01. Escape

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Esisteva solamente un luogo in tutta la Terra in cui Clarke, persuasa ad assecondare le proprie scelte, potesse rifugiarsi. Un posto in cui la solitudine sarebbe stata da padrona, lasciando la ragazza isolata dal resto del mondo. Circondata dal silenzio, dagli incessanti ricordi che scavavano nel suo animo, senza mai donarle un attimo di pace. I suoi piedi la condussero alla navicella, la vecchia "casa", un tempo difesa con tanto ardore da quei cento ragazzi atterrati mesi prima. O forse, erano passate solo pochi giorni? Mesi? Nemmeno più si ricordava. Il tempo aveva inghiottito ogni cosa, indelebile tuttavia il dolore per le perdite dei compagni che ancora pulsavano dentro. In quell'istante, tutto ciò che la bionda vide fu desolazione ed un macabro risentimento. Tremò appena nello scorgere quella scena, come se non si fosse mai del tutto abituata alla carneficina che da sola aveva scatenato.

Scheletri di terrestri bruciati giacevano sulla nuda terra, attorniati dalla loro stessa cenere e dalle loro armi. Nel raggio di pochi metri, quello spettrale paesaggio emanava un silenzio di morte. Superò i resti di quei guerrieri che si erano battuti con tanto coraggio per il loro popolo, valicò la fittizia porta fatta di tende, per riscoprire nuovamente l'interno della sua precedente dimora. Cercò di non pensare agli avvenimenti passati, ma la sua mente non ascoltò quelle sue preghiere. Rivide i volti dei suoi compagni, taluni sorridenti, altri sofferenti. Rivide i morti, che giacquero lì sia per la malattia misteriosa che li aveva colpiti a causa dei nativi, sia per le frecce di questi ultimi.

In un lampo fu pervasa da strazianti scene, visioni orribili che non fecero altro che intensificare il suo dolore, la sua agonia. Gli uomini della montagna, donne, bambini, Innocenti che erano stati barbaramente assassinati per suo stesso desiderio, per liberare i suoi amici. Esseri umani decimati per farne sopravvivere altri. Ascoltò nuovamente le urla dei terrestri che venivano arsi vivi dai motori della nave, gli occhi di Anya, la disperazione in quelle iridi. Valeva la pena uccidere, per salvare la propria gente? Sacrificare centinaia di vittime, umani come lei, come loro, per sopravvivere? Socchiuse gli occhi, sedendosi sul freddo metallo della navicella. Era stanca di tutto, spossata della propria vita così corrosa dall'oscurità. Forse il sonno le avrebbe riconciliato i pensieri, dandole la pace che tanto agognava.

Nonostante quelle silenti preghiere, neanche i sogni ebbero pietà di lei. In men che non si dica fu accerchiata da una miriade di individui, sulla cui pelle si stavano formando pustole rossastre, che si espandevano a vista d'occhio. I loro rantoli riecheggiarono nelle orecchie di lei, Clarke tentò di scappare attraverso il corridoio nel quale s'era ritrovata ma i cadaveri stesi dei bambini le fermarono il percorso. Non seppe più in quale direzione andare, ovunque vi era distruzione e morte; si ritrovò ben presto sommersa dalle salme degli abitanti del Monte. Con un grido acuto, la giovane si destò da quel tremendo incubo, col cuore che pulsava fin troppo rapido nel petto. Il respiro era mozzo, gocce di sudore le rigavano la fronte. Il tremore ancora non l'aveva abbandonata del tutto. Quella carneficina era stata una sua scelta, come tutto il resto in quel folle viaggio alla riconquista della Terra.

"Sono un'assassina" pensò amareggiata.

Presto si ritrovò il viso bagnato. Sottili e salate lacrime le scivolarono lungo le sue guance, fino a caderle sulle ginocchia. Non riuscì a frenare quel fiume in piena, non tentò neanche di farlo. Per una volta, lasciò che i sentimenti fuoriuscissero dal suo corpo. Per una volta, sfogò la sua rabbia ed il risentimento, troppo a lungo incarcerati nel suo animo. Dopo alcuni intensi minuti, la leader del Popolo del Cielo si ricompose, riacquisendo la sua consueta compostezza. Indossò nuovamente la sua maschera di freddezza, facciata che spesso mostrava agli altri e che in pochi conoscevano esser falsa, si alzò, e frugò tra gli oggetti che, settimane prima, appartenevano al suo popolo. Un manipolo di ragazzi, troppo giovani per essere dei soldati, e troppo inesperti per poter vivere in quell'ambiente.

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