Chapter 4

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-NO!- faticosamente mi faccio strada tra la folla, correndo nonostante i frequenti gomiti delle persone nelle costole mi rallentino. La mia voce si sente, arriva alle estremità della piazza e torna indietro, travolgendomi assieme alla paura. Non sono consapevole di ciò che sto facendo, non lo sono per niente, dal momento che sto correndo a braccia aperte verso la morte.
Mentre negli occhi della gente di Tarah per me è rimasta ormai solo compassione, in quelli dei kres trovo un certo divertimento, e una volta arrivata sotto la pedana, oltre il primo strato disgustosamente gelido degli occhi del principe, non trovo assolutamente nulla. Tutto ciò che fa è guardarmi bruciare dalle mille emozioni che porto dentro, fino a quando annuisce, facendo in modo che i kres allontananino da me la folla. Sono disarmata davanti all'inevitabile, sola come un filo d'erba in mezzo alla neve: sarò bruciata dal freddo, la vita in me si spegnerà. Semplicemente smetterò di essere.
Un sussurro impertinente si insinua tra i miei pensieri, nudo, sfacciato: "hai fallito". Non ha funzionato, non conosco né il modo né la ragione, ma un filo nella rete è stato tagliato. È collassato tutto il piano.
-Bene. Non per essere perspicace, ma presuppongo che tu sia la... figlia?- assento alzando il mento, trovando la forza da qualche parte dentro di me, forse in quella che tenta di salvare l'unica cosa salvabile: la dignità. -Posso esserti utile in qualche modo, ragazza?-. "Giusto, la politica del servo-sovrano" penso. È la maschera più inutile che sia mai stata montata, la finzione più palese che abbia mai conosciuto: Anon non può ingannare nessuno, né gli amici né i nemici.
Torno, poi, a ciò che dovrei rispondere, probabilmente qualcosa di patetico come "non uccidere i miei genitori" ma lui mi precede. -Non importa, vieni- dice invitandomi a salire sul palco. Quando poso il piede sull'ultimo gradino mi offre la mano, che ignoro completamente. -Li vuoi salutare?- per la prima volta da quando, appena arrivata in piazza, ho scorto le due figure sulla pedana, alzo lo sguardo sui volti dei miei genitori. Gli occhi di mia madre mi implorano di salvarmi, di correre lontano da quel luogo, mio padre sembra avere perso ogni speranza, la sua luce è spenta come quelle dei marchiati che ogni giorno vagano per le strade, destinate a terminare in un vicolo cieco indifferentemente dalla direzione che prendono.
Prima che possa rendermi conto di quello che sta accadendo cadono entrambi, come se l'anima fosse uscita tutta in una volta. Sono arrivata troppo tardi. Aspetto il dolore che mi toglierà il fiato, che mi accompagnerà fino all'ultimo dei miei giorni. Aspetto, mentre guardo il corpo scomposto di mia madre a terra, il vestito nero che la avvolgerà per l'eternità e nei miei ricordi. Aspetto, ma non arriva nulla.
-Questa è la giustizia, compagni. Dolorosa, ma necessaria. È terribile vedere questa ragazza sola, orfana. Per questo me ne faccio personalmente carico, mi assicurerò che non le manchi nulla. Potete andare, tarahani. Giustizia è stata fatta- dice ciò alzando le mani, poi le abbassa. Rimane a guardare i suoi sudditi obbedire, come soldati addestrati alla sottomissione. Mi abbasso sui miei genitori. Non sarebbe dovuta andare in questo modo. Uno sfavillio sulla schiena di mia mamma attira la mia attenzione. Una lama. Avevano intenzione di fuggire, sarebbero venuti con me e Jeremy. Volevano vivere.
-No- mormoro, mentre i margini della folla si dirigono silenziosamente verso le uscite della piazza. Una folla silenziosa fa paura, è innaturale. Una folla piatta, senza voci che ne alimentano lo spirito, è l'ombra della sconfitta, è la cicatrice di una speranza perduta. Non è così che dovrebbe essere.
-No- ripeto, più forte. E le persone, che nel silenzio hanno sentito, sono attente.

"Non ne vorrei parlare nemmeno io, mamma. Ma ho bisogno di sapere cos'è successo ieri sera, in piazza" non volevo farla soffrire ancora di più, ma non potevo rischiare di perderli senza sapere la verità.
"Sì, credo che sia giusto, ormai... Tuo fratello aveva quattro anni quando fu portato via. Io..." le salirono le lacrime agli occhi, così stette in silenzio per non singhiozzare.
"Jeremy?" mi rispose scuotendo il capo e, dopo essersi asciugata le lacrime dalle guance, si sfregò le mani sui pantaloni. Lo faceva sempre quando le mancavano le parole.
"No, il suo nome era Ethan. Non era nemmeno figlio di Marc, l'avevo avuto un anno prima di conoscerlo. Eppure lui si arrabbiò moltissimo quando vennero a prenderlo per reclutarlo. Era un'annata speciale la sua, lo aveva deciso Anon. Tutti i bambini che quell'anno compivano quattro anni dovevano essere portati a palazzo per diventare i migliori funzionari dello Stato. 'Figli del Regno', così sono stati chiamati. Marc era sconvolto, perse il controllo, abbatté delle guardie. Così siamo stati marchiati: Marc, io, poi te. Toccherà anche a Jeremy... Non l'ho mai più rivisto, Ethan. Avrebbe ventun'anni ora" potevo vedere il dolore scavare dentro di lei un cratere infinito. Ecco cos'era quell'ombra che le vedevo addosso, quell'invisibile velo in cui a volte stava avvolta per ore, senza parlare né piangere. Era la sua pietra nera, ognuno ne ha una. Ma quella...
"Ieri sera uno di quei bambini era lì. Phileil Ramer, conosci la famiglia. È cresciuto tanto, ma non come i suoi avrebbero voluto. Se prendi un bambino di quattro anni e gli racconti la stessa storia per i successivi venti, ti crederà. Si porterà la tua storia dentro per sempre, sarà la base del suo pensiero, di ogni suo valore e di ogni ragionamento. Per questo non volevamo. Le idee di Anon sono pericolose, impiantate in un'intera generazione possono essere distruttive. Ha cominciato a parlare e parlare al fianco del figlio del re di quanto sia utile lo stato, di quante possibilità offre che in sua assenza non sarebbero nemmeno considerate. Era farcito di stupide convinzioni sulla bontà di tutto ciò che è stato istituito. E presta attenzione, Em. Ha parlato di Anon, non di Supremo Ordinamento, né di istituzioni primarie, no. Ha parlato solo di Anon e dei suoi provvedimenti. Capisci? Tuo padre non ci ha più visto, e nemmeno io". La ascoltai in silenzio, accogliendo ogni parola come se fosse l'ultima che avrebbe pronunciato. Non sapevo cosa pensare. Avevo un fratello, da qualche parte nella mia stessa terra metà del mio sangue viveva prigioniero delle sue stesse convinzioni.

Axel è a mezzo metro da me, mi squadra in attesa. Al popolo serve fuoco. Io ho bisogno di vendetta.
Non se lo aspetta, per questo riesco a colpirlo. Gli sfregio il volto, così come ha fatto lui a migliaia di persone. La lama senza manico mi cade dalle mani, ricoperta dal suo sangue e dal mio. Si porta le mani al viso, arretrando. Ecco le emozioni che tratteneva. È umano in fondo, è mortale sotto la sua demoniaca apparenza. E proprio mentre godo del suo dolore e sento il boato della massa risuonarmi dentro, mentre nelle vene della gente comincia a scorrere qualcosa di nuovo e potente due braccia mi atterrano. Vedo una siringa, dimenarmi non porta a nulla. Entra comunque sotto la mia pelle un liquido caldo che mi porta il sonno. Negli ultimi momenti di lucidità so di avere fatto la differenza. Muoio con la consapevolezza di aver fatto qualcosa di giusto. Muoio senza rimorsi e senza rimpianti. Era questo il mio compito: creare una scintilla. Spero che il fuoco prenda vita.

Ciao. Ancora una volta ci scusiamo per il ritardo maaaaa non promettiamo nulla, siamo incasinate con la scuola e cercare di scrivere qualcosa di decente nel frattempo è come tentare di salvarsi dalle sabbie mobili e intanto mangiare un panino (okay.).
La buona notizia è che ABBIAMO IMPOSTATO I CAPITOLI NEL DETTAGLIO e in questo modo dovremmo procedere più speditamente.
#spoilerone: non muore.
Direte ironicamente ma ddaaaiii?!
Beh è sempre meglio spoilerare. Ci vediamo nel prossimo capitolo in viaggio verso...
S&V 👋❤

Braves - the third cityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora