La prima cosa che udì fu una voce lontana che urlava il suo nome; uno scarno avanzo della vita che aveva avuto e che non sarebbe tornata più.
Cleo spalancò gli occhi, intorno a lei c'era solo buio.
L'aria entrò violenta nei suoi polmoni come se vi fosse mancata da troppo tempo. Giaceva composta a terra, con la schiena poggiata al pavimento e le braccia acconciate sul petto, allo stesso modo in cui ricordava di aver visto qualcuno dentro una bara.
La seconda cosa che avvertì, invece, fu un odore anomalo che rendeva l'aria talmente viziata che pensò che inalarne troppa l'avrebbe avvelenata.
Quando i suoi occhi cominciarono ad abituarsi alla penombra notò un'unica fonte di luce. Una strana foschia luminosa, di colore rosso, che arrivava dall'alto.
Decise di muoversi.
Fu in quel momento, quando schiuse le braccia e sfiorò per la prima volta il gelido pavimento metallico sul quale giaceva, che il suo cervello si accense, come se qualcuno avesse spinto il tasto di "avvio".Non ricordava nulla al di fuori del suo nome. Non sapeva chi era, dove fosse cresciuta, chi fossero i suoi genitori. Non era in grado di collocare nessuna delle sue conoscenze ad un momento precedente al suo risveglio. Sapeva parlare, sapeva cos'era un pavimento, un'automobile, una scuola o un ospedale. Aveva la cognizione di molte cose ma non riusciva ad associare ad esse nessun essere umano, né volti, né nomi.
E più si sforzava di mettere a fuoco qualcosa che la aiutasse a capire dove o perché si trovasse lì, più quel qualcosa sembrava dissolversi. Provò ad immaginare chi l'avesse lasciarla lì, ma la sua memoria era stata svuotata da ogni ricordo.
Sentì una grande tristezza avvolgerla completamente. Anche ricordare l'informazione più insignificante l'avrebbe comunque fatta sentire meglio. Ma ciò non accadde, e la tristezza iniziò a trasformarsi in preoccupazione.
Dove si trovava? Perché era lì? Pensieri orribili le inondarono la mente.Il sudore le colava dalla fronte e scendeva fino alle orecchie al collo, e i capelli le si appiccicavano alla pelle. L'aria, sempre più ammorbante, stava diventando faticosa da inghiottire. Era come se il vapore che inspirava scendesse fino al fondo dei polmoni solo per poi rimanere lì, a ristagnare come una pozzanghera fangosa sul ciglio della strada. Provò persino a trattenere il fiato, anche se bastarono pochi secondi di apnea a farla cedere, costringendola ad inalare ancora quella nebbia puzzolente.
Mantieni la calma, si disse allora, ma la paura incipiente non le lasciava tregua.
Cercò così di alzarsi, ma scoprì presto che il solo trascinarsi su un fianco l'avrebbe lasciata senza fiato. Perché era così stanca? Raccolse allora tutte le energie che le erano rimaste e si buttò con tutto il peso in avanti, riuscendo finalmente ad alzarsi.Quando fu in piedi, riuscì a stabilire meglio le dimensioni di quel posto claustrofobico. Cleo si sentì come seppellita dentro un'enorme bara.
Era un grande cubo scuro apparentemente sigillato su ogni lato tranne che per il soffitto. Da lì, attraverso due griglie dalle maglie molto strette, giungevano sia l'aria che la foschia luminosa.
Brancolò nella semioscurità fino ad una delle pareti, in cerca di qualcosa che le potesse sembrare una via d'uscita. La maniglia di una porta sarebbe stata un buon inizio.
Cleo fece scivolare le mani lungo tutta la prima parete. Constatò che, come il pavimento, anche i muri erano fatti di metallo; freddi, viscidi, ricoperti di condensa. Poi le sue mani si imbatterono in qualcosa di completamente diverso. Scorse con le dita su quel nuovo materiale un paio di volte prima di capire che si trattava di legno. Una cassa. Due per l'esattezza, una impilata sopra l'altra.
Non fu difficile trovare anche le altre lungo i muri della bara; tutte erano inchiodate o coperte da altre casse, e per quanto tentò di aprirle, era impossibile riuscirci a mani nude.
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LA PRIMA PROVA - Maze Runner Saga
FanficLe sue urla rimbombavano lungo i muri di pietra. Premeva forte sul fianco di lui con entrambe le mani, mentre ne sentiva il sangue bagnarle la pelle. Non sapeva cosa fare. Non riusciva nemmeno a guardare quella ferita. «Mi dispiace, mi dispiace tant...