VENTUNO » nove.

336 55 18
                                    

Mio padre è un uomo furbo. Ha fondato un impero grazie alla sua furbizia. Dimostrando ai suoi genitori che il sapere non è alla base di tutto. A lui piace pensare di averli fregati, di aver dato loro una lezione e di farli tremare di un orgoglio forzato e rassegnato ogni volta che la sua costosa macchina esce dal loro vialetto, ma non è così. Io penso che mio padre oltre ad essere furbo sia anche molto fortunato. Mia madre al contrario non lo è. È una donna stanca alla quale sono stati strappati via i genitori troppo presto. Una donna divenuta madre troppo presto. Ha il viso segnato da tradimenti subiti e la pelle macchiata dalle troppe bugie assorbite. «Dovremmo fare qualcosa per quel buco» sospira osservando i miei jeans stracciati e mi scappa un sorriso divertito. Non rispondo, mi limito ad osservare le sue lunghe unghie laccate di un rosa spento sfiorare lo strappo. Profuma di lievito e nasconde tra i lunghi capelli biondi, oggi imprigionati perfettamente in un mollettone, tracce di farina. «Tuo fratello?» Incolla i suoi occhi ai miei aspettando pazientemente la solita bugia. «Aveva da fare con l'Università» lei annuisce e le sue dita tremano sul bordo del tavolo che accarezza piano. Gratta la vernice azzurra già rovinata dall'esposizione al sole e le macchie color ruggine si moltiplicano ad ogni graffio. «Credi che verrà la prossima volta?» Annuisco e tiro le labbra in un sorriso amaro. Sappiamo entrambi che lui non verrà.

«Vieni con noi stasera?» La voce di mio fratello cozza con quella della Parodi che sta illustrando con maestria i circa duecento ingredienti che servono per il suo leggero antipasto. «Dove andate?» Sono piuttosto annoiato ma a dirla tutta rimarrei volentieri a casa con Benedetta e l'antipasto piuttosto di dover uscire con mio fratello è il suo gruppetto di amici, il nostro gruppetto di amici. «Dove ci porta l'euforia del momento?» Il mio dito medio prende vita e si alza in direzione di mio fratello che risponde con una smorfia di disgusto e di finta disapprovazione. «Continua pure a fare l'eremita, eremita» annuisco tornando alla Parodi e al suo dito che affonda nella mousse al formaggio bianco per poi finire tra le sue rosse labbra. Un ciao sibilato al quale rispondo con un cenno del capo accennato che quasi sicuramente lui non vedrà. La porta sbatte facendo tremare per un secondo il quadro dipinto da nostra madre. Quadro che staziona, sulla porta, da quando ci siamo trasferiti qui e che mio fratello cerca di far cadere involontariamente, ogni giorno. Quasi per caso, o almeno mi piace pensarlo, afferro il cellulare e digito un paio di parole a caso, digito un nome che non mi appartiene, un'età che mi piacerebbe avere e un paese mai visto. Bastano due minuti e lei risponde con un insulto. Ingoio quelle lettere rabbiose e le mando uno smile sorpreso seguito da una rosa virtuale che lei quasi sicuramente non gradisce considerando il "crepa" che ricevo pochi secondi dopo. "Sono semplicemente stanco di giocare. Voglio sapere chi sei, voglio poterti chiamare per nome e sentire il suono della tua voce, della tua risata." "È complicato" la sua risposta è schifosamente sintetica e mi sembra di sentire le sue unghie battere con tranquillità sulle lettere che la compongono. "Perché? A me sembra talmente semplice". Ora esita, scrive e cancella. La luce si fa rossa ma torna verde un minuto dopo. Il senso di nausea prende il sopravvento e il mio cuore perde un battito, forse due, quando finalmente realizzo che la frase che ho sotto agli occhi non è frutto della mia immaginazione. "Ho conosciuto qualcuno, qualcuno di reale". Rileggo la frase ancora un paio di volte forse più e il sorriso grottesco che si riflette sullo schermo del mio smartphone quasi mi spaventa. "Qualcuno di reale", riscrivo quelle tre parole e le invio a lei che si appresta a chiarire che 'non intendeva quello' ma io so bene che intendeva proprio, quello. "Mi dispiace" le scuse più insensate e patetiche del mondo mi si incollano addosso e le mie dita si fermano a mezz'aria, insicure sul cosa rispondere. Tentate a non rispondere. "Ok", lei non gradisce la mia risposta è scrive, scrive e scrive. E mentre quel sta scrivendo staziona per altri due minuti sotto il mio sguardo stanco e forse deluso, stacco tutto. La luce diventa rossa e quel sta scrivendo, finalmente scompare.

Il trucco per dimenticare un profumo? Spostare l'attenzione su un'altra odore. Funziona quasi sempre. In alcuni casi invece, è impossibile. L'odore del gelsomino per esempio ti si incolla addosso e non accenna a lasciarti nonostante stazioni davanti ad un negozio di yankee candles per ore. Stesso effetto quello del cioccolato fuso, ti fa venir voglia di affondarci la faccia e far gioire le tue papille gustative nonostante sia servito come guarnizione di un piatto esotico a base di cervella. Il profumo di questa ragazza è invitante, per non parlare del suo sapore. Ma il profumo di lei, seppur astratto, mi ha rapito. E sì, sono un patetico rammollito. Mi irrigidisco al suo tocco e contraggo la mascella, i denti si scontrano provocando un suono fastidioso al quale solo io sembro dar importanza. Le sue labbra, ormai gonfie, si posano sulla mia pelle che reagisce al tocco un paio di secondi dopo. «Qualcosa non va?» Il suo sguardo scivola sul mio, l'idea di tornare a casa e perdermi tra i discorsi insensati di qualche politico ospite in qualche programma trash, mi solletica per un secondo. Poi la mia attenzione si sposta alle spalle della bionda che mi sta ancora sopra e penso a lei. Realizzo quanto sia ridicolo continuare a piangersi addosso e che sarebbe da idioti lasciarsi sfuggire questa turista dalle curve perfette. «No, tutto bene» la tiro a me, annullo le distanze e affondo il viso tra i suoi capelli mentre disegno i suoi contorni con la punta delle dita. «Hai un profumo delizioso» un sussurro prima del silenzio.

"Non avrebbe funzionato, lo sai anche tu" vorrei dirle di smettere di scrivermi ma so bene che non mi ascolterebbe. Emma arriva dietro al bancone con un aria stanca e infastidita, forse arrivare in gelateria in orario di chiusura non è stata una buona idea. «Una pallina, un gusto semplice scelto da me e la mangi fuori dal locale». Il suo dito rimane teso in mi direzione aspettando. Nonostante la voglia di contraddirla sia forte annuisco e le allungo cinque euro che si intasca con un sorriso compiaciuto. "Quando sei diventata una veggente?" uno stupido smile con il turbante compare sullo schermo. "Sempre stata. Ci sentiamo dopo?" "Ci sentiamo dopo". Il cellulare sparisce nella tasca grigia dei pantaloni mentre Emma compare con la mia coppetta alla fragola. «Grazie Miss» fa un leggero inchino mentre si appresta a girare attorno al bancone per cacciarmi dal locale. «Emma, hai finito?» La voce di Cass ci interrompe e le mie dita afferrano il cucchiaio, scavo un pó sperando in un gusto a sorpresa ma ovviamente rimango deluso dalla fragola, unica ed indiscussa protagonista della mia coppetta. «Il nostro ultimo cliente, se ne stava giusto andando» alzo le mani in segno di resa, e la coppetta. Giro i tacchi e afferro la maniglia. «Buonanotte ragazze» Emma mi manda al diavolo soffiandomi un bacio mentre Cassandra mi regala un sorriso e un buonanotte sussurrato. Esco dalla gelateria e butto la coppetta ancor piena un paio di cassonetti più avanti. Odio le fragole, e le fragole odiano me. Sono allergico ed Emma lo sa bene.

Ciao «3 Credo siano passati circa due mesi dal mio ultimo aggiornamento e mi dispiace. Troppe cose da fare e troppa poca fantasia. Spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante le sue ridotte dimensioni.

VentunoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora