Karen
Maggio 2017
Bip bip, bip bip... La sveglia suonava ormai ininterrottamente da un tempo che sembrava infinito, perciò decisi di sbirciare l'orario. Le 8:30. Coooosa?! Il mio primo giorno di lavoro ed ero già in ritardo. Fantastico! Scesi in fretta dal letto e mi precipitai in bagno a fare una doccia veloce. Dopo essermi vestita, finii di prepararmi truccandomi, acconciandomi i capelli in una coda di cavallo semplicissima, cercando di non sprecare altro tempo visto il ritardo, e scegliendo gli accessori da abbinare al mio tubino bianco e nero, definendo il look con un paio di décolleté con la punta aperta, sempre bicolore. Uscii dal palazzo dove si trovava il mio appartamento e il portiere gentilmente fermò un taxi per me. Purtroppo quella era un'ora di punta, perciò il viaggio durò più del previsto, aumentando il mio ritardo. Alle 9:30 ero davanti al palazzo dove si trovava la sede del "Tikka's Fashion". Mi precipitai fuori dal taxi, lanciando banconote al taxista, superando gli addetti alla sicurezza e i tornelli, mostrando frettolosamente il mio badge. Quando vidi che l'ultimo ascensore disponibile si stava richiudendo esclamai «Aspetti, la prego!!». Corsi, per quel che mi permettevano i tacchi, verso la porta che qualcuno stava tenendo gentilmente aperta per me. Quando fui dentro e la porta si richiuse, alzai lo sguardo e mi imbattei in un paio di occhi azzurri, che parevano lapislazzuli, e che mi stavano scrutando attentamente. Il proprietario di quei bellissimi occhi era un uomo giovane, alto più di me, circa un metro e novanta – contando che senza tacchi ero un metro e settanta – coi capelli color nero inchiostro, non troppo lunghi, che portava disordinati, come se si fosse appena alzato da letto. E a completarne il look, aveva un pizzetto alla Tony Stark. Oh mamma! Che colpo di grazia. Indossava un completo impeccabile, blu notte, con una camicia bianchissima e una cravatta azzurra che enfatizzava il colore di quegli occhi ipnotici. «G-grazie mille» mormorai, e sentendomi in imbarazzo mi voltai dall'altra parte per mettere il badge dentro la borsetta. «A che piano signorina?» mi chiese. Cavolo, essendo il mio primo giorno, non ricordavo il piano, quindi tirai fuori la mia agenda dove avevo scritto tutto. «Ehm... Al quindicesimo» risposi. Lui, che era l'unico altro occupante della cabina, schiacciò il pulsante, dopodiché si sistemò la cravatta e accarezzandosi il pizzetto disse: «Non l'ho mai vista qui, è il suo primo giorno Miss...?» La sua voce era profonda, e mi faceva un certo effetto, ma per non essere maleducata, mi voltai a guardarlo. Pessima scelta, decisamente. Come prima, rimasi folgorata dall'intensità delle sue iridi. Sentii un calore divampare sulla faccia, e sperai che non si notasse sotto il fondotinta. «Doyle. Karen Doyle. Sì, è il mio primo giorno, e sono già in mostruoso ritardo. Fortuna che la proprietaria è mia madre» risposi ridacchiando, cercando di allentare la tensione. Lui mi strinse la mano «Christopher Moon. Lei è la figlia della stilista Ygritte Tikka?» dal suo tono di voce sembrava quasi sorpreso.
«Sì, e mio padre è Scott Doyle, il famoso artista.»
Al decimo piano, l'ascensore si riempì e fui spinta verso il suo angolo opposto. Continuando la salita, vidi con la coda dell'occhio, che mi stava fissando con un'espressione strana e notai uno strano scintillio nei suoi occhi. Tra il tredicesimo e il quattordicesimo piano, l'ascensore si vuotò e rimanemmo solo noi due. Arrivati al quindicesimo piano, quando l'ascensore si aprì mi apprestai ad uscire, ma prima dissi «Arrivederci, è stato un piacere conoscerla Mr Moon». «Il piacere è stato mio Miss Doyle» mi rispose con un sorriso sghembo che fece comparire una fossetta sulla guancia.L'ascensore si richiuse e io andai verso il banco della reception per presentarmi. «Salve, sono Karen Doyle. È il mio primo giorno». «Salve Miss Doyle, la stavamo aspettando. Prego, mi segua, le mostro subito il suo ufficio.» La receptionist era una bella ragazza, vestita alla moda e impeccabile. Del resto è quello che ci si aspetta da chi lavora qui al "Tikka's Fashion". «Ecco, questo è il suo nuovo ufficio. Se ha bisogno di qualcosa, non esiti a chiamarmi. Buona giornata.» E se ne andò. Il mio ufficio era enorme. Spazioso, arioso, con una parete a tutta vetrata. Il pavimento aveva piastrelle nere, mentre i muri erano bianchi. La scrivania al centro della stanza, era in mogano, e sopra c'erano un computer, un portapenne – fornito con diversi colori a matita, oltre che alle penne – e per finire, un blocco da disegno formato A3. Mi ero appena seduta alla scrivania, sull'enorme e comodissima poltrona di pelle nera, quando bussarono alla porta «Avanti!». Entrò mio fratello, Matthew -che in azienda si occupava di marketing e altre cose riguardanti grafici e numeri di cui non capivo assolutamente nulla- e gli andai incontro, abbracciandolo. «Ciao fratellone!! Come stai?»
«Ciao Karen. Tutto bene e tu? È il tuo primo giorno e sei già in ritardo. Anche se è l'azienda di famiglia, non fai una bella figura però» mi canzonò.
«Non ho sentito la sveglia stamattina. E quando ho preso il taxi, c'era un traffico pazzesco!» risposi mettendo il broncio. Lui si mise a ridere «Va bene, va bene. Ma non prenderla come un'abitudine. Se vuoi prendere sul serio questo lavoro, devi essere puntuale, sia nell'arrivo in ufficio, che con le scadenze dei figurini. Ora, sistema le tue cose, poi vai dalla mamma che ti dirà i particolari per la prossima collezione, così puoi iniziare a disegnare.» Mi diede un bacio sulla guancia e se ne andò. Quando entrai nell'ufficio di mamma, non molto lontano dal mio, stava finendo di lavorare ad un disegno. «Karen, tesoro!! Finalmente sei arrivata. Stavo iniziando a preoccuparmi!» si alzò dalla sua poltrona e venne ad abbracciarmi. Mia madre, Ygritte Tikka, era una donna alta, bionda, con occhi di ghiaccio. Era svedese e dopo essere arrivata in Irlanda, dove ha conosciuto mio padre, è diventata una stilista di successo, creando la propria marca "Tikka's Fashion". «Ciao mamma! Non ti preoccupare, solo problemi con la sveglia e il traffico. Mamma mia, New York è molto più trafficata di Londra!».
«Allora tesoro, dimmi: com'è andato il trasloco? Hai avuto problemi?»
«No, tutto bene. Ho ancora qualche scatolone da disfare, ma nessun problema. Il nuovo appartamento è fantastico! È spazioso, ma non troppo, e ha una splendida vista su Central Park!» Risposi entusiata.
«Oh cara! Sono felicissima che ti piaccia! Ma ora parliamo di lavoro. Vieni, accomodati pure, ti parlo della nuova collezione.» Dopo che mi sedetti sulla sedia imbottita, mia madre cominciò a darmi tutti i dettagli della nuova linea autunno-inverno 2015. Erano talmente tanti che dovetti annotarmeli sull'agenda! Salutai mia madre e tornai nel mio ufficio. La linea era interamente incentrata sui colori autunnali, tipo rosso Bordeaux e marrone. Ero talmente concentrata sui miei disegni, che non mi accorsi che fosse già ora di pranzo. Mattew entrò nel mio ufficio.
«Allora, come sta andando?»
«Oh, alla grande! Guarda, sono riuscita a buttare giù qualche bozzetto» e gli mostrai i disegni. «Wow! Sono fantastici! Hai davvero molto talento, alla mamma piaceranno di sicuro!» mi fece l'occhiolino «Adesso però è ora di pranzo. Vieni, all'ultimo piano c'è un ristorante fantastico.» Ci avviammo all'ascensore per raggiungere il ristorante al trentesimo piano. «Allora, dimmi, come vanno le cose con Sophie?». Sophie era la fidanzata di Matthew e uscivano insieme già da qualche anno. «Oh sai, di bene in meglio.» mi rispose con un gran sorriso; mhm qui gatta ci cova. «Mhm.. cosa intendi con "di bene in meglio"?» dopo che vidi il suo sorriso allargarsi, mi venne l'illuminazione «Nooo, non dirmelo. Le farai la proposta?!» chiesi entusiasta. «Beh sai, è da un po' che ci pensavo...» «Matt! Ma è fantastico!!» Lo interruppi abbracciandolo forte. «Eggià, però non farne parola in giro. Prima devo ancora chiederglielo, poi se accetterà, sperando, lo annunceremo alla prossima cena di famiglia.» La porta dell'ascensore si aprì e noi entrammo. Ovviamente era strapieno, ma ciò non fermò la nostra conversazione. «Oh, certo che accetterà! Ti ama alla follia!!» per tutta risposta Matt mi fece un sorriso imbarazzato, al chè decisi di tacere. Al trentesimo piano uscimmo tutti. Mi ritrovai in un vero e proprio ristorante enorme. «Wow...» esclamai.
«Sì, è una vera forza avere un ristorante qui. Così non bisogna per forza uscire nel caldo infernale durante l'estate, e nemmeno prendere freddo l'inverno.» Si avvicinò un cameriere, e ci accompagnò ad un tavolo per due. «La mamma non pranza con noi?» domandai a Matthew.
«No, oggi pranza con papà»
«Aaah, capisco».
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Undisclosed Desire
RomanceSalve a tutti, questa è la prima storia che scrivo, sarà un po' particolare. Spero vi piaccia ^_^