Capitolo 6

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La palestra al secondo piano del palazzo della Drep Service era molto grande; niente a che vedere con il seminterrato provvisto di un paio d'attrezzi che avevano alla Baita.
C'erano attrezzature per far allenare comodamente i cinquanta guerrieri del khrathos: duecento metri quadrati di spazio per far sfogare loro le energie in eccesso quando il lavoro era troppo poco.
Damian era di fronte alla parete specchiata. La corda che stava saltando ruotava così velocemente da essere difficile da vedere, soltanto un sibilo continuo nell'aria.
Indossava i pantaloni morbidi di una tuta ed era a piedi scalzi. La luce intensa della palestra illuminava il suo torso scolpito, creando dei solchi d'ombra nelle linee marcate dei muscoli. La sua pelle e i tatuaggi rilucevano per le minuscole perle di sudore che gli scivolavano lungo il corpo.
Si stava allenando da più di tre ore, ma non si sentiva ancora sufficientemente stanco.
Voleva arrivare al punto di non avere altra scelta se non dormire.
Gli sarebbe piaciuto poter raggiungere il letto, accasciarsi, e cadere in un profondo sonno ristoratore, ma erano vent'anni che non riusciva a dormire.
Perché non appena chiudeva gli occhi rivedeva quella scena.
Vedeva Sofia che lo baciava, gli diceva che lo amava e si puntava la pistola alla tempia.
Vedeva il suo corpo esanime risucchiato nella gabbia dei Titani e la porta di metallo che si richiudeva per sempre sull'amore della sua vita.
Prese a far ruotare la corda più velocemente, fin quando i polsi non gli inviarono delle fitte dolorose e le gambe persero il ritmo. Allora la corda s'impigliò nel suo piede e dovette fermarsi.
Con il fiato grosso, si lasciò a cadere seduto sul pavimento di legno della palestra. Piegò le ginocchia e vi appoggiò le braccia, chinandosi lievemente in avanti, cercando di riprendere fiato.
Damian si muove lungo le vetrate che danno sugli aerei pronti all'imbarco nell'aeroporto di Antalya.
Di fronte a quelle grandi finestre ci sono una decina di bambini che guardano incantati i velivoli e altrettanti genitori sono poco più indietro, seduti sulle poltroncine in attesa di essere chiamati per l'imbarco.
Damian tira dritto senza neanche guardarli; Ric è in fondo alla sala, solo nell'angolo.
Da quel lato, può vedere la cicatrice che lo deturpa e capisce perché nessun umano gli stia vicino.
Quando gli arriva accanto, si volta anche lui verso le vetrate.
«Preferisci restare?» gli chiede.
Ric scuote la testa.
«Preferirei morire subito.»
Restano in silenzio qualche istante, osservando l'imbarco del volo per Monaco.
«Forse dovemmo parlare con Zeus» dice infine Damian, «Ha ridato la sua
myssi a Decklan, forse può fare qualcosa.»
Ric neppure si volta.
«Per un demone?» sorride amaramente, «Piuttosto si farebbe portare via le sue folgori.»
Restano di nuovo in silenzio, quando un vociare concitato si alza dal corridoio.
Damian si volta e vede i gemelli. Hanno comprato un arco di plastica e delle frecce a ventosa.
Neil e Neesha sono bendati e un gruppetto di bambini corre e grida attorno a loro. Di sicuro è lo stesso gioco che hanno fatto a Philadelphia; avranno dato cinque euro ad ogni bambino per scappare e non farsi colpire.
«Ecco come sperperano i nostri soldi» ringhia Damian, e Ric scoppia a ridere.
«Deve essere bello rimanere sempre adolescenti.»
I
Maximi sono soldati, addestrati ad obbedire e uccidere, ma hanno eterne anime di ragazzini. È essenziale che rimangano immaturi, perché soltanto un animo incosciente non ha paura della morte.
E loro affrontano la morte quasi ogni giorno.
«Magari» sbuffa Damian «Quelli sono più pericolosi di qualunque adolescente.»
«Sai» mormora Ric, voltandosi di nuovo verso le vetrate, «Forse dovrei andarmene per un po'.»
Damian stringe gli occhi diversi.
«Andare dove?»
Il demone alza le spalle.
«Non lo so. Andare e basta, credo. Stare per conto mio.»
Damian annuisce lentamente, poi si infila le mani nelle tasche dei jeans.
«Lo fai tutte le volte, stare per conto tuo, ma non ti è mai servito.»
Ric sospira rassegnato.
«Già. Non c'è niente che serva davvero.» Lo guarda e il bel viso si apre in un sorriso, «Ma almeno ci sono loro a tenerci impegnati.»
Damian si volta: i gemelli hanno preso due ragazze e le hanno convinte a stare ferme al centro del corridoio. Una ha già due freccette a ventosa come copri capezzoli sulla camicetta.
«Dove cazzo è Noia quando serve?» ringhia Damian, mentre Ric se la ride.

Il mondo andava avanti.
Tutti andavano avanti, tutti continuavano a vivere, cadevano e si rialzavano, s'impegnavano in qualcos'altro, superavano le perdite e s'innamoravano di nuovo.
Ma non loro.
Lui e Ric erano rimasti fermi esattamente a vent'anni prima. E il fatto d'essere insieme li aveva aiutati a non mollare, ma forse era proprio ciò che li legava ancora al passato.
Eppure, perdere Ric era impensabile. Erano fianco a fianco da troppo tempo, erano fratelli: non avrebbe saputo come fare senza il suo migliore amico accanto.
La porta della palestra si aprì e la testa bionda di Hektor fece capolino.
Damian non distolse gli occhi diversi dal proprio riflesso nella parete specchiata e il Maximo disse:
«Dam, c'è una chiamata per te.»
«Chi è?»
«Dina. Dice che ha bisogno di parlarti.»
Damian rimase immobile per un istante, poi scosse la testa.
«Dille che non sai dove sono.»
Hektor strinse le labbra, prima di azzardare:
«Sei sicuro? Perché sembra...»
Damian si voltò a guardarlo e ringhiò:
«Se stai cercando di farti spaccare la faccia, questo è un buon sistema.»
Hektor allora annuì e chiuse la porta.
Damian si lasciò cadere di schiena sul pavimento e cercò di respirare piano, per dominare il fiato grosso.
Non poteva parlare con Dina, meno che mai vederla. Non che ce l'avesse con lei, o chissà cos'altro, ma vedere Dina non avrebbe fatto altro che riportarlo indietro verso un periodo che non poteva proprio permettersi di rivivere.
Era già abbastanza fuori di testa, grazie.
D'un tratto sentì un gran vociare nel corridoio.
Con un colpo di reni si rialzò ed afferrò l'asciugamano posato su una delle panche. Se lo passò sul viso e poi se lo appoggiò intorno al collo, aprendo la porta della palestra.
Hektor era davanti alla porta degli spogliatoi: indossava dei pantaloni neri ed una canotta bianca che scopriva le braccia possenti. Di fronte a lui c'era la nuova segretaria. Tailleur blu notte e viso coperto di lacrime.
Damian cercò di ricordare come diavolo si chiamasse, quando lei batté ferocemente i pugni contro il petto del Maximo.
«Sei un bugiardo!» gridò.
Hektor sollevò le mani, ridendo.
«Non ti ho mai detto che eri l'unica.»
La bionda lanciò un grido isterico e si voltò per tornare verso l'ascensore, accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi sul marmo e la risata divertita di Hektor.
«Ale, non fare così!», le gridò dietro il guerriero, «Se vuoi ti faccio partecipare la prossima volta!»
Alessia neanche si voltò, ma quando arrivò di fronte a Damian si fermò, come se non si fosse accorta prima che lui era lì.
Damian la fissò imperscrutabile.
Le debolezze degli altri lo facevano sentire a disagio; data la sua mancanza di empatia, gli risultava particolarmente difficile consolare le persone. Soprattutto le ragazze in lacrime.
«Tutto okay?» le chiese.
Alessia scosse la testa e si asciugò le lacrime, lanciando solo un'occhiata ad Hektor, ancora fermo di fronte alla porta degli spogliatoi.
«Mi dispiace, Signor Drepanon» piagnucolò lei, «Non volevo che assistesse a...» sospirò, affranta, «Domattina rassegnerò le mie dimissioni.»
Lo sapeva.
Hektor era prevedibile come un maledetto uragano in Florida.
Damian si limitò ad annuire e la ragazza riprese a singhiozzare, avviandosi verso l'ascensore.
Lui si avvicinò al Maximo, che gli rivolse un sorriso sfrontato.
«Peccato, pensavo fosse più divertente.»
In risposta, quando gli arrivò accanto, Damian gli piazzò uno scappellotto dietro la nuca, così forte da farlo barcollare in avanti di un passo.
«Trovane un'altra» ringhiò, «O dietro quella scrivania ci finirai tu.»
Non si fermò ad ascoltare Hektor ridere ed entrò negli spogliatoi.


La Maledizione di Persefone - L'Esercito degli Dei #3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora