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Mentre mi sbottono la camicia e mi preparo a fare la doccia, rimugino su un pensiero che mi accompagna da tempo: come morirò?

È una domanda che mi ha tolto molte notti di sonno, che ha occupato molti sogni a occhi aperti.

Ho letto che, nei primi anni del Movimento di Datazione del Decesso, il governo offriva la possibilità di scoprire come sarebbe avvenuta la propria morte; ma ci azzeccavano solo nel diciassette per cento dei casi, quindi hanno smesso di dirlo. Peccato.

Perché domani, a un'ora imprecisata, smetterò di esistere: e ci terrei tanto a sapere come. Un incidente d'auto? Cadrò battendo la testa? Mi pungerà un'ape e si scoprirà che sono allergico? Verrò infettato da qualche virus, tipo l'Ebola? Qualcosa di misterioso nel cervello come Ashley Miller?

Oppure un classico caso di omicidio?

La mia cartella clinica non evidenzia la minima anomalia: che motivo ho di credere che non morirò assassinato? Se avessi il cancro, per esempio, potrei prevedere con buona approssimazione le circostanze della mia morte, e forse mi sentirei meno a disagio. Niente omicidi, qui! Solo un tumore!

Ma quando mio nonno Sid era bambino (come non si stanca mai di ripetermi) nessuno sapeva il come il quando. Non è assurdo? Non c'era tempo di prepararsi mentalmente, di assicurarsi di aver fatto tutte le cose che volevi fare prima di morire. In un Tempo Senza Cognizione della Data di Morte, posso immaginare che una diagnosi di cancro fosse un vantaggio, in un certo senso. Ti avvertiva che stavi per morire, e quindi ti dava tempo per prepararti; oppure ti spaventava, e quindi ti faceva apprezzare di più la vita, ma poi non ti uccideva.

D'altra parte io, che ho sempre saputo in che giorno sarei morto, ho forse fatto tutte le cose che volevo fare? Non proprio. «Voglio solo una vita normale»: è sempre stata questa la mia risposta pronta, fin da quel pomeriggio di agosto quando mio padre e la mia matrigna me l'hanno detto.

Ai genitori si consiglia di comunicare ai figli la data di morte intorno ai cinque anni: quando sono abbastanza grandi per capire ma abbastanza piccoli per assorbire l'informazione senza darle troppo peso. (Penso che nella nostra famiglia «Morirai giovane» abbia avuto la priorità su «Lei non è la tua vera madre».)

«Ehm, Denton... » aveva detto mio padre. Ero seduto sul divano con Blue Bronto, il primo e il migliore animale di peluche che abbia mai posseduto.

«È pronto da mangiare?» avevo chiesto.

«Si, si, quasi. Ma... ehm...»

«Oh, coraggio, Lyle» aveva detto la mia matrigna, sedendosi accanto a me. «Denton, sai cos'è la morte?»

«Si, quando la gente non è più viva.»

«Esatto. E non dev'essere per forza una cosa spaventosa. Succede e basta.»

«Okay.»

«Be', la tua morte avverrà quando avrai diciassette anni.»

«Ne ho cinque.»

«Si, adesso ne hai cinque, quindi... manca un bel po' di tempo. Ma volevamo dirtelo ora. E se hai qualche dubbio puoi sempre chiedere a me o a tuo papà, okay?»

«Okay.» Avevo accarezzato la coda di Blue Bronto. «Come fate a saperlo?»

«Cosa?»

«Come fate a sapere che morirò quel giorno?»

«Be', tesoro, si sa quando moriranno tutti.»

«A parte le persone non datate» era intervenuto mio padre.

«Cioè quelle il cui... ehm... sangue risulta illeggibile negli esami ATG. Non dà risultati. Forse per via di un difetto genetico.»

«Cos'è un difetto genetico?»

Deathdate - Lance RubinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora