ventuno.

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Londra, Gran Bretagna. Settembre 2015.

Creare arte non è così semplice come sembra. Visto da fuori sembra tutto un gioco, nel quale metti qualche parola in fila e formi una poesia, schizzi qualche goccia di acrilico su una tela e nasce un dipinto, o schiacci qualche pulsante e catturi una fotografia. Nella realtà non è tutto così facile come sembra, ci sono regole anche in arte proprio come in un gioco da tavolo; c'è la metrica nella poesia, i colori in pittura e l'esposizione in fotografia. Non basta una serie di parole messe a caso per scrivere, non basta giocare coi colori per saper dipingere, e di sicuro non basta muovere una levetta e premere in pulsante per scattare una bella foto.
Certo è, però, che per ogni regola esiste l'eccezione che la conferma. E che, a volte, anche l'arte puó diventare un gioco. Ci sono le regole, ma a volte non si tratta solo di quelle, come non si tratta solo di giocare. C'è la giusta via di mezzo in tutte le cose, basta solo avere la pazienza di trovarla. Ecco, basta solo avere pazienza. E, la pazienza, c'è chi ce l'ha e chi no.
A Londra, Zayn era nato paziente. Aveva imparato a ragionare con le persone, sapeva aspettare. E non importava che fosse aspettare qualcuno o qualcosa, se fosse aspettare che la pittura si asciugasse o che la luce e le ombre si mettessero in posa per creare la foto perfetta. Lui attendeva i treni, gli aerei, le persone. Attendeva una voce mentre il telefono gli squillava tra le dita o attendeva la fine delle lacrime, delle risate di quelle con la testa buttata all'indietro, dei sospiri. Aspettava e basta, disegnando nel frattempo, che Amethyst riuscisse a far funzionare Skype sul proprio portatile - il che poteva sembrare semplice, ma la ragazza stava altrettanto semplicemente dando di matto.
Lei che, al contrario, dall'altra parte del mondo, di pazienza non ne aveva per niente. Che di pazienza, a dirla proprio tutta, non ne aveva mai avuta. Non sapeva nemmeno che cosa fosse, la pazienza. Aveva letto di personaggi e personaggi a cui essa era stata data in dono, ma lei non era la protagonista di un romanzo e se qualcosa non andava come voleva lei o se doveva aspettare... non ce la faceva, era sempre stato piú forte di lei. I treni li aveva sempre presi all'ultimo momento pur di non aspettare, anche se poi finiva sempre che rimaneva senza fiato. Gli aerei li odiava, soprattutto l'attesa prima di salire e quella appena dopo essere atterrati. Le persone che la facevano aspettare troppo non rimanevano troppo nella sua vita, o forse semplicemente non erano le persone giuste. E se le cose non funzionavano, era la prima ad uscire di testa. Non importava che fosse il blog, l'universitá, o il cellulare che si spegneva all'improvviso, senza che lei l'avesse nemmeno toccato. Erano piccole cose, ma la facevano impazzire.
E mentre a Londra di pazienza ce n'era in abbondanza, a Sidney dire che scarseggiava era dire poco. La ragazza dai lunghi capelli scuri teneva il telefono incastrato tra l'orecchio e la spalla, entrambe le mani impegnate a cercare di far funzionare il proprio portatile – inutilmente, non c'era verso – e le labbra occupate a borbottare una serie infinita di parolacce che non serviva ad altro se non a far ridere il ragazzo dall'altra parte della linea. Quel ragazzo che, seppur impegnato a disegnare ghirigori su un pezzo qualsiasi di carta, la stava ascoltando, ogni parola. E, ad ogni parola, gli veniva sempre piú da ridere. Imprecazioni contro la webcam che due volte su tre non funzionava. Contro il portatile stesso, che minacciava di spegnersi da dieci minuti. Contro Zayn che non la smetteva di ridacchiare a bassa voce, facendola infuriare anche di piú di quanto giá non fosse.
«Zayn, smettila di ridere, mi fai incazzare!», alzó la voce la giovane dagli occhi celesti, lasciando poi andare un respiro in uno sbuffo, direttamente nel microfono, e poi nell'orecchio di lui – lui, che rabbrividí, anche se lei non lo seppe mai. «Questa cazzo di webcam é abbastanza senza che tu ti metti a ridere, okay? Bene...», borbottó ancora, aggrottando la fronte quando in risposta lo sentí ridacchiare. Ancora. E come non era mai stata paziente con gli oggetti o con le altre persone, non lo era nemmeno con Zayn. Non piú del necessario, perlomeno.
