Capitolo 2 Ed ora che fare?

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Il tempo passava anche troppo in fretta fra cambi turno e nuovi compagni di stanza che prendevano il posto di quelli vecchi, o morti o guariti.
Era già il 5 novembre e mentre medici e avvocati si battevano con la burocrazia per far carico a Marta della condizione ancora molto critica di Luigi, egli restava sempre più solo.
Le infermiere cominciavano a chiamarlo per nome e per lui, quel nome, significava
letteralmente una profonda pugnalata al petto: sentirsi chiamare Luigi, infatti, gli ricordava di non essere conscio del fatto che quello fosse proprio il suo nome.
Girava per i corridoi su una sedia a rotelle cercando di ricordare quella storia che gli era stata descritta dai sanitari più e più volte: alle 14:57 di un 28 agosto quasi autunnale, Luigi era caduto a terra: Luigi era scomparso per sempre.
Purtroppo, però, quella storia, per lui, era solamente una triste storia raccontata da qualcuno e non la sua triste storia; la sua storia triste, anzi, angosciosa, era non sapere nulla di tutto ciò, non sapere chi fosse, non sapere d'esistere e d'essere esistito per 36 anni.
I giorni passavano e la condizione psicologica di Luigi si aggravava sempre di più; così, su decisione dei Grandi Capi, si decise di chiedere un consulto, ed eventualmente una cura, alla dottoressa Annalisa Zigli, famosissima perché specializzata proprio in casi disperati come questo.
Lei arrivò in ospedale la mattina del 15 novembre; fuori pioveva, forte, e quella tempesta sembrava spaventare anche i più coraggiosi.
Mentre fuori imperversava la bufera, il futuro di Luigi cambiò: in quel momento una donna coperta dal cappuccio della giacca e priva d'ombrello varcò la soglia dell'ospedale Santa Marta, e, strano ma vero, completamente asciutta come in una giornata di sole o forse bagnata un po' sulla punta delle scarpe, si fermò a guardare Luigi che la fissava seduto sulla sua sedia a rotelle. Appena l'infermiere che si trovava dietro Luigi le fece capire con un cenno che il paziente per cui era stata convocata era di fronte a lei, essa esclamò: "Signore, fuori sta piovendo a dirotto e tutti hanno paura di bagnarsi; non le sembra una giornata perfetta per una bella doccia calda?".
Luigi rimase interdetto da questo discorso privo di ogni senso logico apparente, e, un poco tremante, asserì: "La mamma diceva sempre a Luigi di fare una doccia calda nei giorni di pioggia come questo".
Da allora Luigi cominciò a rivivere la sua vita; aveva iniziato a parlare con la dottoressa anche per un'ora di fila facendo discorsi sensati e progressi, enormi progressi, iniziando a ricordare l'incidente e a raccontarlo più volte al giorno per paura di dimenticarlo di nuovo.
La sera del 29 dicembre ci fu la svolta: in camera di Luigi c'era la radio accesa e sintonizzata su una noiosissima stazione le cui chiacchiere aiutavano Luigi a prendere sonno. Quella sera, però, venne letta una poesia in memoria dei due soldati italiani morti quel giorno perché nel luogo sbagliato al momento sbagliato: i due giovani militari si trovavano in un supermercato vicino alla caserma a fare la spesa per quel 31 dicembre da passare in licenza, o con la famiglia o a fare baldoria come tanti altri giovani, quando un ragazzo più giovane di loro era entrato per rubare pochi spiccioli e, vedendoli in divisa, gli aveva sparato a sangue freddo ancor prima che potessero accorgersi di ciò che succedeva intorno a loro. Uno era morto sul colpo mentre l'altro, portato via dall'ambulanza mentre l'uomo dall'arma infernale veniva arrestato poco lontano, era deceduto durante il tragitto.
Due giovani che erano tornati vivi dalla guerra da poco più di una settimana, erano morti tra le file di un supermercato semivuoto perché semplicemente colpevoli di indossare la propria divisa; purtroppo tra gli essere umani succede anche questo.
Ebbene, quella sera, alla radio, oltre al solito minuto di silenzio a cui nessuno, ormai, in nessun luogo e in nessuna circostanza, dà più importanza, era stata letta la poesia "Solati" di Ungaretti; giunti alla fine della lettura, in quell'attimo di silenzio che si crea tra la fine di un'opera d'arte e il ritorno alla vita comune, il cervello di Luigi si era rivoluzionato, ed egli, preso dall'euforia, aveva gridato: "poetaaa, Luigi è poetaaa, le foglie, le foglie, le foglie e gli alberi, poetaaa".
Quella sera i sanitari furono costretti addirittura a sedare Luigi che sembrava essere diventato pazzo di colpo, così, dopo i pochi versi di una straziante poesia.
Il giorno seguente, invece, la dottoressa, interpellata sul caso, fu meno propensa a pensare al raggiungimento di uno stadio irrecuperabile di pazzia come era stato fatto la sera precedente ma, piuttosto, pensò ad uno stadio avanzato di guarigione e mera realtà, la realtà di Luigi; e fu proprio così.
Fece una breve ricerca su internet e ciò che saltò subito fuori fu incredibile, forse anche per lei: Luigi Mastrocchi, per gli amici Mastro, era un poeta, un vero poeta, aveva pubblicato già 3 raccolte di poesie e un romanzo, un vero poeta che in Italia faceva il postino.
Eh si, il suo posto nella società, quello riconosciuto dai più e dai burocrati che fanno i conti e le analisi sociali, era quello, fare il postino, un postino che nel tempo libero amava dilettarsi in scrittura e cercare di riassumere sentimenti ed emozioni indescrivibili con un penna e un pezzo di carta.
Una delle prime poesie che la dottoressa lesse a Luigi lo fece addirittura piangere; egli, in quel momento, si ricordava di averla pensata e poi scritta, si ricordava d'essere lui, lui, il Luigi postino e poeta.
Il testo diceva così:

<< Afferra una Stella dal
cielo infinito
e domanda:
" Perché la bellezza è tanto lontana?".

Mi spiace,
poeta,
bellezza è soltanto
aspettativa e
finzione.>>

Il Luigi Mastrocchi, postino e poeta, era tornato e forse anche più poetico di prima.
Fu un Capodanno INDIMENTICABILE, davvero INDIMENTICABILE.

Ed ora volevo rivivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora