La periferia delle grandi città potrebbe, ad un occhio poco attendo, somigliare ad un povero ammasso caotico di case popolari e strade malfamate. Ma se ci soffermassimo un secondo ad osservare i particolari potremmo scorgere differenze che i locali definirebbero sostanziali per delimitare una zona da un'altra. Non si può confondere un quartiere con l'altro a meno di non voler incappare in una sorta di incidente diplomatico dal quale, per ovvie ragioni, non ne usciremmo indenni. Eppure, la periferia, non è del tutto simile agli occhi distratti di un passante occasionale: è possibile scorgere gruppi di palazzi dai colori differenti così come la pulizia delle strade o delle persone che la popolano.
Se ci spostassimo nella periferia milanese, per esempio, dove la nostra storia trova il suo palcoscenico naturale, ci renderemmo conto di alcuni quartieri che potremmo, senza nulla offendere, definire addirittura residenziali. Sono palazzine ben curate edificate in quartieri poco distanti dalle strade trafficate dove le persone camminano anche a piedi senza preoccuparsi di tenere la borsa ben salda fra le mani. Vere e proprie oasi nelle quali, a detta degli slogan che tanto erano in voga nei primi anni Ottanta, far crescere i propri figli senza che le automobili possano minacciare la loro esistenza.
Ed è all'interno di uno di quei quartieri sicuri e confortevoli che la mia storia prende vita.
Proviamo insieme a vedere, piuttosto che guardare, ciò che accade per quelle viuzze pedonali avvolte nel verde di giardini condominiali sui quali, si badi bene, è severamente vietato calpestare i prati. La vedete quella ragazza laggiù? Sì, sì, quella là che cammina con il pesante zaino sulle spalle e guarda per terra. Sembra affascinata dai lacci delle sue scarpe o, almeno, così sembra ad un occhio superficiale. L'occhio basso, le spalle ingobbite non per il peso della scuola ma per quello della giovane vita, i capelli raccolti in una coda anonima così come poco effervescenti sono i suoi abiti. Si direbbe una ragazzina come tutte le altre ma non è così banale la storia che voglio raccontare.
Sapete perché cammina fissando i propri passi? Perché ha imparato che meno si guarda in giro meglio è. Perché se guardi per terra non darai adito a frasi del tipo "Ehi tu, che cazzo ti guardi?", ovvero locuzioni che vengono sempre seguite da uno spingi spingi generale condito da insulti di vario genere.
Si guarda i lacci di quelle scarpe che i genitori le hanno comprato e che non hanno nulla a che vedere con quelle che lei avrebbe voluto. Ma non si può spiegare ad una ragazzina che le scarpe che tanto vanno di moda costano troppo... bisogna che impari a farsi andare bene ciò che passa al convento e lei lo ha imparato. Eppure, quelle scarpe sono state e saranno sempre un motivo di imbarazzo per lei, perché non sono quelle scarpe ma altre.
Nella tasca del grande cappotto verde militare tiene un piccolo mangianastri. Eh sì, negli anni Ottanta non c'erano lettori cd ma vecchie musicassette che, a volte, venivano mangiate dall'apparecchio ed eri costretto a ricorrere all'uso del mignolo o di una matita per riavvolgere quel groviglio di nastro nero e lucido che era la tua cassetta preferita. Bene, anche lei ne ha uno in tasca e vorrebbe ascoltare qualcosa ma sa, per esperienza, che le orecchie sono una parte fondamentale per la sopravvivenza: se non senti arrivare il leone, tu povera gazzella, soccomberesti in men che non si dica. Così si limita a cantare fra sé, improvvisando una gran parte delle frasi perché l'inglese non è certo una lingua così facile.
Sembra felice? Spensierata? In realtà prega solo di tornare a casa per poter chiudere quella porta che la separa da un mondo tanto crudele. Vorrebbe correre ma non servirebbe. Se tanto la volessero raggiungere non impiegherebbero molto: lei non è molto abile.
Ecco: la casa è vicina, è proprio là dietro quel piccolo gruppo di sempreverdi. Può quasi sentire il profumo di sugo che sua madre avrà sicuramente preparato e già le sale la fame. Ha caldo. Vorrebbe togliersi il giaccone ma si sa che ogni secondo perso è un secondo che regalerebbe al nemico.
Riuscite a vederla, ora? Per lei sarebbe un miracolo perché, vedete, per la maggioranza del mondo lei è una ragazza invisibile. È una di quelle di cui ci si accorge quando è troppo tardi, quando magari riempie una pagina di giornale locale perché ha tentato di buttarsi giù dal balcone. La gran parte di noi nemmeno sa che lei esiste, che vive e che respira proprio lì, accanto a noi. Potrebbe essere vicino in metropolitana, oppure in piedi con noi sul tram. Potrebbe addirittura essere davanti a voi mentre leggete la storia.
È giunta al portone di casa e tira un grande sospiro di sollievo perché il viaggio di rientro è andato gran bene. Nessuno spiacevole incontro, nessun tentativo di fuga. Ma quante volte ha pensato che il peggio fosse passato e poi la vita, quella vera, le mollato un pugno sul naso? Quindi non conviene che pensi ma che acceleri il passo per chiudere la porta dietro di sé.
Venite! Se corriamo anche noi possiamo seguirla fino a casa!

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Nata ai bordi di periferia
General FictionA volte accadono cose delle quali non ne siamo consapevoli. Altre volte, invece, siamo noi stessi a viverle e ci rendiamo conto di non essere soli. Questa storia è come tante altre eppure conserva qualcosa di unico: Lei. Quella ragazza che cammina...