VI

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Wheatus, Teenage dirtbag, 2000

È strano pensare di poter anche solo lontanamente attraversare i vialetti che l'avrebbero portata a scuola. Il peso e il tormento di ciò che era accaduto al pigiama party bruciano ancora vivi sulla sua pelle e le hanno tolto il sonno. Nemmeno sua madre serve a calmarla, anzi: più lei la guarda con quello sguardo mortificato, più Benny si sente una merda degna di commiserazione. La cosa che più di tutte la fa arrabbiare è il fatto che non ha mai chiesto nulla: non le è mai importato di far parte del gruppo, né si è mai adoperata per entrarvi. Di punto in bianco si è trovata fra le grinfie di quelle stronzette e non sa come uscirne. Nemmeno pensa più alla telefonata imbarazzante che ha dovuto fare per quello stupido gioco spietato e, possiamo dirlo, meno male! Potete immaginare il baratro che si sarebbe aperto sotto i suoi piedi se avesse intuito che dall'altro capo del telefono c'era davvero Ettore?

Il cemento rossastro col quale erano state delineate le stradine pedonali le scorre sotto le suole degli scarponi pesanti che ha scelto di mettere. Se fino a due giorni prima non le interessava vestirsi bene ora le sembra che un sacco nero della pattumiera potrebbe essere davvero comodo. Comincia a sentire in lontananza gli schiamazzi degli studenti che aspettano il suono della campanella per entrare a scuola e il cuore comincia a battere forte. Le mani sudano così come le ascelle e il respiro è corto. Prova a pensare a cosa fare in caso di contatto visivo col gruppo e prepara una fuga. Primo: abbassa lo sguardo, fa finta di nulla, procede per la sua strada ignorando i commenti. In questa strategia alcune cose non avrebbero funzionato gran che, come ignorare e far finta di nulla. Già sentiva il groppone in gola figuriamoci se si fosse trovata a tu per tu col gruppo. Secondo: abbassa lo sguardo, trattiene il pianto e procede sulla propria strada. Di sicuro più fattibile e più veritiero. Una cosa, comunque, era certa: avrebbe abbassato lo sguardo. Quei suoi occhi marroni non avrebbero incrociato le iridi di nessuno perché non avrebbe retto nel leggervi il disgusto.

Gira l'ultimo angolo che la separa dal cortile d'ingresso. Ora ha la visuale perfetta per vedere quale traiettoria prendere per evitare velocemente il martirio e, porca puttana, loro stanno proprio davanti al portone. Ne sanno sempre una più di lei! Sapevano che sarebbe arrivata lì timorosa e l'hanno aspettata. Che fare?

Si schiaccia contro il muro per nascondersi dietro l'angolo. L'attesa potrebbe essere la difesa migliore. Di sicuro non l'hanno vista o sarebbero già piombati come condor sulla carcassa macilenta, perciò basta solo aspettare e il peggio sarà passato. Si tiene così tanto schiacciata contro il muro da poter diventare una cosa sola con esso, senza badare a ciò che accade attorno a lei e senza distogliere lo sguardo dal cielo al quale chiede un piccolissimo aiuto.

"Ciao". La voce la fa trasalire ed emettere un mugolio. Mette a fuoco faticosamente quel viso che le sta sorridendo benevolo. Parla con lei? Davvero?

Ettore la sta osservando ed è curioso di capire perché stia cercando di entrare nel muro della scuola.

"Ciao". Mai fidarsi, mai abbassare la guardia. Lui è il maschio alfa di quel branco che vorrebbe sbranarla, perciò massima attenzione.

"Beh, ti... stai comoda?". È imbarazzato ma lo cela molto bene: se lei lo conoscesse un attimo saprebbe che quando ha difficoltà a trovare le parole significa che è vulnerabile.

"Come?". Benny nemmeno si è resa conto di essere ancora un tutt'uno con il muro e quando realizza si stacca velocemente, ricomponendosi.

"Ah, il muro dici... sì, mi piace starmene così ogni tanto". Lui ride, ma non è una risata di sfottò né cattiva. È sinceramente divertita dalla sua battuta.

"Wow", continua Benedetta, lasciando morire il resto della frase in gola.

"Cosa?", ora è lui a non aver capito.

"Hai capito la mia ironia... wow". È sempre stato difficile trovare qualcuno che comprendesse quando scherzava e ora, il maschio alfa, l'aveva capita. Anche lui è sorpreso: stupito del fatto che lei sappia scherzare nonostante al di là del muro ci sia il gruppo ad attenderla.

"Ti aspettano, sai? So che lo stanno facendo". Quell'improvviso cambio della discussione la fa rabbuiare perché sa che lui ha ragione.

"Già", fa eco laconica.

"Forse... credo che sia meglio che io vada avanti. Magari posso distrarli e tu potrai entrare inosservata". Lo dice con una semplicità disarmante e Benedetta avverte quel bruciore allo stomaco tipico delle trappole.

"Perché?". Lui non comprende la domanda e alza un sopracciglio.

"Perché, cosa?"

"Lo fai", risponde abbassando lo sguardo. "Perché vuoi aiutarmi? Sono tuoi amici, no?"

Ettore sospira. In quel momento comprende quanto lui possa essere paragonato alle persone che frequenta e s'infastidisce. Lui non è come loro! Non è un animale da soma, non è uno che prende MTV come il massimo esperto della vita degli adolescenti, non è uno che insulta gratuitamente. Lui-non-è-come-loro!

"Allora? Il fatto che io esca con loro non significa che siano amici miei. E poi cosa significa? Credi che io mi alzi la mattina col pensiero fisso di insultare qualcuno?". Forse, c'è un po' troppa foga nelle sue parole e Benedetta incurva le spalle, come nel vano tentativo di proteggersi da una valanga di improperi che da lì a poco le pioveranno addosso. Ma non accade. Lui la guarda fisso e aspetta una sua reazione. Benedetta sente i suoi occhi su di lei e arrossisce: davvero gli interessa cosa pensa di lui?

"Non... non volevo offenderti... io credevo che tu ti ci trovassi bene con loro". Ettore si rilassa, capisce che ha avuto una reazione un po' eccessiva.

"No, scusami tu. Non dovevo reagire così. È solo che mi dà fastidio che tu pensi che io sia come loro, tutto qua". Il cuore di Benedetta perde un colpo: ha davvero detto quello che ha detto? Ettore non vuole che lei pensi qualcosa di brutto su di lui?

Anche il cuore di Ettore perde un colpo: ha davvero detto quello che ha detto? Le ha confessato che a lui interessa ciò che lei pensa?

"Devo andare", dice frettolosamente mentre si volta e prosegue la sua strada, fiducioso del fatto che Benedetta non lo seguirà. Ha il cuore che martella nel petto e sorride, imbarazzato. Le dà le spalle così che non possa vedere le sue orecchie che, di sicuro, sono rosse. Benedetta lo guarda andarsene, ancora incredibilmente sorpresa di ciò che ha sentito.


Nata ai bordi di periferiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora