Capitolo 7

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I The Who suonano sul palco e centinaia di umani ballano e cantano sulle note di Heaven and Hell.
Il Festival di Woodstock è appena a metà, ma il prato è già un porcile. Bottiglie di plastica, preservativi, fazzoletti e una improbabile quantità di scarpe.
Un sacco di gente tornerà a casa scalza, il prossimo lunedì.
Ric comunque non se ne sta preoccupando. Non si sta preoccupando di niente, in realtà.
È steso sulla sua Honda CB 350: la testa sul sellino ed i piedi sul manubrio. Indossa soltanto un paio di jeans scuri a zampa d'elefante con un gigantesco cinturone di cuoio. I lunghi capelli castani ricadono sul sellino della moto. Gli arrivano quasi al petto, ormai, e sono morbidi e lucenti.
Ha coperto la cicatrice con del trucco; ora, metà del suo viso è un coloratissimo simbolo della pace.
Prende un tiro dallo spinello che tiene tra le dita e trattiene il fumo nei polmoni, più a lungo che può, prima di espirarlo in una densa nube bianca.
Dei, quanto gli piace quella vita.
Poi la sente avvicinarsi. Sta ridendo: riconoscerebbe la sua voce tra mille.
Apre gli occhi quando lei gli è vicina.
I lunghi capelli grigio azzurri sono perfettamente lisci, un cordoncino di cuoio le circonda la fronte, e gli occhi di un blu intenso brillano anche nel buio in quel viso da bambola. Indossa soltanto un paio di shorts di jeans sfilacciati.
«Guarda» gli dice, spingendo in avanti il petto, «Non sono adorabili?»
Sui suoi seni generosi sono dipinti due pesci azzurri, rivolti uno verso l'altro.
«Bellissimi» mugola Ric. La afferra per la vita e la tira su di sé, prendendo tra le labbra uno dei capezzoli.
«No!» strilla lei, cercando di divincolarsi «Ric, togli tutto il colore!»
«Hai ragione» borbotta lui, «Devono essere uguali.»
E senza che lei possa ritrarsi, prende tra le labbra l'altro capezzolo, facendola ridere ancora.
Dina gli posa le mani sulle spalle e lo spinge di nuovo sulla motocicletta.
«Ora dovrò farmeli rifare» lo rimprovera, fingendosi arrabbiata.
Ric si alza a sedere, spingendosi i lunghi capelli dietro le spalle, e guarda il palco dove sono i The Who, giù in fondo alla collina, proprio accanto allo stagno.
«Andiamo a fare un bagno?» le chiede.
Dina scuote la bella testa.
«L'ho appena fatto. Ci sono delle Liminiadi molto simpatiche.»
Ric mugola interessato.
«Ninfe di stagno. Potrei farci un pensiero.»
Il viso di Dina di colpo s'indurisce. Si pianta le mani sui fianchi e sibila:
«Avvicinati ad un'altra ninfa e ti giuro che farò sesso con tutti i maschi che sono in questo campo.»
Ric ride e la afferra per un braccio, tirandola a sé.
Preme le labbra contro le sue, costringendola a baciarlo, poi mormora:
«Tu sei l'unica ninfa che voglio. Sei l'unica che abbia mai voluto.»

Ric la teneva per i fianchi e pompava con forza dentro di lei.
La Driade appoggiò le mani al lavandino e chinò il capo, gemendo per l'orgasmo che la scuoteva.
Ric affondò ancora e ancora, fin quando non si riversò dentro di lei.
Allora uscì rapidamente, riallacciandosi i jeans, mentre lei si raddrizzava e si abbassava il vestito sulle natiche tonde.
Poi si voltò a guardarlo, ansimante e con le gote arrossate per il piacere.
«Dovremmo farlo più spesso» gli disse, ridacchiando civettuola.
Ric inarcò un sopracciglio.
«Meglio non vedersi troppo. Finiresti con l'innamorarti di me.»
La Driade scoppiò a ridere gli posò le mani sul petto.
«Sono una ninfa, Ric» mormorò, «Posso innamorarmi solo del mio myssi e sappiamo che tu non lo sei.» Sollevò il viso e si alzò sulle punte, così che le labbra sfiorassero le sue, «Ma mi piace quello che facciamo.»
Ric le afferrò il viso con una mano e le strinse le guance, così che lei sporgesse le labbra.
Le stampò un bacio sulla bocca e poi le afferrò una natica, stringendola e tirandola a sé con tanta forza da sollevarla da terra.
«Non tirare la corda» l'ammonì, «Sai che mi stanco facilmente.»
La ninfa squittì deliziata e accarezzò il suo petto, scivolando fino a stringergli la patta.
«Allora tirerò qualcos'altro.»
Ric la sollevò e la mise seduta sul lavandino.
«Fatti sotto» la sfidò, spalancandole le gambe.
La gonna lunga di seta porpora le arriva alle caviglie, lasciando scoperte le decolleté con il tacco quadrato, ed è così leggera che si solleva quando lei fa una giravolta per la strada deserta.
Una cinta larga di raso sottolinea la sua vita sottile, la camicetta in tinta con la gonna è molto morbida e le spalline di pizzo sono coperte dalla soffice pelliccia bianca.
I capelli grigio-azzurri sono lunghi, con la riga di lato, ed incorniciano il viso da bambola con morbidi boccoli.
«È stato bellissimo!» sospira, portandosi le mani al petto.
Ric, dietro di lei, cammina con le mani nelle tasche dei pantaloni grigi. La giacca è aperta e la spilla sul panciotto è legata alla catenina dorata del suo orologio da taschino. I capelli castani sono lucidi di brillantina, corti e perfettamente ordinati con una riga nel mezzo.
«Non mi è sembrato poi un granché» commenta annoiato, seguendo la sua donna che sembra in estasi.
«Scherzi?» Dina si volta a guardarlo e smette di camminare, aspettando che lui la raggiunga, «È stato il film più bello che abbia mai visto!»
Ric sorride ironico.
«Io non ho mai visto il Loew's Grand Theatre così imbellettato.»
Dina gli posa le mani sul petto.
«Vedrai» gli dice, «
Via col vento rimarrà nella storia e tu sarai felice di avermi portato a vederlo.»
Ric le posa le mani sulla vita e la spinge con poca dolcezza contro la parete di un palazzo. Non si cura di guardarsi attorno: a quell'ora della notte, quel quartiere di Atlanta è sempre deserto.
Dina gli circonda il collo con le braccia e lui le sfiora il naso col proprio.
«Sarò felice perché tu sei felice, mia
myssi
Dina si morde il labbro inferiore e sorride.
«E nessuno mi rende più felice di te, mio
myssi
Ric inarca le sopracciglia ed il suo bellissimo viso sfigurato si apre in un sorriso perverso. Quel sorriso che lei conosce bene e che le fa ribollire la linfa nelle vene.
«Ma la felicità non è gratis, amore mio» mormora sulle sue labbra. Scivola poi lungo la linea della sua mandibola, fino a raggiungere l'orecchio, «C'è sempre un prezzo da pagare.»
Dina emette un sibilo, fingendosi incredula.
«Oseresti ricattarmi, mio Signore? Oh!» esclama, con tono teatrale, «Quale demonio si nasconde dietro quei gesti gentili!»
Ric ringhia nel suo orecchio, facendola rabbrividire.
«Dovresti sapere con quale demonio ti trovi a trattare.»
Le morde la pelle delicata sotto l'orecchio e con entrambe le mani le solleva la gonna.
Dina gli circonda il fianco con una gamba e Ric le afferra una natica, sollevandola da terra e spingendosi contro di lei per farle sentire l'erezione che gli preme nei pantaloni.
«Conosco il mio demonio» mormora lei, «E lo amo più della vita stessa.»
Con uno strattone, Ric le strappa la biancheria di seta e il gancetto del reggicalze color panna salta via con uno schiocco.

Ric raggiunse di nuovo l'orgasmo e quando uscì da lei, non degnò d'uno sguardo l'espressione d'estatica soddisfazione della ninfa.
Negli anni aveva di molto affinato le sue tecniche; all'inizio, anche il solo gemere delle ninfe lo infastidiva.
Finché aveva imparato ad isolare ogni altro suono, ascoltando solo la propria mente; così riusciva a vedere Dina.
Quando scopava una ninfa, in realtà faceva l'amore con la sua myssi.
E, per quanto fosse triste e patetico, era l'unico modo per lui di lasciarsi andare.
Uscirono insieme dal bagno del locale, ignorando i commenti furiosi di chi era in fila da quasi un'ora, e tornarono nel pub.
Era sabato sera, perciò il Drinkup era molto affollato. La ninfa si dileguò per raggiungere le sue sorelle e Ric guardò l'orologio che aveva al polso. Mancava poco alla mezzanotte, se si fosse sbrigato, sarebbe riuscito a trovare qualche demone da ammazzare prima che sorgesse il sole.
Scrutò la sala in cerca di qualcuno di sospetto, ma l'unica cosa sovrannaturale che vide fu l'ubriachezza di Hektor.
Il Maximo stava camminando verso di lui e cingeva le spalle di due belle ragazze.
Alle luci della sala, la sua maglia bianca era fosforescente e i suoi occhi grigi sembravano molto luminosi, rendendolo ancora più simile ad un bellissimo psicopatico.
Beh, forse non ne era soltanto simile.
«Non sei di turno stasera?» gli chiese Ric quando gli fu vicino.
I Maximi avevano una turnazione da rispettare: ogni notte, venti di loro perlustravano tutta la città in cerca di demoni.
Per tenerli sotto controllo, anni prima, Ric li aveva dotati di un ManDown, un piccolo ciondolo di metallo che tutti i Maximi avevano al collo: permetteva loro di conoscere l'esatta posizione di tutti gli altri e, soprattutto, suonava come la dannata sirena di un'ambulanza se uno di loro finiva a terra.
«No» rispose Hektor con un sorriso, «A me tocca domani.»
«Ho saputo della segretaria» lo sfotté, «Non ti smentisci mai, eh?»
Hektor chiuse gli occhi e sollevò il viso al soffitto.
«Maledizione» imprecò, «L'avevo dimenticato», si voltò verso la bionda che teneva sotto il braccio destro, «Tu hai un diploma di ragioneria, vero?»
Ric roteò gli occhi mentre la bionda annuiva.
«E di' un po'» insisté Hektor, «Come te la cavi col computer?»
Ric non rimase ad ascoltare il resto del colloquio, che la bionda avrebbe di certo concluso senza veli e a novanta gradi, e uscì dal locale.
S'incamminò verso il palazzo della Drep, dove aveva lasciato la BMW, quando sentì un grido provenire dal parco comunale.
«Ottimo» mugugnò, cambiando strada e dirigendosi a passo svelto verso il parco.
I cancelli in ferro erano aperti, perciò entrò senza problemi.
Sentì gridare ancora ed accelerò il passo, attraversando il vialetto curato tra gli alti pini, fin quando non raggiunse il laghetto.
Allora le vide.
Tre Lamie stavano inseguendo una ragazza: sembravano donne, con corpi neri come carbone e capelli lisci, lunghi fino alle spalle, ma gli occhi erano rossi e luminosi, e lunghe zanne sporgevano da quelle bocche fameliche.
La ragazza inciampò e cadde atterra. Gridò più forte, di dolore e paura, e Ric la riconobbe: era Allie.
Ric si gettò su una delle Lamie prima che la raggiungessero. La afferrò per le spalle e la spinse lontano, voltandosi in tempo per affrontarne un'altra.
Estrasse un coltello dal fodero che aveva legato al petto, sotto la maglia, e lo affondò senza esitare nel cuore del mostro. La Lamia spalancò le fauci e in un istante si ridusse in cenere.
Un'altra piantò gli artigli nella sua nuca, affondandoli nella carne e lacerandolo fino alle scapole. Ric imprecò e si voltò, colpendola al fianco con la lama, ma soltanto di striscio.
La Lamia indietreggiò e ruggì, soltanto per tornare all'attacco un istante dopo.
Ric si scansò di lato, evitando le sue braccia tese, ed affondò la lama nel suo collo, recidendolo di netto.
Il cadavere del mostro esplose in cenere e si voltò verso la terza, che ormai stava scappando.
L'avrebbe rincorsa, se Alice non avesse chiesto:
«Ric? Sei tu?»
L'aveva riconosciuto, maledizione.
Poco male, avrebbe usato lo psyka su di lei e le avrebbe cambiato la memoria.
Lasciò cadere il coltello e si voltò lentamente, mentre lei restava seduta a terra. La gonna di jeans che indossava si era sollevata un po', svelando le cosce magre, e la camicetta era stropicciata e sporca.
Con quei capelli così corti, sembrava davvero giovanissima.
«Tutto okay?» le chiese, tendendo la mano.
Allie l'afferrò e si aggrappò a lui per alzarsi in piedi. Quando posò a terra il piede destro, gemette dal dolore.
«Credo di essermi rotta la caviglia.»
Ric sorrise.
«Meglio di una gola tagliata.»
Allie aggrottò le sopracciglia e Ric scosse la testa.
«Lascia stare. Umorismo cinico.»
Si chinò di fronte a lei e le prese dolcemente un piede. Indossava degli stivaletti di morbida pelle chiara e Ric vi infilò dentro la mano per toccare la caviglia; era gonfia e, infatti, lei gemette di nuovo, appoggiandosi alle sue spalle per non cadere.
«Non sembra rotta» mormorò.
«Cos'erano quelle?» piagnucolò lei.
Ric si rialzò ed Allie rimase con le mani sulle sue spalle per paura di cadere.
«Guardami negli occhi, Allie» ordinò.
La ragazza obbedì e gli occhi di Ric divennero velocemente rossi, così luminosi da brillare nel buio.
Era l'unica nota positiva dell'essere un demone: poteva entrare nella mente degli altri e fare quel che più gradiva dei loro ricordi. Funzionava con qualunque essere vivente, fatta eccezione per gli Dei, ovviamente.
Per questo gli si mozzò il respiro nel petto quando Allie aggrottò le sopracciglia, perplessa, e chiese:
«Che succede ai tuoi occhi?»
Ric restò immobile, senza sapere cosa dire o fare.
Allie si mosse un po' e poi sollevò una mano dalla sua spalla, strofinando le dita sul palmo.
«Che cosa...» borbottò, prima di spalancare gli occhi dal terrore, «È sangue? Sei ferito?»
Ric si tirò indietro così bruscamente da farla cadere di nuovo a terra.
Imprecò e rimase ad un passo da lei, stringendo i pugni e maledicendosi per essere stato così incauto.
«Ric, stai bene?» gli chiese.
Ric inclinò la testa di lato, incredulo.
Lei non stava morendo.
Aveva la mano ricoperta del suo sangue e non stava morendo.
«Che cosa sei?» ringhiò.
Allie s'accorse subito del suo cambiamento d'umore.
«Che vuol dire?» balbettò.
Ric infilò una mano sotto la maglia ed estrasse una pistola, puntandola dritta verso di lei.
«Che cosa sei?» ripeté.
Allie gridò e cercò di scivolare all'indietro sull'erba, ma riuscì a spostarsi di poco.
«Non so di cosa parli!» gridò terrorizzata.
Si coprì il viso con le mani, come se non guardare quel terrificante uomo armato che le era di fronte potesse farlo svanire davvero.
«Non spararmi!» supplicò «Ti prego, non spararmi!»
Ric restò con la pistola puntata, indeciso.
La ragazza era rannicchiata su se stessa e piangeva, terrorizzata.
Non sembrava pericolosa.
Eppure era immune allo psyka e il suo sangue non l'aveva uccisa.
Non voleva farle del male, perché sembrava davvero umana, ma non poteva neppure lasciarla andare.
Così rinfoderò la pistola.
«Oh, grazie a Dio» sospirò lei.
Ric le passò alle spalle e prima che Allie avesse modo di reagire, le passò un braccio attorno alla gola, stringendola con forza.
La ragazza si dimenò e gli afferrò il braccio, ma era troppo debole per liberarsi dalla presa del demone.
Ric la strinse fin quando la carenza d'ossigeno non fu sufficiente a farla svenire.
Allora la sollevò da terra e, tenendola tra le braccia, s'incamminò verso la BMW.

La Maledizione di Persefone - L'Esercito degli Dei #3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora