Da sempre esiste l'impressione che gli ascensori siano i luoghi più imbarazzanti dove trascorrere i minuti che ci separano da casa e credo sia dovuto, essenzialmente, a due fattori: lo spazio ristretto e lo specchio. Con il primo viene drasticamente ridotto quella che la parossistica definirebbe la "zona privata", vale a dire che facciamo entrare violentemente un estraneo in quello spazio personale che, di norma, riserviamo ad amici e famigliari; con lo specchio, invece, si ha la sensazione che ovunque si guardi si rischi di incrociare gli occhi di chi ci sta davanti e, per fuggire dall'imbarazzo, tendiamo a guardare per terra.
Lei è abituata a guardare in basso tanto che, a volte, si accorge di essere sola soltanto al primo piano. Allora si guarda allo specchio e osserva, stranita, l'immagine riflessa. Guarda i suoi occhi insulsamente marroni a dispetto di ciò che le dice sempre sua madre e cerca di trovare qualcosa, qualunque cosa, le possa far dire che c'è vita in quello sguardo. Inarca le sopracciglia: non sono folte, anzi, disegnano una leggera linea su quella fronte un po' troppo larga almeno per lei. Sorride. Non è un sorriso di gioia né di divertimento ma solo una breve esamina della sua dentatura. Ha portato l'apparecchio per un anno, una tortura cinese di ferraglia ed elastici che a poco è servito: i soldi scarseggiavano, così ha dovuto interrompere il "trattamento raddrizza denti" che i suoi avevano pensato per lei. È difficile, mentre si guarda allo specchio, non pensare alle voci nella sua testa che la chiamano "roito" e si trova, suo malgrado, a corrucciare l'espressione. Assume una posa sommessa e gli occhi si fanno tristi. Sì, c'è vita dietro quello sguardo ed è una merda.
L'ascensore si ferma e lei suona il campanello del suo appartamento. Due tocchi rapidi, ravvicinati: è il segnale che a suonare è uno della famiglia. Sua madre apre, distratta come sempre. Sorride svelta lasciando che sia lei a richiudere la porta mentre l'odore di minestrone le invade le narici. Ecco, se ci fosse una cosa che lei potesse cancellare dalla faccia della Terra sarebbe, probabilmente, il minestrone. Lo odia.
"Ti ho preparato il piatto di là in cucina. Riesci a fare da sola? Devo andare a stendere"
Sua madre ha sempre qualcosa da fare ma non sul serio. Finge di essere impegnata per stare meglio con se stessa: in fondo è una casalinga e le casalinghe stanno dietro alla casa. E non importa che ci sia sempre disordine, polvere e che i panni puliti ci siano solo una volta a settimana: lei ha da fare. Così, senza mettere in discussione il grande impegno che sua madre deve onorare con lo stendi panni, lascia cadere lo zaino dalle spalle, appoggiandolo alla poltrona, si toglie la giacca e le scarpe. A piedi scalzi raggiunge la cucina e già storce il naso mentre guarda la brodaglia che fuma nel suo piatto. Senza togliere lo sguardo dal minestrone si siede e apre il contenitore a chiusura ermetica che contiene ciò che renderà quel misero pranzo mangiabile: il formaggio grattugiato. Ne mette quattro grossi cucchiai equamente distribuiti sulla superficie verdognola, poi rimbocca l'ultimo e lo mangia chiudendo gli occhi e lasciando che il formaggio si sciolga in bocca. Mangia veloce e deglutendo il più in fretta possibile perché, si sa, meno il cibo sosta sulle papille gustative meno si avverte il saporaccio. Terminato, si alza e mette il piatto sporco nel lavandino assieme al bicchiere, ovviamente usato pochissimo perché di acqua non ne beve mai tanta, e va verso la camera da letto.
"Com'è andata oggi a scuola?". La voce della madre le arriva all'improvviso e la fa sussultare. Alza le spalle e corruccia la bocca che, nel suo linguaggio, significa "più o meno una merda come al solito".
La mamma le accarezza la guancia e sorride amorosa. "Sicura?"
A volte lei crede che sua madre non osservi nulla di ciò che accade e, ogni volta, si trova stupita dalla capacità di quella donna di capire quando qualcosa non va semplicemente dal modo in cui fa spallucce.
"Sì, perché?"
"Così... mi sembravi triste, tutto qui"
Lei sorride cercando di tranquillizzare la mamma. Vorrebbe dirle che non va mai bene un cazzo, che la sua vita è una merda così come le persone che incontra. Mediamente i suoi coetanei l'annoiano, non hanno un briciolo di interesse né la metà delle sue capacità intellettive. Le ragazze parlano solo di ragazzi, i ragazzi solo di ragazze... monotoni, prevedibili, inutili. Una volta Valentina, la persona che più di tutte si avvicina ad una "migliore amica" le aveva chiesto se le piaceva qualcuno e lei, imbarazzata, aveva risposto di no.
"Stai scherzando, vero? Vuoi farmi credere che non ti piace nessuno?!", la guarda come si osserva un alieno appena uscito da un'astronave e lei fa spallucce.
"Magari arriverà qualcuno... per ora no, li trovo tutti troppo stupidi. Io amo altre cose" aveva risposto cercando di spostare la conversazione su altro.
"Tipo?" la domanda è accompagnata dal sopracciglio indipendente, come lo chiamano scherzosamente per il suo modo assurdo di alzarsi a dismisura sulla fronte corrucciata.
"Tipo i libri, per esempio...". Nemmeno lei è più di tanto convinta di ciò che sta dicendo ma, in fondo, non le sembra poi così assurdo. I libri le fanno sempre compagnia e la fanno diventare personaggi diversi con vite eccezionali.
"Tu sei fuori", rimbecca Valentina. "Sei proprio strana". Non c'è cattiveria in quell'affermazione né senso di superiorità.
"Anch'io ti voglio bene, Vale"
Sì, è strana. Lo ha sempre saputo e, a volte, ne ha avuto quasi paura. Non è facile essere diversi e non è facile esserlo in un mondo di preadolescenti. Lei ama le cose che gli altri, mediamente, ignorano o considerano noioso e sembra che questo sia materia di prese in giro da parte di tutti. Quindi, cosa potrebbe dire a sua madre? Che nessuno la capisce? Sa già cosa le risponderà la donna che l'ha messa al mondo: "Tesoro, è normale che tu ti senta incompresa... anch'io provavo le stesse cose alla tua età".
Ma che hanno gli adulti di sbagliato? Perché non ascoltano e rispondono per frasi fatte? Ammetiamolo: quando si diventa grandi si crede che le problematiche adolescenziali siano una puttanata clamorosa, che paragonate ai veri problemi, cioè quelli degli adulti, sono solo baggianate. Ma non si ricordano come si soffre? Non ricordano quanto sia difficile essere giovani?
"Devo fare i compiti, mamma. Domani la prof di scienze m'interroga"
La scusa dello studio è sempre la più battuta e la più efficacie: quale genitore vieterebbe al figlio di prepararsi per la scuola? Così, la mamma lascia la presa e lei è libera di chiudersi la porta della camera alle spalle e starsene per conto proprio. Si lancia sul letto facendo un paio di rimbalzi prima che il materasso si assesti e afferra le cuffie. Aziona lo stereo e comincia a canticchiare le note di alcune canzoni che, ormai, conosce a memoria. Sono gli anni Novanta, epoca di Nirvana e Oasis... anni di musicalità commerciali eppure capaci di creare un simbolo. Ancora non conosce la musica che l'accompagnerà per il resto della vita e si accontenta di quello, senza nemmeno accorgersi del telefono che suona.
Note autore:
Benvenuti! Se siete giunti a leggere fino qui, beh grazie! Significa che un po' vi sta piacendo. Ho deciso di inserire una sorta di colonna sonora con le canzoni che andavano "di moda" in quegli anni nella speranza di regalare un Amarcord a chi avesse la mia stessa vecchiaggine o uno spunto a chi fosse così giovane da non conoscere queste canzoni.
Buona lettura e buon ascolto.
Gatsu.
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Nata ai bordi di periferia
General FictionA volte accadono cose delle quali non ne siamo consapevoli. Altre volte, invece, siamo noi stessi a viverle e ci rendiamo conto di non essere soli. Questa storia è come tante altre eppure conserva qualcosa di unico: Lei. Quella ragazza che cammina...