2010 - parte 3

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«Tieni»mi dice la Proz porgendomi lo spinello. Ne ha fumato metà. Lo afferro tra il pollice e l'indice.

«Ora basta» aggiunge, sottolineando il basta con un movimento piatto della mano.

La guardo. La matita attorno ai suoi occhi è un po' sbavata e il volto è pallido. Mi pare di sentire una sorta di ronzio in lontananza. Aspiro una boccata.

«Mi hai raccontato già tutto, Luce. So già che sei andata in emeroteca,so quello che tuo papà ti ha detto e quello che non ti ha detto...»mi dice la Proz mentre il suo alito si confonde col fumo della canna«...almeno non tentare di fregarmi.»

«Stai bene, Proz?» chiedo.

«Eh?»dice lei roteando gli occhi. «Certo che sto bene.»

«Hai una cera.»

Si volta verso il campo da calcio e ride. «Ho fumato anche prima,appena uscita di casa» dice, «dev'essere quello.»

Sento di nuovo quel ronzio, un po' più forte.

«Combichrist,eh?» mi chiede, con un sorriso che significa So-Che-Mi-Stai-Fregando-Ma-Potrebbe-Piacermi.

«Combichrist»dico.

Un'altra risata.

«Che troia che sei! Che troia! Ci sto. Passa qua, lo vuoi finire?»

Le passo quello che rimane della canna. Un'altra folata di vento ci raggiunge.

«Cazzo che freddo» dice, avvicinandosi le ginocchia al viso e abbracciandole. «Come facciamo ad andare? Sono tipo trecento chilometri.»

«Sei informata» le dico, mentre cerco i miei guanti nelle tasche del cappotto.

«Ci sono andata in manifestazione» mi risponde. «Ricordi?»

Mi infilo i guanti.

«In treno, con Michele, per quella faccenda dell'allevamento di cani.»

«Allevamento di cani» ripeto. Poi ricordo.

«Te l'eri fatto, quel tizio!» le dico ridendo e pizzicandole una gamba.Lei mi schiaffeggia la mano.

«Che troia che sei! E comunque sì, stronza, abbiamo limonato un paio di volte.»

La Proz getta il mozzicone sull'asfalto e lo pesta con la suola delle scarpe.

«Ci porta Zeno, guida lui» le dico.

La Proz spalanca gli occhi.

«Ah vi vedete ancora?»

«È un coglione ma possiamo sfruttarlo no?» le chiedo. Non è esattamente la verità, ma preferisco fare la dura che passare per sfigata.

La Proz annuisce guardando il sacchetto della spesa, poi cambia discorso.

«Cos'hai lì dentro?» mi chiede.

«No»le dico, «è tutta roba che serve a casa, se manca qualcosa mio papà m'incula.»

«Cazzo che fame!» incalza la Proz, «dai tira fuori un grissino.»

Rido.Prendo della tasca la confezione di chewing gum e gliela porgo,dicendole che può masticare una gomma per coprire l'odore di fumo.La Proz se ne ficca due in bocca.

Il volume del ronzio continua ad aumentare. Viene dal campo. Mi alzo e scendo i gradini. Quando raggiungo la balaustra, una folata di vento mi gela naso e orecchie. A tre quarti di campo, un tizio sta spingendo un tosaerba.

«Proz»urlo senza voltarmi, «c'è uno che taglia l'erba!»

Lei mi dice qualcosa che non capisco, così le chiedo di ripetere.

«Ho detto che siamo fottute, se ci vede è capace di chiamare la scuola!»

Sento la Proz che raccoglie lo zaino e, subito dopo, i suoi passi che si avvicinano.

Il tizio con il tosaerba procede lento verso centrocampo, poi aguzza lo sguardo nella nostra direzione, ci vede, si ferma, sorride e ci mostra il palmo della mano.

Ricambiamo il saluto. Lui si tocca la visiera del cappello e ricomincia a spingere. L'abbiamo scampata, pare.

Io e la Proz scendiamo i gradini che conducono all'uscita delle tribune.

«Neanche un grissino?» mi chiede lei sbattendo i denti. Rispondo di no, così lei decide di insultare il sacchetto.

Oltrepassiamola biglietteria e ci ritroviamo nel parcheggio, vuoto tranne che perla presenza di due grossi camion a rimorchio.

Prima di salutarci e proseguire a piedi verso le rispettive case, la Proz mi chiede come faremo a stare via per due giorni senza destare sospetti.

«Usiamo il trucco più vecchio del mondo, baby» le dico.

La Proz mi fissa e fa una smorfia.

«Ovvero tu dici che dormi da me e io dico che dormo da te?»

Rido.

«No»dico, «quasi.»

«Ah ecco. Quel piano lì, nei film, lo scoprono sempre.»

«Invece di dire che io sto da te e tu da me, entrambe diciamo che stiamo da Katia. E Katia ci regge la parte.»

Proz cammina evitando di calpestare le linee bianche che delimitano i posti auto del parcheggio. A volte lo fa.

«Ah beh» dice. «Allora così è tutta un'altra storia. E poi, perché Katia dovrebbe coprirci? Non sa neanche allacciarsi le scarpe da sola.»

«Perché,cara mia» le rispondo, «le ho detto che in cambio tu le farai copiare le versioni di latino.»

La Proz, ridendo e camminando all'indietro verso casa sua, mi punta contro l'indice e urla «Che troia! Luce, sei una gran troia!»

LuceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora