Alle 14:57 di un 28 agosto dal cielo autunnale, egli cadde violentemente a terra; egli scomparve per sempre.
Di lui, ricoverato al Santa Marta d'urgenza per fratture multiple e un grave trauma cranico, non rimaneva altro che il numero della stanza 110: privo di documenti e di parenti in sala d'attesa, egli era divenuto
" Quello grave della 110 ".
Tutti quanti, infatti, dal portiere dell'ospedale al primario, lo indicavano così, forse per semplificarsi il lavoro o forse perché egli non aveva davvero nessuno ad aspettarlo e ad accudirlo. Ma egli un nome lo aveva, eccome se lo aveva, Luigi Mastrocchi, per gli amici Mastro; che poi quali amici? Quello grave della 110 non aveva amici.
Pian piano, però, anche quel misero ammasso di carne abbandonato sul letto di un ospedale iniziò a suscitare scalpore: possibile che nessuno fosse venuto a ricercare Luigi? Luigi non aveva moglie, amici, parenti, un cane o una famiglia? Ah no, già, per ora Luigi non era neanche più Luigi; Luigi era scomparso e di lui, oltre al corpo in stato vegetativo che creava solo problemi a chi doveva decidere se "stacco spina" o "lascio spina", restava ormai solo quel nomignolo, magari pure poco simpatico, Quello grave della 110.
Nello stesso tempo, però, un Luigi, in Luigi, c'era, eccome se c'era!
Mentre, infatti, medici e infermieri si prendevano cura di lui, alcuni in modo particolarmente accurato ed altri meno, Luigi c'era, andava solo scoperto; egli viveva la vita dietro il sipario del coma, e rifletteva, e pensava, e immaginava, insomma, viveva nel suo mondo, come sempre aveva fatto.
E in tutto questo fantasticare, Luigi pensava alla compagna Marta che prima o poi lo avrebbe raggiunto lì, in ospedale, in quel magnifico antro di riposo che portava proprio il suo nome, come a ricordargli che Marta c'era, anzi, che Marta era Santa.
Pensava, poi, soprattutto alla madre Elvia, una donna davvero speciale, che lo aveva sempre amato tanto e che si sarebbe meritata un po' più di un semplice biglietto, che, più o meno, diceva così :
<< Cara mamma,
sei stata un supporto importantissimo per questo figlio un po' disgraziato che ti sei ritrovata a gestire senza un padre, fuggito per il suo vero amore, le sigarette( così dicono...). Sebbene non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che hai fatto per me, credo sia giunto il momento di aprire un cantiere tutto mio sulle tue solidissime fondamenta, il cantiere della mia Vita. Quindi non cercarmi più e vedrai che andremo per sempre d'accordo.
Con animo di pregno verso di voi mi congedo e vi saluto amorevolmente. Vostro fedele erede, Luigi>>.
Luigi aveva lasciato sua madre all'età di 22 anni dopo l'ennesima discussione familiare su passato, presente e futuro, ed ora, a 36 anni, si ritrovava con il suo pensiero pensante ma senza nessuno a tenergli ed accarezzargli la mano.
E Marta? Con Marta era finita, proprio quel 28 agosto dal cielo autunnale: lui, sfinito dal litigio con la compagna, era uscito di casa e aveva preso la moto. Era solito, infatti, fare un giretto per allentare la pressione e, forse anche per questo, non era un amante della velocità estrema: tanto più era stanco o furioso, tanto più andava piano, per gustarsi appieno ogni singolo momento dello scorrere della vita intorno a lui. Quel giorno, però, incontrò sulla sua stessa strada qualcuno animato dal vizio opposto; e questo qualcuno era alla guida di un SUV.
Alle 14:57 di un 28 agosto quasi autunnale, Luigi cadde violentemente a terra: Luigi scomparve per sempre.
Di questo Luigi scomparso nessuno parlava e lui sembrava alquanto felice: accudito, lavato e nutrito, Luigi passava le giornate così, pensava e navigava tra le dune di intramontabili deserti e le onde di oceani infiniti all'orizzonte; solo una cosa, però, gli mancava: a Luigi mancava l'amore.
Per questa mancanza soffriva e si districava tra le varie possibilità di ottenerlo come un esploratore in terra straniera si districa fra piante secolari della giungla più impervia. Aveva capito, dopo 3 settimane, che per ottenere l'amore bisognava svegliarsi e così, ora, passava le giornate a cercare di capire come e quando svegliarsi. E finalmente aveva capito, dopo altre 2 settimane, che per svegliarsi e per ottenere l'amore, non bisognava avere paura, pensate un po', proprio di quel risveglio tanto temuto.
L'illuminazione era giunta dopo altre 4 settimane quando, un giorno come gli altri, aveva capito che se non aveva avuto paura di svegliarsi tutte le mattine per 36 anni, non v'era motivo per averne ora; doveva svegliarsi. Così, sotto lo sguardo di una giovane infermiera tirocinante intenta al suo dovere, Luigi aprì gli occhi e l'infermiera svenne.
Arrivato il primario sollecitato d'urgenza da un'altra infermiera, la scena che si presentò ai suoi occhi nella stanza di Quello grave della 110 fu la seguente: Luigi faceva aria alla giovane infermiera tirocinante sdraiata a fianco a lui sul letto con i piedi all'insù sotto gli occhi increduli di tutto il personale del reparto in cui, in quei 3 interminabili minuti, sembrò essersi fermato il tempo.
Il 30 ottobre Luigi era quasi autonomo in tutti i movimenti, riusciva a parlare correttamente e a vivere una nuova vita " normale "; purtroppo, però, ora era davvero solo.
Un unico ricordo era rimasto impresso nella sua memoria: l'ora dell'incidente sul cruscotto della moto, le 14:57, l'ora Luigi era scomparso.
Se fino ad allora lui era stato per tutti Quello grave della 110 mentre per se stesso era rimasto il solito Luigi, quello dell'incidente, quello di Marta ed Elvia, ora non era più così, lui non sapeva più nulla. Medici e avvocati erano riusciti a scoprire il suo nome e tutte le sue generalità quasi subito (la motorizzazione sa cose inimmaginabili) ma per loro era rimasto Quello grave della 110, Marta non aveva voluto raggiungerlo nemmeno su sollecitazione delle autorità ed Elvia era morta l'anno prima; insomma, era solo. Forse per Luigi, che ora non era Luigi ma un uomo gentile che faceva la corte alle infermiere, ripetendo più volte al giorno 14:57, sarebbe stato meglio rimanere a letto, in coma, e non cercare di trovare l'amore.
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Ed ora volevo rivivere
RandomImmagina: svegliarsi di colpo, cercare se stessi e non ritrovarsi in quel corpo, in quegli' occhi, nel nome con cui tutti ci chiamano; guardare dalla finestra e scoprire che il mondo è il nostro peggior incubo. Iniziare ad aspettare, aspettare fino...