otto.

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Sono consapevole di non esserci stata per una vita, ma ho avuto un sacco da fare tra la tesi, la laurea l'organizzazione della mia epica fuga da qui (non tanto epica, ma okay).
Comunque, spero ne sia valsa l'attesa, anche se il capitolo è corto e va un po' a rilento. Ha tutto senso per la trama comunque, giuro hahaha.

*Nella foto, la ragazza che ha ispirato Diana :)*

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Londra, Gran Bretagna. Giugno 2015.

Fare come lavoro la commessa in un negozio di musica aveva i propri vantaggi. Intanto, tenere la radio costantemente accesa, da quando arrivava al lavoro a quando se ne andava. Scegliere la musica in base a come si sentiva, canticchiare per il negozio senza che nessuno se la prendesse, ordinare i cd col proprio ritmo, senza alcuna fretta, chè tanto quel negozio lo conosceva solo chi ci era già capitato o lo conosceva da sempre.
In genere non ci si passava davanti per puro caso. Una rarità, come un fiore che nasce spontaneamente dalla sabbia del deserto.
In più poteva prendersi una pausa di tanto in tanto. Uscire dieci minuti e fumarsi una sigaretta, prendersi un caffè. Cose del genere. Cose di cui aveva bisogno, concessioni di cui era grata. Ma, ovviamente, c'era anche il lato negativo... gli orari lunghi, i clienti strani, e tanto – troppo – tempo per pensare. Specialmente in quel periodo, con l'estate che si avvicinava e la voglia di scappare per un po' che le nasceva nel petto come ogni anno, puntuale come la primavera.
Diana sbuffò pesantemente, lanciando un'occhiata stanca fuori dalla vetrina, osservando alcune gocce di pioggia cadere pigre sull'asfalto, mischiarsi alla polvere di quella stradina laterale, asciugarsi dopo qualche istante per il caldo che finalmente anche a Londra iniziava a farsi sentire. Sfilò una matita dai capelli, portandone poi una ciocca blu scuro dietro l'orecchio, con l'ennesimo sospiro stanco di quella giornata che sembrava non riuscire a finire. Era una di quelle giornate davvero vuote, con pochi clienti, il tempo pigro quanto lei e i pensieri che ad un certo punto iniziavano a vorticarle per la mente come impazzite, senza che riuscisse a fermarli, per quanto volesse.
Zayn. Era lui al centro di quei pensieri. Lui, che amava così tanto ma che sembrava scivolarle tra le dita come sabbia. Lui, con quei capelli che si ostinava a far crescere e quella barba che non aveva mai voglia di radere. Lui, con quel sorriso da far invidia alle stelle e le mani grandi, tanto forti da averla sorretta ogni singola volta in cui si era sentita crollare. Lui, che le avrebbe portato la luna se solo lei avesse avuto il coraggio di chiedergliela. Lui, che forse l'avrebbe anche lasciata andare, se solo lei avesse avuto il fegato di parlargli, di dirgli cosa la preoccupava, cosa non sopportava più, cosa avrebbe voluto indietro.
Guardò l'orologio appeso alla parete, tirandosi più dritta sullo sgabello e riprendendo a ordinare una pila di dischi usati – di quelli in vinile che solo chi conosceva davvero la musica finiva per sfogliare, guardare con occhio critico e poi forse acquistare. Aspettava quasi con ansia che arrivasse l'orario di chiusura, in modo da poter vedere Zayn entrare nel negozio con un sorriso che aveva atteso per tutto il pomeriggio, mettere a posto le ultime cose, spegnere le luci e chiudere tutto con l'ultimo sospiro che si sarebbe lasciata sfuggire.
O almeno sperava sarebbe stato l'ultimo. Ce ne sarebbero stati altri, se il suo ragazzo avesse passato la serata attaccato al proprio blog, sorridendo come un idiota. Sorridendo per qualcosa che non era lei. Quello faceva male. Faceva male da giorni, essersi accorta di quanto fosse assente, di quanto lo sentisse lontano, di quanto fosse preso da qualcosa che lei non capiva più, che lei nemmeno conosceva.
Perché Diana non sapeva nulla di Amethyst. Diana non poteva sapere che il suo ragazzo avesse conosciuto qualcuno dall'altra parte del mondo, non sapeva quanto lei lo facesse sentire a casa e non sapeva di cosa parlassero, cosa avessero in comune, cosa lo facesse sorridere in quel modo che tanto la insospettiva, ma non le dava il coraggio di chiedere, di diventare gelosa, di fare una scenata, di litigare con lui come forse non avevano nemmeno mai fatto.
Continuava a fidarsi di Zayn come di un fratello, come aveva sempre fatto dalla prima volta che l'aveva guardato negli occhi e le era spuntato spontaneamente un sorriso sulle labbra, che non era riuscita a fermare, che forse nemmeno si era accorta di aver fatto. Si fidava di lui, dei suoi occhi scuri e delle sue labbra piene. Si fidava del suo sorriso, di quel che vedeva nel suo sguardo, delle sue mani e delle immagini che amava imprimere sulla carta per non scordarle.
Si fidava dei suoi scatti, di quelli che erano i suoi pensieri impressi su tela. Lei era in quegli scatti, era impressa nella sua arte. Ed era orgogliosa di esserci, era fiera di aver attirato la sua attenzione... grazie a lui aveva imparato a conoscersi meglio, aveva imparato ad amare quello che di se stessa non le era mai piaciuto, aveva preso ad amare il proprio corpo, aveva accettato il proprio essere così strana e diversa che per tutti gli altri era un ostacolo, ma che per Zayn era un capolavoro, ed era stata la prima cosa che le aveva detto. Anche prima di presentarsi, anche prima di tutto.
«Posso scattarti una foto? I tuoi capelli, sono un capolavoro...», era stata la primissima cosa che le aveva detto. E lei era arrossita – si era accesa come una lampada, ben visibile anche sotto i raggi intensi del sole del pomeriggio –, si era morsa il labbro e aveva annuito, ridacchiando nervosa. Facendolo sorridere.
E quel sorriso... quel sorriso era semplicemente la cosa più bella che Diana avesse mai visto in vita propria.
Il campanello sulla porta la distrasse dai propri pensieri, appena in tempo per vedere entrare proprio colui che era al centro dei propri pensieri. Coi capelli legati e qualche goccia di pioggia intrecciata a quei fili d'ebano, le labbra stese in un sorriso e la tracolla di cuoio sulla spalla – piena sicuramente di schizzi, di pezzi di carta pieni di scarabocchi e chissà cos'altro. «Ehi», la salutò, avvicinandosi, facendo finta di non aver notato la sua espressione un po' persa, decisamente distratta.
«Ehi, ciao...». La ragazza dai capelli blu forzò un sorriso, allungandosi oltre la cassa per stampargli un piccolo bacio sulle labbra. Facendo finta di non aver pensato di perderlo fino a qualche istante prima. Facendo finta di non aver voglia di scappare. Facendo finta che andasse tutto bene, che tutto fosse come sempre. «Dieci minuti e possiamo andare, mh?».
«Vuoi una mano?».
La ragazza ridacchiò, scuotendo la testa e girando attorno alla cassa, baciandogli una guancia prima di andare sul retro fischiettando e sistemare gli ultimi scatoloni, spegnere le luci e quello che faceva ogni sera prima di uscire, di andare a casa e stendersi sul divano con una tazza di tè bollente tra le mani, anche d'estate. Quei dieci minuti fecero svanire ognuno di quei pensieri negativi, le fecero tornare il sorriso, perché per quanto Zayn potesse essere distante era comunque andato a prenderla, l'aveva comunque salutata come sempre e l'avrebbe portata a casa, le avrebbe fatto il tè e l'avrebbe coccolata.
Come sempre.
Tutto si sarebbe risolto, come sempre.
Diana era abituata alla loro piccola routine. Forse troppo. Ma era una certezza. Il fatto che lui staccasse dallo studio apposta per andare a prenderla al negozio, e che poi stessero insieme sul divano a guardare un film. Il fatto che poi lei si addormentasse con la testa contro al suo petto, col suono del suo cuore contro l'orecchio. O che poi Zayn la prendesse in braccio e la portasse a letto. Che si addormentassero l'uno accanto all'altra. Era tutte piccole routine, piccole certezze che non era capace di lasciare andare – che nessuno dei due poteva farsi sfuggire. Perché erano abituati l'uno all'altra, e probabilmente l'uno senza l'altra sarebbero stati persi.
O almeno Diana sperava che Zayn si sarebbe sentito perso senza di lei almeno quanto lo si sarebbe sentita lei. Perduta. Senza la propria àncora. In balia della corrente e senza nulla a cui aggrapparsi per non affogare. Una piccola parte di lei sapeva che non era la stessa cosa, che per quanto Zayn dicesse e dimostrasse di amarla ogni singolo giorno, sapeva che se si fossero mai allontanati lei avrebbe sofferto di più, si sarebbe presa anche tutto il suo dolore, pur di non farlo soffrire.
E pensava davvero che quel sorriso che si era stampata sulle labbra bastasse a nascondere quella miriade di pensieri che le invadeva la mente. Pensava davvero che Zayn non riuscisse a leggerla così tanto. Ma la verità era che lui sarebbe sempre riuscito a leggerla, che ne avrebbe intuito i pensieri e le inquietudini solo guardandola in viso, e che quindi avrebbe capito – sempre – quando c'era qualcosa che la turbava, qualcosa che proprio non andava come sarebbe dovuta andare.
«Piccola, è successo qualcosa?».
Erano sul divano di stoffa che gli aveva regalato la sorella della ragazza quando erano andati a vivere insieme in quell'appartamento che forse era troppo grande per loro che in casa non c'erano quasi mai, le gambe nude di lei sulle ginocchia di lui, e le sue mani che giocherellavano coi suoi piedi freddi. Zayn l'aveva semplicemente osservata senza dire nulla tutta la sera, da quando era andato a prenderla e per tutto il viaggio in macchina, quando le aveva porto la tazza di tè e aveva notato le sue dita tremare leggermente prima che gli rivolgesse un sorriso.
Uno di quei sorrisi belli, ma che non coinvolge gli occhi. Un sorriso stanco, quasi un sorriso rotto, non un sorriso sano, non uno dei soliti della ragazza che amava e che probabilmente in fondo avrebbe sempre amato.
E Diana aveva semplicemente fatto spallucce come a scrollarsi qualcosa di pesante di dosso. L'aveva guardato accennando un sorriso e si era passata una mano tra i capelli come se in quel modo riuscisse a nascondersi da lui, anche se solo per un secondo. «Sono solo stanca, è stata una giornata lunga in negozio», gli disse mordendosi il labbro e cercando di rilassare la schiena. Perché in fondo era stata davvero una giornata lunga, ma non era tutto lì. E Zayn lo sapeva perfettamente, solo guardandola.
Decise però di far finta di nulla. Ché se avesse voluto Diana gli avrebbe detto cosa c'era, coi propri tempi. Metterle pressione non serviva a nulla; se si metteva in testa di tenersi qualcosa dentro, di certo non avrebbe detto nulla, neppure davanti ai suoi profondi occhi castani, che sapeva essere colmi di preoccupazione. «Vieni qui dai...», le sussurrò invece, picchiettando una mano sulle proprie gambe per farcela sedere. Lei rise, alzando gli occhi al cielo, ma lo accontentò, accoccolandosi contro il suo petto e lasciando che il ragazzo le scostasse i capelli su una sola spalla e le posasse le labbra sul collo.
Finalmente a casa.
Ma ancora con un pensiero fisso in mente, che con tutta probabilità non l'avrebbe nemmeno fatta dormire. Che se si fossero allontanati ancora, lei sarebbe stata completamente persa, senza nessun'altra ragione per andare avanti.

17mila. [zayn malik au]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora