II

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Poco distante dal grande portone in vetro, dove la ragazza scompare ingoiata dalla penombra dell'atrio della palazzina, si trova un piccolo parco giochi. In quel parco, così come accade di solito, troviamo delle panchine in legno ridotte ad un insieme di assi scomode sulle quali i ragazzi, di svariate generazioni, vi hanno scritto le proprie frasi preferite. Caterina sei figa! oppure Frocio chi legge sono solo alcuni degli esempi di ciò che vi sto descrivendo e che, ne sono certo, avete letto anche voi.

Orbene, proprio su una di quelle panchine sgangherate siede un ragazzo e, si badi bene, evita accuratamente di sedersi come ogni cristiano si siederebbe, preferendo appoggiare il deretano, stretto in un paio di Levi's 501, sullo schienale. Lui è il figo della scuola... tutti ne abbiamo visto almeno uno nella vita e lui è proprio un maschio Alfa, uno di quelli sempre circondati da ragazzi e, soprattutto, ragazze e che, senza un apparente motivo, vengono venerati coma antiche divinità greche. Ecco, lui è così. Nessuno, e ribadisco nessuno, oserebbe mai mettere in discussione la sua posizione gerarchica nemmeno se, contro ogni buon senso e previsione, osassimo dire quanto tutto quel testosterone, in realtà, finirà col ritorcerglisi contro. Se, infatti, dicessimo che fra quindici anni il nostro figo diventerà calvo e con la pancetta proprio a causa di un eccesso di ormone maschile ci appenderebbero al muro con i loro sguardi increduli. Ma si sa che la vita fa brutti scherzi: la bellezza dell'asino la chiamano. Eppure, al momento della nostra storia, poco importa cosa accadrà nel futuro: lui è lì, seduto su quella panchina. Per ora lui è il figo della scuola e, come tale, è accerchiato da amici che sperano di poter godere della luce riflessa della popolarità.

Le dinamiche di un gruppo somigliano a quelle di un qualsivoglia branco animale: l'alfa fa, i gregari fanno; l'alfa dice, i gregari dicono. Banale, semplice eppure efficacie. Ecco che il nostro alfa sospira e i suoi gregari lo guardano incapaci di dare un senso compiuto a quel gesto. Alla destra del nostro maschio dominante siede quello che gli etologi definirebbero il Beta: Tommaso, detto Tom oppure Tommy. È un ragazzotto robusto, con i capelli biondicci portati rigorosamente a spazzola così come sua madre, la signora Agata, gli impone anche se lui non lo ammetterebbe mai. È sua madre a tagliarglieli in casa e con la macchinetta, una volta ogni venticinque giorni. Tom non riesce a godere nemmeno di una velata ricrescita selvaggia che subito la signora Agata gli dice "E' ora che tagliamo quei capelli. Sembri uno scappato di casa!". Sebbene nel gruppo abbia l'aspetto e i modi del beta, in casa è un piccolo cucciolo che risponde "Sì, mà" rimediando, immediatamente dopo, uno scappellotto sulla nuca perché la parola mamma non si abbrevia.

Alla sinistra troviamo Simone, detto X per la sua capacità di segnare il goal del pareggio in una qualsivoglia partitella di calcio. È un tipo decisamente stupido, lo si può notare facilmente dallo sguardo perso nel vuoto. Non ha proprie idee fatta eccezione per i bisogni primari fra i quali, il più diffuso, è quello di espellere rumorosi rutti. Sarebbe raccapricciante per molti ma non per Caterina, detta Cate, la sua ragazza che, diversamente, ride sonoramente ad ognuno di quei gesti barbari e gutturali.

Il nostro ragazzo, invece, ha un nome testosteronico quanto l'aspetto: Ettore. Senza diminutivi perché, si sa, nulla in quel ragazzo può essere diminuito neppure scherzando. È più alto e più sviluppato dei suoi compagni sempre per colpa di quell'ormone maschile che, quindici anni più tardi, lo renderà calvo. È calmo. Sembrerà strano ma parla poco eppure in quei silenzi riesce ad esprimere tutto ciò di cui ha bisogno. Sguardo sveglio, altra cosa rara fra i membri della sua specie: occhi di chi viaggia col pensiero fra ragionamenti interessanti. Ecco perché non parla: non avrebbe nulla da dire che i suoi gregari potrebbero comprendere.

"Piuttosto che dare perle ai porci è meglio tacere", aveva detto una volta suo padre quando suo fratello maggiore, Adriano, scherniva il nostro Ettore per i suoi lunghi silenzi. Ettore aveva sorriso e da quel momento aveva deciso di fare di quell'affermazione del padre una sorta di motto personale.

Ma torniamo a quel pomeriggio autunnale, quando la nostra ragazza viene inghiottita dal buio dell'atrio del suo palazzo sperando di non essere notata da alcuno. Or bene, il nostro Ettore l'ha vista e non è la prima volta. L'ha notata l'anno precedente durante uno di quei noiosi intervalli a scuola, quando i ragazzi si riversano nel cortile dividendosi in gruppi e schiamazzando come forsennati. Lei sedeva, da sola, sull'erba torturando un piccolo fiore giallo di tarassaco, uno di quelli che volgarmente si chiamano piscia-a-letto. A colpirlo fu proprio la sua solitudine. Perché? Perché nessuno le sta accanto? Perché non schiamazza come tutti in quella scuola?

Aveva deciso di guardarla da lontano incuriosito da quella ragazza così simile a lui e, da quel giorno, la osservava spesso.

Ecco perché la vede camminare verso il suo portone con la testa bassa. Anche Marco, un gregario senza arte né parte, l'ha notata.

"Ehi! C'è il roito!", dice ridendo e pronunciando quella parola di cui ignora il vero significato. È stata Chiara a portarla nel gruppo, la parola intendo, perché lei è una che legge. Parecchio. Così è cominciato l'uso di roito. Nel momento in cui Marco fa la sua uscita, tutti i presenti ridono. Tutti, tranne Ettore che, anzi, solleva gli occhi per incrociare quelli del gregario stupido.

"Stai zitto, deficiente". Lo dice così, senza nemmeno pensarci sopra, senza prevedere ciò che da quel momento sarebbe accaduto. Il branco lo guarda stranito. Perché l'alfa dovrebbe difendere il roito?

Come dicevo, i meccanismi di un gruppo sono molto simili a quelli di un branco nel quale l'alfa è costretto, ogni tanto, a far valere il proprio diritto di potere. Da quel momento al nostro Ettore si apriranno diverse strade fra le quali dovrà scegliere se rimanere dominante oppure lasciare il posto a qualcun altro.

Se vi dicessi che, ancora oggi, ripensa a quei giorni chiedendosi per quale stupida ragione ha preso la via sbagliata mi credereste? Eppure la vita è strana: quindici anni dopo Ettore è un uomo; quindici anni prima Ettore è solo un ragazzo.


Nata ai bordi di periferiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora