Until we go down

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"Devi scegliere che scuola frequentare, Catherine, non vorrai mica perdere l'anno... Vero?"
Erano passati tre giorni da quando Cath aveva rivisto l'ombra, e zio Rudolf non aveva fatto altro che stressarla con la storia dell'università.
In realtà fino a qualche anno prima l'università era la sua priorità: laurearsi, avere un bel lavoro, trovare casa e mettere su famiglia; questi erano diventati i suoi obbiettivi principali. Ma non lo erano già più.
Evidentemente questo a Rudolf non andava bene, ma dal punto di vista di Catherine lui doveva rispettarla e capire che quella era una  decisione che spettava esclusivamente a lei.
"Non rientra nei miei piani."
"Oh ti prego! E cosa rientrerebbe nei tuoi piani? Mangiare fino a diventare obesa e vivere in mezzo a trenta gatti?"
Cath sbatté i pugni sul tavolo come una bambina viziata, fulminandolo con gli occhi scuri.
"Tu non hai nessun diritto di parlarmi così!"
"Oh sì, Catherine. Non m'importa se pensi che, siccome i tuoi sono stati fucilati, per colpa delle dipendenze di tuo padre, ora nessuno può dirti cosa fare. Sei sotto la mia tutela fino ai ventun'anni, quindi decido io: andrai all'università. Discorso chiuso."
Ora gli occhi di Cath si erano rabbuiati, a stento tratteneva le lacrime, ma non poteva dargli la soddisfazione di vederla debole. Alzò la testa: "Lettere." Fu tutto quello che disse prima di iniziare a giocherellare nervosamente con l'elastico sfibrato che portava al polso.
"Bene. Domani andremo a cercare l'università più adatta a te. Ora va' a dormire."
Catherine trascinò i piedi fino in camera dove, una volta buttatasi sul letto, indossò le cuffie.
Ormai si era abituata ai modi rudi dello zio, e aveva imparato a non controbattere perché sapeva che lui l'aveva vinta, sempre.
Quella sera Catherine sperava fosse diverso, sperava che sarebbe riuscita ad opporsi.
Invece aveva riposto, ancora una volta, in malo modo le sue speranze: la sua piccola ribellione era stata sedata con poche parole, vocaboli semplici, ma che avevano un potere immenso su di lei.
Fog si accucciò sulle sue gambe come se capisse il dolore che stava provando, tentando di non lasciarla sola.
L'unica cosa che Catherine sperava in quel momento, era che l'università fosse il più lontana possibile da quella casa, e dalle sue ombre.

• • •

L'imponente edificio della Sherlock School copriva completamente l'opaco sole della Scozia, l'unica traccia di allegria rimasta in una giornata grigia.
La scritta della scuola, a caratteri neoclassici, era messa a contrasto dai murales disegnati sui muri. Catherine pensò che avrebbero dovuto riverniciarli.
La scuola all'interno era grigia e lineare. Armadietti tutti uguali, porte tutte uguali... Ogni cosa era la medesima, ripetuta allo strazio.
Il corridoio era pieno di ragazzi e ragazze che ridevano e scherzavano rovinando la quiete del silenzio. Si chiese come sarebbe stata la scuola senza tutti quegli studenti. Forse l'avrebbe scambiata per un riformatorio.
Nonostante il rumore assordante, riusciva lo stesso a sentire il suono dei propri passi, che echeggiavano leggeri nel corridoio.
"Vado da Mack."
"Mack... Chi è Mack?" Non face in tempo a finire la frase: la figura scarna dello zio era scomparsa dietro ad un angolo.
Sbuffò e si mise le cuffie.
Gesti che faceva troppo spesso si stavano ripetendo all'infinito in quei giorni, fino a diventare quasi un'ossessione.
Sentì il battito del proprio cuore pulsare regolarmente al ritmo confusionale di Until we go down, mentre si sconnetteva dal mondo alzando il volume della musica.

Sentì il battito del proprio cuore pulsare regolarmente al ritmo confusionale di Until we go down, mentre si sconnetteva dal mondo alzando il volume della musica

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Le persone intorno a lei erano diventate immagini sfocate mentre camminava.
Qualcosa la colpì.
"Ahi." Il suono della sua voce le arrivò attutito a causa delle cuffie.
Si girò massaggiandosi la nuca, trovandosi così davanti a due occhi grigi.
Due occhi grigi che avevano delle labbra fantastiche.
Si stavano muovendo, ma Catherine non riusciva a sentire i suoni che provenivano da esse.
"Cosa?" Chiese in tono acuto.
Si tolse le cuffie con un gesto impacciato.
"Ho detto che mi dispiace."
"Okay."
Si girò dall'altra parte allontanandosi. Non era mai riuscita a fidarsi dei ragazzi, soprattutto se questi erano piacevoli alla vista.
Fotomodelli con la zucca vuota.
"Non sei di qui."
"Che occhio, Sherlock!" Rispose lei ironicamente.
Lo sentì ridere.
"Verrai a scuola qui?"
"È probabile, ma credimi, perdi solo tempo con me." Ed era vero o, almeno, era quello che lei pensava veramente.
Lui le toccò la spalla facendola girare.
"Da quando tutta questa confidenza?"
Disse scostandosi in malo modo.
Rise di nuovo.
"Cos'è, Cath? Sei sempre mestruata, o oggi è un giorno particolare?"
Si fermò di botto al suono del suo nome, ignorando la battuta poco fine.
"Come fai a sapere come mi chiamo?"
"È scritto sul tuo zaino."
"Oh." Arrossì per essersi dimenticata del portachiavi decorato da tante lettere in caratteri diversi, che componevano il suo nome. Glielo aveva regalato John per il suo dodicesimo compleanno.
"Mi piace il tuo nome."
"Ciao, Sherlock!"
Disse prima di fiondarsi nel bagno delle ragazze.
Idiota, pensò prima di sedersi sul lavandino del bagno semivuoto.

• • •

"Vedo che ha degli ottimi voti, signorina Malville. Saremmo davvero orgogliosi di ospitarla nella nostra università."
Il signor Conner la stava riempiendo di complimenti, come un gatto ruffiano che si struscia sul padrone per acquistare le sue grazie, da un tempo molto prolungato.
L'unica cosa che aveva ottenuto da Catherine erano dodici sbadigli.
L'unica cosa che aveva ottenuto lei erano venticinque occhiatacce da parte del suo tutore diventato pesante come un sasso con lei e allo stesso tempo leggero come una piuma davanti agli occhi del suo vecchio amico Mack.
"Okay..." La ragazza si beccò un calcio da sotto al tavolo. "Ahi... Ehm, il piacere è tutto mio, desideravo da tanto tempo di poter entrare in questa università." Disse a denti stretti per rimediare il proprio errore.
"Bene, allora siamo d'accordo."
La figura grassottella, che si trovava di fronte a Cath, si alzò porgendole la mano dove teneva la fede nuziale, che stringeva il dito troppo grosso bloccandone la circolazione sanguigna.
La nuova matricola si alzò a sua volta e gli strinse la mano, decidendo di smetterla di fare la guerra contro le buone maniere.
Rimasero un'altra ora nell'ufficio del preside.
Catherine si era abbandonata sui divanetti bianchi mentre le due figure adulte stavano parlando di cose, almeno per loro, abbastanza lontane dalle orecchie di Cath.
In realtà lei le sentiva benissimo, anche se aveva la musica nelle orecchie.
Stavano parlando della morte dei suoi genitori.

• • •

"Hai visto Catherine? Mack ti adora. Si sarebbe mangiato le mani, se non ti avesse avuta come nuova alunna."
Ed era vero, il signor Conner si era messo a fischiettare quando aveva scoperto che Rudolf aveva una nipote, per lo più brillante, che avrebbe potuto far guadagnare altre medaglie alla pluripremiata università.
Sarebbe diventata una delle sue coppe, questo era certo. Un orgoglio per la Sherlock School, che aspettava solo di essere messo in esposizione.
Quando aveva saputo poi della perdita dei genitori si era sentito triste, anche se in realtà era in fibrillazione: si chiedeva quali testi letterali potevano uscire da quella testolina così piena di dolore.
Non c'erano dubbi: Catherine Malville sarebbe stata il diamante della corona della Sherlock.
Sempre se lei non fosse stata abbastanza sveglia da scoprire il segreto della scuola.
Mack scacciò quel pensiero dalla testa, e tornò ad immergere la testa nelle scartoffie.
È impossibile, continuava a ripetersi.

• • •

Salve, popolo di Wattpad!
Sono tornata con un nuovo capitolo :)

Cosa succederà alla Sherlock?
Che segreto nasconde la scuola?
Le ombre c'entrano qualcosa?

Se volete scoprirlo continuate a leggere!

Al prossimo capitolo

❤️

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