«Piccola, fai un respiro profondo».
«E non mi chiamare cosí».
«Perché? Pensavo ti piacesse...».
«Oh Dio, ti sento!», lo interruppe all'improvviso, rendendosi conto di come la sua voce le arrivasse alle orecchie attraverso le casse del computer, e non solo dal cellulare. Lo schermo peró continuava a rimanere completamente nero. Morto, defunto. «Peró non ti vedo... ora mi metto a piangere, che cazzo...». Ma alla fine venne da ridere anche a lei, contagiata suo malgrado dall'amico, che ancora se la rideva per le reazioni esagerate ed esilaranti di lei.
«Spegni e riaccendi la webcam», le suggerí dopo qualche istante, smettendo di disegnare per controllare che non fosse il proprio computer ad avere problemi. Amethyst l'avrebbe ammazzato di insulti se cosí fosse stato, non ne sarebbe uscito vivo, se fosse stato lui a farle perdere la pazienza. «E respira», le ripeté con una mezza risata, tornando a posare la penna sulla carta per riprendere a disegnare. Disegnare il niente, o forse qualcosa che tutto sommato gli ricordava lei più di quanto avrebbe dovuto. Qualcosa che c'entrava col mare e con le montagne e col deserto tutto insieme, proprio come l'Australia, proprio come lei.
«Zayn, la mia webcam c'entra ben poco col fatto che non...». Ma la ragazza si bloccò all'improvviso, a metà frase, quando finalmente riuscì a vederlo comparire sullo schermo. Sgranato, ma sempre abbastanza da farla ridere tra sé e mordersi il labbro. «Ti vedo!», esclamò dopo un istante, stirando la sua attenzione e facendogli sollevare lo sguardo dal pezzo di carta sul quale era così tanto concentrato da accorgersi a malapena del resto. Amethyst lo vide sorridere di uno di quei sorrisi assurdi che era solo suo, e le venne da ridere, apparentemente per niente. Solo perché si stavano vedendo. Solo perché era come essere faccia a faccia invece che a diciassette mila chilometri di distanza.
«Ciao, lentiggine».
«Ciao, idiota», ribatté la ragazza alzando gli occhi al cielo - ma continuando comunque a sorridere, ché era quasi impossibile riuscire a smettere.
«Come sei acida», la prese in giro lui, anche lui senza riuscire a nascondere un sorriso.
«Lo yogurt, era scaduto, ma avevo fame e l'ho mangiato lo stesso», gli disse la ragazza tranquillamente, un sopracciglio in parte inarcato come a sfidarlo a rispondere, a continuare quella piccola guerra che avevano appena messo in piedi, solo per scherzo ovviamente. E vederlo scoppiare a ridere all'improvviso, scuotendo la testa per la battuta a dir poco pessima, era forse una delle cose più belle che Amethyst avesse mai visto. Bella, quella risata, nel vero senso della parola. Bella come un dipinto, una poesia o una fotografia. Bella come tutta l'arte che lo circondava - come se a forza di viverla, quell'arte, ne fosse entrato a far parte anche lui. Trattenne il fiato per un istante, mentre lui rideva, inconsapevole di esserle appena entrato un po' più dentro, più in profondità, abbastanza da iniziare a lasciare un segno.
E Zayn se ne accorse, la vide nitidamente trattenere il fiato e sentì lo sbuffo del respiro che veniva finalmente rilasciato come se gliel'avesse sussurrato in un orecchio senza alcuna distanza a dividerlo dalle sue labbra. Fece finta di nulla, però, continuando a guardarla e basta, con quel perenne mezzo sorriso sulle labbra. Se la impresse bene in mente. E la osservò, la osservò e basta per quella che gli parve un'eternità, sembrò voler provare a capire il perché della screziatura marrone in una delle sue iridi, o provare a contare le lentiggini che le costellavano gli zigomi. Continuò a guardarla fino a farsi sfuggire l'ombra di un sorriso, che si trasformò in una risata leggera quando la vide arrossire. Violentemente. Come un campo di fragole mature cresciutole addosso nel tempo di un sospiro. Si vide poi puntare un dito contro, prima che lei gli dica di smetterla, facendogli sollevare le mani. Arreso completamente davanti a quelle guance rosse e a quella espressione di finta offesa che le si era stampata addosso.
Allora la più piccola cambiò posizione, mettendosi più comoda e cercando di ignorare lo sguardo del ragazzo ancora addosso, che non si era mosso nemmeno di un millimetro. «Raccontami qualcosa che non so di te...», la sentì sussurrare Zayn, a voce appena abbastanza alta da poter essere sentita. Sorrideva ancora, così come non riusciva a smettere di fare lui... e Zayn ci pensò, cercò di pensare a qualcosa che non le avesse già detto, qualcosa che magari in pochi sapevano ma che avrebbe voluto condividere con lei. Con lei, perché era Amethyst, e lui ad Amethyst avrebbe detto praticamente di tutto, senza stare a pensarci troppo. Pensò a pensieri scontati e a cose che davvero nessuno sapeva. Pensò di raccontarle qualcosa che gli era successa quando era piccolo, una di quelle cose che sua madre raccontava ad ogni cena di famiglia, che tutti poi ridevano tranne lui - che la guardava male ogni volta ma poi finiva inevitabilmente per sorriderle scuotendo la testa. Pensò a tante cose che gli erano successe e che avrebbe voluto raccontarle... ma quelle le sapevano tutti, era come se in un certo senso non facessero piú parte di lui, o non le considerasse piú tanto proprie come quando erano accadute. E Amethyst voleva sapere qualcosa di lui che non sapeva, che nessuno sapeva. Non era quello che gli aveva chiesto, certo... ma per Zayn era come se inconsciamente l'avesse fatto.
Quindi le raccontó di quella parte della propria vita della quale erano a conoscenza tante persone quante se ne contano sulle dita di entrambe le mani. Le disse dell'unica cosa della quale non voleva parlare con le persone. Perché era una cosa sua, solo sua per il momento. Qualcosa che voleva conservare finché non fosse stato pronto per farla conoscere al resto del mondo. Ma Amethyst non era una persona qualsiasi, forse non lo era mai stata, o almeno Zayn non l'aveva mai considerata tale. E osservare la sua espressione mentre le raccontava del progetto che lo teneva occupato da anni... era impagabile. Sembrava davvero interessata a quel che lui le stava dicendo – e lo era. Interessata dal modo di Zayn di vedere le cose, le persone, il mondo intero; interessata al modo nel quale ne parlava, senza accorgersene; e incantata dal tono entusiasta della sua voce, incantata dall'idea in se stessa e incantata dalla luce che assumeva il suo sguardo quando ne parlava.
Quello sguardo, e quella luce, erano tutta un'altra storia.
E Zayn sembrava non riuscire a smettere di parlarne. Parlava e parlava, di tutte le persone che aveva convinto a partecipare al progetto e del motivo per cui le avesse scelte. Di come fossero tutti titubanti all'inizio, ma di come poi si facessero trascinare dal suo entusiasmo o comprare dai complimenti. Di come lo guardassero tutti come fosse completamente fuori di testa, o di come alcuni di loro si commuovessero una volta viste le fotografie... il motivo? Dopo quelle foto riuscivano a vedersi come li vedeva lui, era come vedersi da fuori, attraverso gli occhi di quel fotografo che forse aveva perso la testa, ma che alla fine aveva ragione, perché diceva di saper tirar fuori la bellezza dalle persone, e ci riusciva ogni volta. Li conosceva uno per uno, parlava con ognuno di loro, si faceva raccontare le loro storie anche solamente con lo sguardo, li abbracciava come li conoscesse da una vita... e diventavano amici. Non era solo quel genere di rapporto che andava avanti solo perché c'era qualcosa da fare; ognuna di quelle ragazze, di quelle donne e ognuno di quegli uomini rimanevano nel cuore di Zayn, ognuno di loro ad occupare un posto che durava nel tempo, che non andava perso.
Le raccontó di sua madre, e di Lexi, di Diana. Di Eve che si era fatta fotografare col pancione e le smagliature. Di sua cugina che aveva abbandonato il velo una volta entrata nel suo studio. Le disse di una ragazza cieca che non si sarebbe mai piú vista come la vedeva lui, ma che si era fidata – ciecamente, appunto. C'era poi quella ragazza a cui era stata amputata una gamba, ma che cresceva la figlia di quattro anni come se le gambe le avesse avute ancora entrambe.
Continuó a parlare senza rendersi conto dello scorrere del tempo, o di Amethyst che non riusciva piú a smettere di sorridere, a quel punto. Riuscí a smettere solo quando gli cadde lo sguardo sulla propria scrivania e gli sfuggí un sorriso, mentre un pensiero gli attraversava la mente come un fulmine a ciel sereno e smetteva di parlare all'improvviso, chiamando Lexi a voce alta attraverso la porta dell'ufficio lasciata socchiusa. La ragazza dall'altro lato dello schermó ridacchió senza nemmeno nascondersi, prima di guardarlo scuotendo la testa – ridendo anche piú quando sentí la giovane dai capelli biondi borbottare che non c'era bisogno di urlare, che il telefono nel suo ufficio comunicante con l'ingresso dello studio l'avevano fatto installare per un motivo. «Mi porteresti i sample di Wal, Lex? Per favore?».
«Solo perché me l'hai chiesto gentilmente», borbottó allora la bionda, cercando di nascondere quanto fosse arrossita al sentir pronunciare... come avrebbe dovuto definire Waliyha? Non amica, quello era poco ma sicuro. «E smettila di fare quella cosa con le sopracciglia, sei un idiota», aggiunse ridacchiando – ma continuando ad arrossire – mentre Zayn la guardava come se la sapesse lunga, anche se nessuna delle due gli aveva ancora detto nulla. E non che ci fosse molto da dire, in realtá.
«Quelle due mi faranno venire il diabete, sono sempre peggio ogni giorno che passa», lo sentí dire ad Amy, senza nascondere l'accenno di una risata divertita.
«Guarda che ti ho sentito!», gli gridó dalla stanza affianco, ma sorridendo perché in fondo lo sapeva quanto Zayn amasse scherzare su quel che stava succedendo tra la propria assistente e la propria sorella minore. La bionda arrossí di nuovo, prendendo i sample delle foto di Wal da un cassetto e portandole a Zayn cercando inutilmente di non guardarle troppo. Non riusciva a farne a meno, guardare Waliyha era diventato piú forte di lei, piú forte di tutto il resto.
Ma poi, nonostante Zayn in qualche modo la infastidisse - anche se non abbastanza da curarsene - Amethyst riuscì a farla sorridere. «Zayn, lasciale stare». Lexi la sentì ridacchiare, mentre si avvicinava alla scrivania e porgeva la busta con le foto a Zayn. Sorrise alla ragazza, grata che qualcuno la difendesse da quel tiranno che a volte sapeva essere Zayn, prima di fare la linguaccia a lui e uscire dal suo ufficio, lasciandoli di nuovo soli. «È dolce, la tua assistente, sai?».
Ma lui non rispose nemmeno. Si limitò a sorridere, prima di voltare il primo scatto verso la videocamera e sentirla nitidamente - oltre che vederla - trattenere il fiato. Come se il respiro le si fosse incastrato in gola. Come se non riuscisse a credere ai propri occhi. La sentì appena esalare un "wow", quasi inudibile, quasi come se l'avesse solo pensato e lui fosse riuscito a leggerle la mente solo guardandole il viso sorpreso. Era sorpresa, glielo si leggeva in faccia. Forse perché era abituata ai paesaggi e quella era una foto totalmente differente; forse non si aspettava che lui fosse bravo anche con le persone, oltre che con i panorami. E non sapeva nemmeno lei perché, ma era sorpresa. Sorpresa da come il mezzo sorriso di Waliyha sembrasse uscire dall'immagine, come se la ragazza le stesse di fronte, con quasi nulla nel mezzo.
Eppure in mezzo c'erano più di diciassette mila chilometri. Era sorprendente come Zayn potesse avvicinare le cose, le città, persino le persone, solo attraverso una fotografia scattata all'improvviso, quando la sorella non era nemmeno lontanamente pronta. Forse era quello ad essere sorprendente. Forse era sorprendente come Zayn riuscisse a far vedere agli altri quello che vedeva lui. O forse era una sorpresa il fatto che la foto fosse comunque bellissima, nonostante il palese movimento della ragazza che spostava i lunghi capelli scuri tutti su una spalla.
Sorrideva nelle foto, Waliyha.
E forse era solo empatia, ma venne da sorridere anche ad Amethyst.
Si incantò a guardare ognuna delle fotografie che Zayn scelse di mostrarle, scoprendo particolari nascosti ad ogni secondo che passava, a mano che immagazzinava le immagini, registrandole nella propria mente e nascondendole assieme a tutte le altre che lui le aveva mostrato nel corso di quei mesi. Ma quelle erano diverse, speciali. Più personali di tutte le altre, era probabile che quelle immagini non le avesse viste ancora nessuno. Forse nemmeno la stessa protagonista di quegli scatti. Ed era come se il ragazzo avesse appena condiviso uno dei suoi segreti più grandi con lei, Amethyst se ne rese conto solo quando tornò a guardarlo e in fondo in fondo le venne da ridere, al vederlo con lo sguardo abbassato e una mano tatuata a grattarsi dietro al collo. Timido. Imbarazzato. E troppo tenero da guardare, in quella veste che la mora non aveva mai avuto il piacere di vedere. Fino a quel momento.
Era tanto impacciato, nascosto dietro ad una di quelle fotografie di prova, che la ragazza non riuscì più a trattenersi e rise, dicendogli poi che non c'era alcun bisogno che facesse il timido, ché le foto erano a for poco incredibili. «Sono bellissime, Zayn, dico sul serio», ripeté la ragazza per quella che le sembrò l'ennesima volta, osservando mentre lui si mordeva il labbro nascondendo così il sorriso che gli si stava formando sulle labbra.
«Davvero?».
«Davvero, Zayn». Alzò gli occhi al cielo, maledicendolo mentalmente per essersi morso il labbro inferiore in quel modo. Maledicendo se stessa e il proprio corpo per il brivido involontario che le aveva appena solcato la schiena, passando di vertebra in vertebra e tanto reale che le sembrò come se qualcuno gliela stesse sfiorando, la schiena. Come se lui la stesse sfiorando.
«Posso chiederti una cosa?», le disse dopo qualche istante, strappandola da quei pensieri come le aveva appena strappato i brividi dalla schiena, riportandola alla realtà - e fin troppo bruscamente, a dirla tutta. E quando alzò di nuovo lo sguardo al cielo non era solo per la domanda stupida, ché Zayn lo sapeva perfettamente di poterle chiedere tutto... era più che altro perché avrebbe preferito affogare in quel sogno ad occhi aperti piuttosto che esserne tirata fuori a forza. Così annuì solamente, poco sicura della propria voce a quel punto, e lo vide prendere un respiro profondo, forse poco sicuro anche lui, indeciso se chiedere o meno, indeciso se farle quella proposta o semplicemente lasciar perdere. Ma forse ormai c'era troppo dentro per potersi tirare indietro. E glielo chiese, guardandola negli occhi celesti come se ce l'avesse davvero di fronte, e non solo da dietro lo schermo del computer. «Te la faresti fare qualche foto? Per il progetto intendo...», aggiunse a voce bassa vedendola già sgranare gli occhi e trattenere il fiato.
Bastò appena il tempo di un battito di ciglia e la vide arrossire. Forte. Sulle guance e sul naso, con le labbra schiuse come se volesse dire qualcosa ma non sapesse che cosa dire. Come se non trovasse le parole per rispondere, ché quello che lui le aveva proposto era da matti. E non riusciva a capire il motivo per cui l'avesse chiesto proprio a lei. La vide arrossire, nascondere un sorriso e nascondersi dietro le mani, a nascondere il sorriso, il rossore, la sorpresa e tutto il resto, tutto insieme. Gli nascose gli occhi che le brillavano e gli nascose la confusione e pregò che dall'altra parte del mondo lui non lo sentisse il cuore che le batteva tanto forte da sentirlo rimbombare nelle orecchie. E gli venne da ridere, perché era davvero troppo tenera per non farlo e troppo carina da passare inosservata.
«Perché?».
«Perché no?».
«Rispondimi, Zayn». E voleva sembrare dura, ma stava ridendo, ancora in parte nascosta dalle sue stesse mani ricoperte di tatuaggi. Impenetrabili, almeno fino ad un certo punto, perché a tratti sembrava che Zayn potesse vedervi attraverso. Come una magia. O semplicemente come attraverso un vetro.
«Perché sei unica», le sussurrò lui, sperando che quelle poche parole e quell'unico aggettivo bastassero a spiegarle tutto, tutto quanto. Sperando che bastasse a farle capire cosa vedeva in lei, quanta bellezza c'era in quelle lentiggini ma anche in tutto il resto, e quanta forza vedeva in lei, tutta quella forza della quale lei nemmeno si rendeva conto probabilmente. Sperò, Zayn, che bastasse a farle capire perché la voleva nel proprio progetto, e perché credeva che fosse unica.
E forse era il miglior complimento che le avessero mai fatto in tutta la vita. Ed era come se la parola "unica" avesse assunto un significato diverso. Più profondo. Come se quella semplice parola da quel momento in poi fosse diventata la sua preferita. «Zayn...», riuscì a dire alla fine, dopo quella che sembrava un'eternità; come se il suo nome, scivolatole dalle labbra schiuse, potesse bastare a riempire tutto, vuoto compreso. Ma era anche perché non riusciva a parlare... troppo scioccata per emettere alcun suono, sovrastata dal sorriso immenso che le comparve sulle labbra, quel sorriso che non riuscì a fermare né tantomeno a nascondere.
E Zayn sorrise, schiudendo le labbra come per dire qualcosa, ma interrotto all'improvviso da una ragazza dai capelli neri a caschetto e dalla sua stessa carnagione. Per non parlare degli stessi occhi del ragazzo, dello stesso mezzo sorriso e dello stesso naso leggermente arricciato. «Sai, se non fossi impegnata probabilmente farei un pensierino sulla tua migliore amica...», disse tranquillamente la più piccola, facendo l'occhiolino ad Amethyst, che la guardava divertita, scuotendo appena la testa per quello che le aveva appena detto. «Pacco per te, Zay», aggiunse poi, facendolo alzare dalla sedia girevole e sedendosi comodamente al suo posto, sorridendo alla ragazza australiana e salutandola con la mano.
«Non ci provare nemmeno, lei è mia».
Ad Amethyst sembrò che le venisse tolta di scatto tutta l'aria dal corpo. Quasi si strozzò con quel respiro, distrutto da quelle pochissime parole dette per scherzo e seguite da un'occhiolino e da un sorriso. Ed era solo per scherzare, ma alla ragazza sembrò dannatamente vero. Abbastanza vero da smettono di respirare, è abbastanza vero da arrossire e da far ridere la sorella del proprio migliore amico e da sentire il proprio cuore battere talmente in fretta che forse se avesse potuto quel povero cuore avrebbe spiccato il volo. E sarebbe arrivato da lui in meno del tempo che serve a battere le ciglia.
«Non pensavo potessi essere così possessivo, fratello», ridacchiò Waliyha, continuando a guardare Amethyst con un mezzo sorriso curioso. Curiosa di natura, avrebbe voluto chiedere e avrebbe voluto sapere cosa stava girando nella mente dell'altra ragazza, cosa stava pensando, cosa le aveva fatto trattenere il respiro. E Zayn era sparito dal suo studio, così la giovane dai corti capelli scuri glielo chiese e basta, senza troppi giri di parole e senza stare a pensarci troppo prima di aprire bocca e lasciar scivolare le parole fuori. «Quando ti deciderai a salire su un aereo?».
Risero insieme, Amethyst con il capo buttato leggermente all'indietro prima che scuotesse la testa divertita da quella domanda fattale all'improvviso. E per un attimo sembrò pensarci, prima di rispondere. Per un attimo sembrò volersi accertare che Zayn non fosse più nelle vicinanze, prima di rispondere alla sorella in quello che era appena poco più di un sussurro portato dal vento sull'oceano e forse un po' perso tra un'onda e l'altra. «Presto», le disse piano, guardandola attentamente mentre si copriva la bocca con entrambe le mani per non urlare e saltava eccitata sulla sedia girevole, sorridendo dello stesso sorriso che Amethyst era sicura si fosse appena specchiato anche sulle proprie labbra.
Uno di quei sorrisi che non ti togli di dosso. Uno di quelli che finisci per ricordarti per tutta la vita, perché se ci pensi era il sorriso più vero che ti fosse mai comparso sul viso.

17mila. [zayn malik au]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora