I don't want to miss a thing

81 15 14
                                    

Era così bella e fragile, come il mare d'inverno.
Era il sottile strato di vetro che divideva l'acqua  salata dalle dita curiose degli estranei.
Amava perdersi nelle piccole cose, cercando codici segreti perfino nei drappeggi dei tappeti asiatici.
Continuava a decodificarli, scrivere strategie, cercava un messaggio segreto tra le miriadi di fili colorati che tappezzavano la casa.
Non riusciva mai a trovarlo, e anche quando le sembrava di esserci vicina, finiva inevitabilmente in un vicolo cieco.
Ricominciava d'accapo ogni volta.
Questo suo comportamento l'avevano definito uno sfogo, per cercare di decifrare la morte dei suoi genitori.
Cazzate, aveva pensato Catherine, e per dimostrarlo aveva smesso d'interpretare i tappeti, perfino di guardarli.
Aveva smesso di guardare le piccole cose, pensando solo a cose molto più grandi, più profonde, più complicate; che si radicavano a fondo nei suoi pensieri.
Catherine amava complicarsi la vita, e ci riusciva in milioni di modi diversi.
E quel giorno era una di quelle volte.
"Alzati, devi andare a scuola."
"Non avevo intenzione di andarci."
Non voleva alzarsi, le coperte le arrivavano al collo scaldandole le spalle nude.
Amava infilarsi sotto alle coperte per riuscire ad ascoltare i propri pensieri, impendendone la fuga con la fitta rete di lana intrecciata.
"Non fare la bambina viziata e muoviti, sei già in ritardo."
Catherine si rotolò nel letto prima di trascinare le gambe lunghe nel bagno.
Si guardò la faccia, segnata da profonde occhiaie, e si sentì stupida in un modo che non sapeva spiegare.
Raccolse i capelli in una coda e si recò al piano inferiore.
Non mangiò quel giorno: l'ansia e l'angoscia le avevano riempito lo stomaco.
La sola idea di conoscere persone nuove e guardare volti diversi l'aveva messa in crisi.
E poi le era venuto in mente, come un lampo di genio: Mag... Non la sentiva da una settimana ormai.
Aveva preso il telefono mentre camminava verso la stazione della metropolitana, (anche questa volta le sue speranze erano state riposte in malo modo: la Sherlock distava cinque minuti di metro dalla villa) e aveva cliccato i tasti fino a comporre il numero della sua migliore amica, che ormai sapeva a memoria dalla prima media.
Erano passati quattro squilli, e già si stava preoccupando: Mag rispondeva al primo, era sempre attaccata al telefono a scriversi con persone diverse o a postare foto sui vari social network.
Cath non ne aveva neanche uno. La sola idea di vedere i suoi amici postare foto con la propria famiglia le faceva venire il voltastomaco.
Per questo evitava le zone affollate, camminando lontano dai parchi per tenersi ben distante dalle famiglie che lo popolavano.
Scattò la segreteria.
C'erano solo due possibilità: o la sua amica era in pericolo, o era tremendamente arrabbiata con lei.
Sperò nella seconda.
Ma poi sentì la suoneria dell'iPhone partire.
Le tre lettere spesse accompagnate da un piccolo cuoricino le comunicavano che la sua amica la stava cercando.
Rispose al secondo squillo.
"Mag?"
"Cath! Ti avevo detto di chiamarmi tutti i giorni!"
Le era spuntato un sorriso, la sua migliore amica era solita farle da mamma, rimproverandola se solo non rispondeva ad una sua chiamata.
"Lo so, è che... È stato un po' complicato in questi giorni e mi sei totalmente passata di mente. Scusa."
"Vorrei essere arrabbiata con te, ma non ce la faccio! Quindi ora raccontami tutto, e subito!"
Le aveva raccontato di tutto, dello zio scorbutico, del dolce ed enorme Fog, del ragazzo incontrato alla Sherlock, e perfino del preside dalle dita grosse come salsicce.
Le aveva raccontato di tutto, tranne che delle ombre. Scacciò il pensiero.
"Da paura!" Era stata la reazione di Mag, probabilmente intenta a pitturarsi le unghie di nero.
"Come va con Niall?"
Niall era il fidanzato di Mag, una testa di rapa dal punto di vista di Catherine: faceva soffrire la sua migliore amica in ogni modo possibile, ma nonostante tutto lei lo perdonava, e gli dava sempre un'altra possibilità. Diceva di amarlo, ma Cath non ci credeva: l'amore non poteva esistere dopo tutto l'odio che aveva visto.
'Un topo costruirebbe mai una trappola per topi?'
Einstein aveva centrato in pieno l'obbiettivo con questa frase.
Era assurdo pensare che, un essere umano, avesse inventato anche solo una pistola in grado di uccidere un individuo della propria specie.
Ma il problema era un altro: l'essere umano era troppo intelligente per essere messo a confronto con dei topi, troppo egoista per rinunciare al predominio sugli altri, troppo ignorante per capire quanta distruzione le sue ossessioni stavano provocando.
Dopo aver visto sparare un uomo ad un suo simile, aveva smesso di credere nell'amore. Dopo tutto quello non poteva esistere.
"Ci siamo lasciati..." A Mag si era incrinata la voce mentre Catherine aveva appena battuto le ciglia, come se si aspettasse quella risposta, ormai abituata alle mille volte che era capitata la stessa scena.
"Sono sicura che tornerete assieme." Aveva minimizzato. "Ora devo andare, Mag. Ti voglio bene, mi manchi."
"Anche tu Cath."
Aveva attaccato, come aveva attaccato i suoi sentimenti ad un'enorme parete bianca, in un luogo dove non sarebbe più tornata.
Salì sul treno.

• • •

L'università non era come se l'aspettava: colorata e piena di feste.
Era molto più complicata agli occhi di Cath: lo studio significava stress e lo stress comportava all'amplificazione dell'insonnia, cosa che la affliggeva da molto tempo.
I corsi le sembravano noiosi, aveva preferito saltarli e rifugiarsi sugli spalti del larghissimo campo da football americano.
I posti a sedere erano vuoti, si chiedeva come sarebbe apparsa alle persone che la guardavano da lontano.
Un puntino minuscolo in un mare di sellini colorati.
Guardava l'enorme distesa d'erba che le si stagliava davanti coprendo terreno coltivabile, teneva in grembo un libro, mentre scorreva con lo sguardo i problemi di altri mondi per poter dimenticare in un breve lasso di tempo quelli del suo.
Non aveva parlato con nessuno, non ne aveva avuto interesse: le persone si omologavano alla massa, e giudicavano. Catherine non voleva essere giudicata.
Continuava a girare le pagine del libro, in maniera frenetica. I suoni delle parole le bagnavano la punta della lingua.
"Che stai facendo?"
Aveva sussultato quando il ragazzo del giorno prima l'aveva interrotta, strappandola dall' avventura di Lyra Belacqua.
"Nulla." Se n'era andata, non aveva niente da dirgli.

• • •

Ecco il nuovo capitolo!
Spero vi piaccia

Alla prossima!
❤️

ObliviumDove le storie prendono vita. Scoprilo ora