CAPITOLO 4

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Per più di metà dal viaggio la ragazza rimase priva di sensi. Le avevano legato le mani dietro la schiena, i piedi e avevano posto la testa in un sacco di tela. Temevano avrebbe potuto spaventarsi vedendo dov'era stata posta e non volevano avere ulteriori complicazioni e, di conseguenza, rallentamenti, oltre alla ragazzina che il pivello del gruppo si era portato con sé.

Quando finalmente rinvenne, i muscoli le si irrigidirono in modo lieve, ma il cavaliere dietro cui era posta non poté accorgersene. Doveva stare attento alla strada che era tornata ripida e scivolosa.

La sensazione di pericolo, unita alla parziale cecità, le impedirono di ragionare lucidamente. A che punto del viaggio erano arrivati? Come aveva pianificato di comportarsi? Spaesata, sì, ed impaurita. Era costretta ad essere credibile, o il piano sarebbe sfumato, per cui, invece di calmarsi, serbò quella paura irrazionale, pronta ad usarla nel momento più opportuno.

"Siamo quasi arrivati" comunicò l'uomo che la trasportava.

Un sospiro generale dilagò, mentre la ragazza si preparò ad agitarsi. Doveva sembrare che volesse scendere, ad ogni costo.

"Aprite!"

Tutti i cavalli, sbuffanti per la fatica, si erano fermati e li udiva in modo chiaro alla sua sinistra, così come dalla sua destra sentì provenire i cigolii dei battenti dell'ingresso principale. Nessuno osò parlare.

La comitiva ripartì e non appena fu tutta all'interno delle mura, il portone venne richiuso.

Attraverso la tela, un forte odore colpì le narici della ragazza: rose. O era molto vicina ad una o ve n'erano a centinaia, pensò.

Diversi passi si unirono ai loro, calpestando quello che doveva essere pietrisco.

"Capitano! Ottimo lavoro. Si è accertato che fosse davvero la ragazza fuggita dal palazzo?" domandò una voce melliflua e quasi effeminata.

Non sono scappata, idiota, pensò la ragazza, felice che il sacco impedisse ai presenti di vedere la sua espressione esasperata. Come poteva, si chiese, trovarsi in una situazione simile, se già il primo dei responsabili era un autentico idiota?

"Certamente, mio... Signore."

"Bene, allora siete tutti congedati, tornate dai vostri commilitoni. Lei mi segua con la fuggitiva."

Due grosse mani afferrarono la fanciulla all'altezza della vita e la sollevarono. L'uomo la posò con i piedi a terra, ma le gambe, intorpidite dal viaggio, non ressero il peso del suo corpo e per poco non cadde a terra. Sentendo il suo gemito di dolore, tutt'altro che simulato, se la caricò sulle spalle e partirono.

La prigioniera contò a mente il numero di passi che separavano il punto di partenza dall'abitazione, sempre che fosse lì dove stessero andando. Prima che iniziassero dei gradini, aveva conteggiato tre volte fino a cinquanta pressoché in un'unica direzione.

"Capitano" lo salutò una voce giovane, probabilmente di guardia alla porta d'ingresso, in un misto di gioia ed ammirazione.

"Erik" gli rispose l'uomo di rimando. Senza che chiedesse alcunché, gli fu aperta la porta, che si richiuse dietro al Signore.

Un gran numero di voci maschili esplose attorno a loro, insieme al fragore di boccali, armi, stivali pesanti e grosse risate. Dunque non erano nella casa signorile. Erano nella caserma ed era il momento opportuno per mostrarsi impaurita. La ragazza cominciò a menar calci e ad agitare le braccia legate, ma l'uomo, nonostante i colpi che ricevette alla schiena e alle spalle e in cui la giovane non incanalò tutta la sua forza, non si scompose e proseguì la sua marcia militare.

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