Quando risponde l'unico suono che arriva al mio orecchio vigile è quello del suo respiro. « Ehi », sono il primo a parlare e lo faccio piano, quasi spaventato dall'idea di sovrastare una sua risposta. Sto aspettando di poter assaporare la sua voce da troppo tempo. Non sono ammessi errori. « Ehi », un sussurro quasi impercettibile che mi toglie il respiro. La sua voce trema e si strozza sulla i finale con un sospiro ribelle. Poi, per un tempo che sembra infinito, il silenzio cala assordandomi. Assordandoci. « Ci sei? » Domanda infine lei e un 'si' rotola via dalle mie labbra tremanti, oserei dire : emozionate. « Quasi non ci credo », il suo parlare così piano mi manda fuori di testa e sono quasi tentato di spronarla ad alzare la voce, ma non lo faccio. Ingoio la fretta che mi fascia la gola e annuisco come se lei potesse vedermi. « È così strano! » Lei mi regala una risata limpida ma controllata e io, non riesco a trattenere un sorriso. « Sono felice che tu mi abbia chiamato », azzardo. Sono felice e sono nervoso. Forse troppo. Troppo felice. Troppo nervoso. La salivazione mi si azzera di colpo e la sento sorseggiare qualcosa. Mi fisso su quel suono cercando di indovinare di cosa profumerebbero le sue parole se io fossi lì, con lei. « Vino rosso? » Domando certo che non sia così. Lei non beve. Io forse bevo troppo ma lei, non beve. « È una tisana ». Schiocca la lingua e continua elencandomi i benefici che trarrei da esse se anche io mi degnassi - parole sue -, di depurare il mio corpo contaminato. La ascolto parlare a raffica. La ascolto mentre prende coraggio lasciando cadere il velo e il suo accento toscano mi lascia per un attimo perplesso. Quella c soffiata è inconfondibile, nonostante la sua sia meno marcata rispetto a quella della maggior parte dei miei concittadini. Potrebbe esserci solo nata. Potrebbe essersi trasferita in un'altra regione e aver lasciato scemare il suo accento non perdendolo però, mai del tutto. Perché gli accenti, le cadenze, come i dialetti: ti si incollano alle corde vocali per la vita. Io per esempio sono stato adottato da Firenze all'età di quindici anni ma ancora oggi, nonostante i miei ventiquattro anni, il romano che vive dentro di me emerge ad ogni cena di famiglia. O di quel che ne resta, della mia famiglia. « Hai smesso di fumare? » Domanda rapendomi dai miei pensieri. Domanda lecita. Ma devo risponderle per forza? La mano passa pesantemente sul viso andando a finire dietro al collo rigido. « Ci sto provando », mormoro una risposta che suona più come una domanda e lei sospira. Me la immagino mentre mette il broncio. Me la immagino mentre spezza le dodici sigarette che mi sono rimaste nel pacchetto. « L'hai detto così tante volte... » "Che ho smesso di crederci". Non lo dice, ma lo pensa. La conosco. La conosco anche troppo bene. Non so di che colore siano i suoi capelli ma so che le piace l'odore della benzina e che piange ogni volta che passa davanti alla casa di riposo dove suo nonno era ospite prima di morire. Non ho la più pallida idea di quanto sia alta ma sono a conoscenza del numero esatto di volte in cui ha visto; 'La bella e la bestia'. Settanta cinque. E so per certo che, almeno la metà delle volte, era in compagnia del suo migliore amico. « Non ho mai aspettato tanto per un numero di telefono », cambio discorso. La distraggo e la sento sorridere. Sì, la sento sorridere. « In realtà, sei tu ad avermi dato il tuo ». Mi affonda con una semplice frase e ora quello che sorride, sono io.
Fisso il marmo scuro abbellito da lettere dorate e fiori gialli. Il rosso acceso del suo pallone da calcio continua a brillare nonostante siano passati tre anni dal giorno in cui, devastato dal dolore e con le lacrime che mi bruciavano il viso intorpidito l'ho appoggiato vicino alla sua fotografia. « Non sai cosa darei per un tuo abbraccio », mia madre sfiora i tulipani che tiene stretti al petto prima di posarli sulla pietra gelida. Le sue parole mi fanno rabbrividire e osservo mio padre che come ogni anno, si agita dondolandosi sui talloni sperando che questo piccolo rituale finisca in fretta così da poter tornare al lavoro. « Vuoi dire qualcosa, caro? » Lei lo sprona ma lui si limita ad un vuoto e rapido 'no' che accolgo con una smorfia, senza paura di mostrarla. Cerco di ingoiare la bile che minaccia divuscirmi dalle labbra. Lotto finché lo sdegno non scappa sotto forma di parole amare. « Voglio dire qualcosa io! » Mio fratello alza finalmente lo sguardo dall'erba incolta. I suoi occhi scuri mi studiano e il suo sguardo interrogativo mi manda in bestia. Come se non sapesse cosa voglio dire. Cosa voglio vomitare. « Credo che sia piuttosto inutile continuare a fingere che vada tutto bene, no? » Mia madre sussulta e mi prega con uno sguardo di cambiar idea, di mordermi la lingua e fare silenzio. « Insomma, è piuttosto evidente che papà preferirebbe passare un'esplorazione rettale piuttosto di essere qui oggi. » Lo sguardo severo di mio padre mi trafigge ma non mi do per vinto. Non smetto di parlare nemmeno quando la mano tremante di mia madre va a posarsi sulla sua bocca intenta a recitare una preghiera silenziosa« E tu mamma, smettila di fartene una colpa. Non è stata colpa tua, diamine. » Mio fratello bofonchia qualcosa causando un altro sussulto al corpo di mia madre che si incurva sotto al peso delle sue parole smettendo di chiedere aiuto a Dio. « Come hai detto, scusa? » Ringhio in direzione di quel coglione - passatemi il termine - e lui raddrizza le spalle alzando il mento. « Ho detto che probabilmente non si colpevolizza abbastanza », sibila a denti stretti mentre mia madre si accascia al suolo scossa dai singhiozzi. « Dio papà, ma lo senti? » Mio padre, che nel frattempo si è inginocchiato di fronte a mia madre alza il capo e mi sputa in faccia un ; "Guarda cosa hai fatto" scuotendo il capo indignato un paio di volte in mia direzione prima di tornare a sussurrare stupide parole fuori luogo all'orecchio di mia madre. Per un attimo l'idea di essere il protagonista di un brutto sogno mi solletica ma dopo aver chiuso la mano a pugno, conficcandomi le unghie nella carne, mi accorgo che questa, purtroppo è la vita vera. Che questa è la mia famiglia. « Vuoi davvero farmi credere che non è colpa della mamma se Riccardo non è più qui? » Mio fratello rincara la dose e mia madre si allontana in fretta sorretta dalle grandi braccia di mio padre che non smette di fulminarmi con i suoi sguardi idioti. « Spero che tu stia scherzando! » Ho le mani che prudono e la sua espressione disgustata mentre indica mia madre con un cenno del capo mentre sale in macchina, non aiuta a placare i miei istinti. « Doveva esserci lei al suo posto! » Un sussurro che attiva un pulsante invisibile. Faccio un passo verso di lui ringhiando un 'chiudi il becco' tra i denti stretti e quando lui dissente dando dell'assassina alla donna che ci ha regalato la vita, scatto. Il suono del suo naso che incontra il mio pugno mi inebria. Lui cade a terra imprecando e tende una mano cercando di allontanarmi mentre con l'altra cerca di raccogliere la copiosa quantità di sangue che gli zampilla dal naso. « Ti ammazzo, giuro che ti ammazzo! » Non so bene chi è dei due a parlare, ad urlare. Il sapore del metallo caldo mi accarezza la gola. Non so quanti pugni incasso e quanti ne regalo prima che le mani tremanti di mio padre e le urla spaventate di mia madre mi riportino alla realtà. So solo che prima di correre via lascio scivolare sulla tomba del mio fratellino la mia attenzione che viene catturata dalle lettere che compongono il suo nome. Lettere che ora, sono dipinte di rosso.
Un suono avvisa tutti i presenti del mio arrivo. Lascio sbattere la porta violentemente alle mie spalle mentre Emma mi passa davanti con un paio di coppe di vetro mezzo vuote. « Ehi, la tua faccia è messa peggio del solito o sbaglio? » Lei ironizza mentre le mostro il dito medio senza degnarla di uno sguardo. Un paio di ragazzine mi fissano lasciando perdere il loro gelato per metà sciolto. Portano le mani dalle unghie laccate di nero carbone davanti alla bocca bisbigliando tra di loro. « Ehi mocciose, nessuno vi ha insegnato l'educazione? » Sono piuttosto indispettito e le parole mi scivolano di bocca come vittime di un ottimo lubrificante. I loro grandi occhi scuri si velano di timore mentre tornano a fissare le loro stupide coppette a pois. « Ti rendi conto che quelle ragazzine hanno la metà dei tuoi anni? » Cassandra si pianta di fronte a me con le mani ancorate sui fianchi stretti. « Rimangono pur sempre delle gran maleducate! » Alzo la voce così da farmi sentire dalle dodicenni e sfidando lo sguardo furibondo di Cass. « Sei un coglione » sbotta lei avvampando di colpo. Le sue guance si tingono di rosso, vittime di quella parolaccia sfuggita dalle sue labbra ribelli. « Cosa ti è successo alla faccia? » La sua espressione meravigliata mi suggerisce che si è accorta soltanto ora delle condizioni in cui mi trovo. « Vorrei la solita coppetta, pistacchio e cioccolato. » Ignoro la sua domanda e lei ignora la mia ordinazione prendendomi per un braccio e trascinandomi in uno stanzino sulla quale porta è affisso un cartello raffigurante un teschio e la scritta : Il regno di Pietro'. « Andrea non approverebbe ». Un sorriso sornione si impadronisce delle mie labbra gonfie e lei mi zittisce strattonandomi e chiudendo la porta alle nostre spalle. « Cosa ti è successo alla faccia? » Insiste abbandonandomi in mezzo alla stanza per andare a frugare in un cassetto poco distante. « Ho fatto a pugni con uno stronzo ingrato », vomito infine quelle parole e lei si limita ad annuire tornando con in mano una boccetta di disinfettante. Disinfettante con il quale impregna un batuffolo di cotone rosa. Batuffolo di cotone con il quale mi tampona l'occhio destro. « Ti fa male? » Sussurra quella domanda con gli occhi fissi sul mio labbro tumefatto. Profuma di crema e amarene. Ad ogni parola che mi soffia sul viso una leggera aroma di menta mi pizzica le narici. Scuoto il capo e mi allontano dalla sua mano, ancora intenta a prendersi cura di me. « Grazie, ma ora devo andare ». La sua espressione preoccupata mi strappa un gemito soffocato. Rivedo mia madre nei suoi occhi preoccuparti. Risento la sua voce rotta dal pianto mentre mi prega di fermarmi. « Grazie Cass », le passo una mano sul braccio nudo ed esco dal regno di Pietro con meno sangue incrostato sul viso, nessun gelato nello stomaco e le urla di mia madre che mi ronzano in testa.
'Mi sono accorto di aver bisogno di te più di quanto pensassi'. Mi sento un rammollito mentre mi concentro a cercare una giusta sintassi. Il mio io interiore mi sta prendendo a calci e se non fosse per la mia faccia dolorante, sbatterei da solo la testa contro la parete di camera mia. La giusta punizione però, sarebbe quella di prendermi e rinchiudermi in una stanza piena di libri di Nicholas Sparks lasciandomi affogare in quel mare di miele. 'Sei ubriaco?' Ci pensa lei a darmi una testata virtuale, dritta in mezzo ai denti e la mia risata riempie la stanza. 'Probabilmente è stata l'aspirina a darmi alla testa' mi chiede se sono ammalato e do la responsabilità del mio mal di testa ai malanni primaverili. 'Lo sai che siamo in pieno agosto, vero?' Do nuovamente la colpa all'aspirina che mi sta mangiando l'ultima parte sana del cervello. E subito dopo aver premuto invio, il mio orecchio viene deliziate dal suono di 'Carry on my wayward son' e nel contempo il numero di lei si palesa sullo schermo del mio cellulare che non cessa di vibrarmi tra le dita. Il suo 'ciao' provoca una reazione automatica ai muscoli del volto, si tendono in un sorriso ebete e finalmente realizzo di essere fregato.
• Hola bella gente. Questo mese l'ispirazione si è impossessata del mio corpo portandomi a partorire due capitoli nell'arco di pochi giorni. • Torno a consigliarvi un paio di storie che sono sicura, troverete meravigliose.
« SOTTO UN CIELO SENZA STELLE di MicheleFranco8 » e
« ANIMA D'ACCIAIO di animasporca »
Buona lettura e grazie di esserci sempre «3