà.
"Interrompete! Interrompete immediatamente!" sbraito, ma nessuno sembra darmi retta. Due-Tacche si volta verso di me con aria di sufficienza. "Per favore, esca dalla sala e ci lasci lavorare", mi dice accompagnandosi con un gesto della mano.
La mascella quasi mi cade dalla sorpresa: come si permette di parlarmi così? Darò anche a lui una lezione impietosa. Mentre penso a come punirlo per una tale insolenza, lo vedo mentre preme gli interruttori che aumentano la potenza del reattore.
Decido di intervenire direttamente: mi lancio verso la plancia di comando per premere io stesso il grande pulsante a fungo, ma sono troppo lento e una forte mano mi blocca per l'avambraccio, impedendomi di raggiungerlo.
Una voce alle mie spalle tuona "Black, tu puoi uscire". Mi volto e guardo in viso l'uomo che ha parlato.
Sono io.
È Oscar Dome!
Mi paralizzo a fissarlo, il fiato mi si blocca in gola. Mi sta guardando con disprezzo, come se fossi un essere inferiore, ma io sono te! Non lo capisci che io sono te?
"Io sono Oscar Dome!" sento la mia voce strillare all'uomo che è sicuramente Oscar Dome, e che infatti reagisce scambiando veloci ed esaustivi sguardi di insofferenza con i presenti. "Per favore, ora esci" - mi ripete duramente - "ti verrò a chiamare io quando avremo finito l'esperimento, e se scopro che bevi o che ti droghi, ti licenzierò all'istante!" La sua mano afferra il mio braccio ma non ho intenzione di permettere questo sopruso, e poi devo fermare l'esperimento ad ogni costo. Gli afferro il braccio, deciso a divincolarmi, ma ciò che vedo mi atterrisce: la mia mano è nera! Non nera di sporco, ma nera di natura! È grossa, con le dita tozze e una fede nuziale all'anulare, ed è assolutamente, indubbiamente nera! Dimentico tutto, mi estraneo dal mondo, alzo queste enormi, gigantesche dita davanti agli occhi e le fisso con orrore.
"Adesso vattene, Black, o dovrò cacciarti via in malo modo!" mi dice quell'Oscar Dome che dovrei essere io, spingendomi fuori dalla sala di controllo.
Black?!
Un attimo dopo sono fuori e guardo gli altri attraverso le finestre con i vetri blindati. Io sto dando ordine di innalzare la potenza, o meglio: Oscar Dome lo sta facendo, e Due-Tacche obbedisce supino, come sempre. Guardo di nuovo le mie mani, poi abbasso gli occhi sul ventre obeso, insaccato in una tuta da tecnico.
Black-Ciccio!
L'ho urlato dentro la mia testa e il nome sta ancora rimbombando.
"Non è possibile!" - grido a squarciagola - "Non è possibile!"
Ma lo è. Non c'è dubbio. Sono tornato nel passato, nel luogo giusto e nel momento giusto.
Ma nel corpo sbagliato.
Mi sento svenire, ma reagisco perché so che non c'è tempo, non c'è abbastanza tempo neppure per fermarsi a riflettere, perché il grafico ad ologramma si sta innalzando e comincia a virare verso il giallo. Vedo Selene e Switch chini sui monitor, che si consultano scuotendo la testa e vedo me - Oscar Dome - mentre ammiro tronfio il grafico che cresce. Scuoto la testa sconsolato.
"Razza di pallone gonfiato! Blocca l'esperimento, per Dio! Fermalo ora!" urlo a me stesso con una voce che non è la mia.
È la stessa cosa che sta dicendo Selene, proprio in questo momento. Non posso sentirla ma è come se lo facessi: con le grosse, orribili mani appiccicate al vetro guardo quello che succede all'interno e leggo il suo labiale, la sua espressione, risento la sua voce nella mia testa quando dice di dar retta ad Ivan, e rivivo la mia espressione che si domanda chi cavolo sia, e ci mette qualche secondo a capire che si tratta di Switch.
È tutto come allora! Tutto come la prima volta! Le parole, i pensieri, gli eventi! È possibile che sia tutto così ineluttabile, che il destino non si possa cambiare?
Mi lascio scappare un urlo animalesco e comincio a pestare i pugni contro i vetri. Devono sentirmi! Devono fermare l'esperimento! Due-Tacche si volta, mi vede e con un gesto disinteressato chiude le tende virtuali, schermando le finestre. Il vetro oscurato riflette il mio volto - quello di Black-Ciccio - e istintivamente caccio un grido dallo spavento.
"Non può finire così! Non così!"
La parola "finire" mi ricorda che la cosa più impellente, ora, è evitare l'esplosione.
Ho un'intuizione e la metto subito in pratica: mi lancio verso le scale e pianifico di raggiungere l'interruttore a leva elettrico che inserisce le barre di grafite nel reattore, bloccando la fissione. È indipendente dal software informatico ed è quindi l'unico sistema utilizzabile.
Mi fermo immediatamente: è quello che ha fatto Selene, ma non è riuscita a salvarsi!
Riparto: ho più tempo di lei a disposizione. Infatti, nessuno è ancora uscito dalla sala di controllo. Posso raggiungere l'interruttore, fermare la reazione e avere ancora il tempo di tornare ai bunker, ammesso che ce ne sia bisogno.
Mi fermo di nuovo: ho il fiatone, mi gira la testa e devo appoggiarmi al muro. Dio, quant'è pesante questo Black-Ciccio! Anche solo alzare una gamba è una fatica immensa!
Riparto: devo sbrigarmi o il margine di vantaggio si azzererà. Devo raggiungere il quadro e abbassare la leva.
Mi sembra di metterci tantissimo a scendere i pochi gradini prima della porta che conduce all'edificio del reattore. La apro di slancio e sono in un corridoio poco illuminato e talmente lungo da rappresentare una vera sfida per uno come Black. Sono scoraggiato.
All'improvviso, l'edificio comincia a tremare. Chiudo gli occhi, mi appoggio un istante alla parete e avverto la paura che invade questo corpo gigantesco.
Riprendo a correre goffamente, con una lentezza esasperante, ma corro lo stesso perché devo assolutamente azionare l'interruttore e fermare la reazione.
Mi fermo, per l'ennesima volta, e un pensiero inedito si spande nel mio cervello come una nebbia densa. Sarà Black-Ciccio l'eroe? Sarà questo goffo, grosso, molliccio negro a diventare il salvatore di Bellbourg? E Selene, allora?
Faccio per ripartire, poi mi fermo, poi riparto.
Guardo il lungo corridoio e capisco di non potercela fare.
"È tutta colpa di quel ciccione di Black-Ciccio" - sibilo tra i denti - "Se si fosse tenuto in forma, il mondo sarebbe salvo!"
Mischiate al fischio delle sirene sento le urla dei colleghi che corrono per le scale, precipitandosi verso i bunker. Non ho scelta: mi volto e torno indietro il più rapidamente possibile. Sono davanti alla porta quando questa mi viene sbattuta in faccia e mi trovo di fronte Selene. È terrorizzata e sta piangendo.
"Scusa, non sapevo che fossi qua" mi dice mentre, senza quasi fermarsi, si lancia nel corridoio. Allungo il braccio per bloccarla ma è già oltre e non riesco ad acchiapparla.
"Selene!" - la chiamo - "Selene non farlo!"
Se solo potessi avere la mia voce! Se solo potesse essere Oscar a chiamarla, e non il tecnico manutentore, magari si fermerebbe, si salverebbe!
"Selene, fermati!" grido ancora, e lei finalmente mi obbedisce, rallenta e si volta verso di me.
"Dì a Ivan che lo amo!" mi urla di rimando, le sue parole che echeggiano sulle pareti, appena udibili al di sopra delle sirene. E poi ancora: "e dì a mio fratello che gli voglio bene!"
Mi sento il cuore andare in poltiglia, vorrei correre e fermarla, ma so di non potercela fare. "Selene, non andare! Morirai!"
Lei mi saluta da lontano, con la mano, poi se la porta alle labbra e mi manda un bacio. Vedo le sue dita esili e quelle due falangi mancanti che sono il simbolo del suo coraggio, e non mi paiono più così orribili, anzi hanno un che di delicato. Selene si volta e fugge lungo il corridoio, scomparendo alla vista in una zona d'ombra.
Sono distrutto.
Esco dalla porta e sono sulle scale, dove la gente strepita e si accalca verso il bunker 1 mentre le sirene fischiano da far male alle orecchie. Switch mi sfreccia accanto mentre risale i gradini.
"Hai visto Selene? Non riesco a chiamarla" mi domanda sconvolto mostrandomi il suo cellulare di ultima generazione. Io mi stringo nelle spalle e non rispondo.
E cosa dovrei dirgli? Che è nata per essere un'eroina e questo è il suo destino? Che è fuggita lungo il corridoio ma se lui la va a recuperare moriremo tutti?
Che lei lo ama?
Nego con la testa e penso: "comincia a pagare per tutte le accuse che mi hai vomitato addosso al processo, stronzo!"
Di fronte al mio mutismo, non ha altra scelta che continuare a correre in salita, verso il bunker 2.
Sento delle voci che provengono dal basso e so già cosa sta succedendo: Oscar Dome sta cacciando la gente dal bunker 1.
Inorridisco: io dovrei già essere là! So di avere gli occhi sgranati come due cipolle bianche su uno sfondo nero mentre corro, scivolo, rotolo per le scale e incrocio Anna e Lola che stanno scappando verso il bunker 2, dopo aver appena implorato l'altro me di lasciarle entrare. Guardo il loro volto terrorizzato e so che è giustificato: moriranno nell'esplosione, le troveranno accasciate sui gradini, abbracciate.
Come faccio a conoscere i nomi delle due donne della mensa? Sono certo di non averlo mai saputo!
È Black-Ciccio a saperlo, sicuramente e la scoperta di condividere delle conoscenze con lui mi sconvolge, ma non ho tempo per riflettere: Oscar ha già azionato il comando idraulico per la chiusura delle porte.
Lo guardo negli occhi. I miei occhi. La sua figura sta sparendo dietro la porta che si chiude.
Ho ancora la forza per pensare.
Io morirò, ma Oscar Dome no, e rifarà ogni cosa come è già stato fatto, ricostruirà il DOTTER, tornerà nel passato e, in mancanza di Black-Ciccio, si reincarnerà in se stesso, finalmente.
Ma lo farà lui, non io.
Non capisco più cos'è lui e cosa sono io, ma di una cosa sono certo: preferisco vivere e pensarci con più calma. Con uno scatto, mi infilo dentro il bunker a tradimento, e le porte si richiudono dietro di me. Sento Oscar Dome blaterare, lo guardo e provo un misto di amore e odio. Sul momento, ciò che amo di più è il suo corpo - il mio corpo! - giacché sopravvivrò, ma avrò l'aspetto di Black-Ciccio.
Inaspettatamente, scoppio in lacrime, proprio nel momento in cui la centrale esplode.

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