Nel sogno, mio papà e mia mamma sono con me. Ci troviamo in una strada di un quartiere residenziale e delle luci innaturali, da studio televisivo, ci illuminano. Vicino a noi è parcheggiata un'automobile bassa, lunga e dalla linea squadrata. In fondo alla strada, distante,un muro nero si estende in entrambe le direzioni. Non ne vedo né l'inizio né la fine.
Noi tre, dico alla Proz, sappiamo di dover fare qualcosa di importante e di doverlo fare subito. Ciò che non sappiamo è il perché. Il nostro compito è quello di salire sull'auto e disporci in un ordine ben preciso: mia mamma al volante, mio papà sul sedile del passeggero e io dietro. La mamma deve accelerare il più possibile e deve fare in modo che l'auto si schianti contro il muro. Possiamo ottenere la libertà - una vaga, indeterminata libertà, alla quale aneliamo con l'intensità soffusa tipica dei sogni - solo se moriamo tutti e tre nell'impatto. Se, al contrario, qualcuno sopravvive, è necessario che muoia in qualche altro modo. In questo caso è possibile tornare indietro nel tempo e riprovarci. Strane regole,strano sogno.
Durante l'impatto mia madre muore. Io invece infrango con la testa il vetro del finestrino posteriore e vengo sbalzata all'esterno dell'auto. Mi ritrovo sull'asfalto accanto all'automobile, con le braccia rotte, inginocchio. Vedo aprirsi una portiera: è mio papà che si fa strada tra le lamiere. Esce dall'auto zoppicante, graffiato e bruciato in varie parti del corpo. Un triangolo di acciaio gli sporge dal costato. Mi vede e inizia a piangere, poi infila una mano nella tasca dei pantaloni a brandelli e ne estrae una pistola. Tende il braccio e la punta verso di me.
No papà,penso, e piango a mia volta. Non puoi spararmi, sono tua figlia.
Sono solo pensieri, eppure lui li sente.
È necessario,mi dice senza aprire bocca. Da dove mi trovo riesco, nonostante la vista offuscata dalle lacrime, a vedere i ricci di mia madre imbrattati di sangue e la sua testa fracassata contro il volante.
Mio papà ripete è necessario e mi spara in testa. Sento il botto, sento il mio cranio aprirsi, ma non muoio. Piango. Mio papà mi spara ancora. Piange anche lui. Sento il peculiare, anestetizzato dolore che si prova nei sogni, avverto un liquido denso e caldo colarmi sulla faccia, e penso basta papà, ti prego, ti prego, sono io, basta spararmi.
Lui,però, preme il grilletto altre cinque volte.
Lamia angoscia aumenta a ogni colpo. Mi sveglio sudata, terrorizzata,pensando alle sue parole:
è necessario.
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Luce
General FictionÈ questo ciò che provano tutte le ragazzine, nei letti, sui sedili delle auto, negli alberghi a ore, durante le loro prime volte? E quante sono, quanto durano, quando finiscono queste prime volte?