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[03. Terzo abisso]

L'orologio appeso alla parete segnava le dieci meno venti e io ero ancora in pigiama. Mi alzai dal letto, mi spogliai dei vestiti e dell'intimo, per poi entrare nella doccia. Aprii il rubinetto e l'acqua fredda mi bagnò, lasciandomi sfuggire un' imprecazione, per non aver controllato prima di agire.

Sbuffai e tornai a godermi quegli ultimi attimi di pace e tranquillità. So che Sophia mi aveva vietato di andare al locale, ma abbiamo le bollette arretrate da pagare e, di certo, non posso permettermi di crogiolare o di riposare.

Uscii dal piccolo bagnetto con ancora l'asciugamano avvolto attorno ai fianchi e infilai l'intimo, per poi indossare la divisa da lavoro: una gonna nera, con una blusa bianca, le calze trasparenti color carne e le décolleté nere, il grembiule lo avrei indossato una volta dentro.

Mi truccai lievemente, giusto per nascondere la mia espressione febbrile,  e mi recai alla porta di casa, per poi varcarne la soglia. Mi infilai il berretto, della sera precedente, e la sciarpa, avvolgendola attorno al collo. L'ultima cosa che mi mancava era rimanere senza voce in un impiego che, invece, la richiede.

Inziai a camminare, da sola e al freddo, liberando la mente da tutti quei pensieri che non mi avevano lasciata dormire - ad esempio quel ragazzo, che ho scoperto si chiamasse Harry. Tirai la porta del pub verso di me e vi entrai, accesi le luci e mi sistemai dietro il bancone, attendendo l'arrivo dei primi clienti.

[...]

Nightingale

L'insegna luminosa e intermittente del locale mi teneva compagnia, mentre riprendevo fiato. Un coniato di vomito mi aveva pervaso ed ero corsa fuori per gettare tutto ciò che avevo dentro.

Mi pulii le labbra con una salvietta presa dalla borsa e respirai lentamente, poggiandomi alle mura dell'edificio alle mie spalle. Si udiva solo il mio ansimare e il soffiare del vento. Mi strinsi nel capotto e mi accasciai a terra, sentivo il torpore degli arti e la testa pulsarmi violentemente.

"Ciao, piccola."

"Ti prego, non anche tu." Raccolsi le gambe al petto, sentendo il freddo penetrarmi nelle ossa.

"Lascia chi ti aiuti."

"Non ce n'è bisogno, so prendermi cura di me stessa." Ribattei infastidita, con le poche forze che mi rimanevano.

"Devo proteggerti, lo sai."

"Basta con questa storia!" Gridai. "Non so nemmeno chi sei, almeno lascia che ti veda."

"Non posso." Sussurrò. "Nessuno sa chi sono o meglio nessuno deve saperlo." Continuò. "Per te sono il tuo angelo protettore, ma non chiedermi altro."

"Perché non puoi rispondere." Conclusi al suo posto.

"Esatto."

Sentii la sua mano accarezzarmi la guancia dolcemente. Era soffice e grande, mi fece sentire a casa. Somigliava molto alle carezze che mi faceva mia nonna.

"Ti porto a casa, hai la febbre alta." Percepii le sue braccia avvolgermi e sollevarmi da terra.

Poggiai la testa al suo petto e il calore delle sue braccia mi scaldò lentamente, facendomi sorridere. Il suo corpo era fasciato da un abito elegante nero e la suola delle sue scarpe echeggiava in tutti gli angoli. Tremai e mi strinse a sé con delicatezza, senza farmi del male.

"Grazie, Harry."

"Non devi, lo faccio perché..."

"Perché?" Sussurrai, tossendo.

"Devi riposare." Intravidi vagamente le sue labbra piene e rosee.

Fu l'ultima cosa che vidi.

Black hoof | H.S (#Wattys2018)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora