Capitolo 4

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Presi in mano l'uniforme color grigio tortora che aveva sulle maniche lo stesso simbolo che Ness portava al collo e che era inciso sull'anello di mia madre. 

I due gemelli uscirono dalla stanza, dicendo di voler "esplorare" il piano. Approfittai del momento per chiudermi in bagno a cambiarmi, mentre Ness faceva lo stesso sul letto. Il bagno era fatto quasi totalmente di pietra e legno, fatta eccezione per la vasca e il lavello, che a prima vista sembravano di ottone e uno specchio di modeste dimensioni. Mi specchiai, ispezionando in modo più accurato il mio taglio di capelli: ero più credibile di quanto credessi in vesti di bambino; ovviamente gli occhi e i lineamenti erano decisamente troppo dolci per un temibile guerriero, ma essendo ancora un bambinetto ci sarebbero passati sopra.

E quando crescerai? A tutti cambierà la voce, diventerà più cupa, crescerà la barba e diventeranno alti e muscolosi, mentre le tue forme si addolciranno, ti crescerà il seno e i fianchi si allargheranno, la voce diventerà armoniosa. Cosa farai?

"Ehi Ares, tutto okay là dentro? Ti serve una mano con qualche fibbia?" sentii la voce di Ness da fuori la porta, che per la prima volta mi parlava in modo quasi... affettuoso.

"No no, grazie, ho quasi fatto" mi affrettai a rispondere togliendomi i miei vestiti per indossare l'uniforme.

Presi i miei vestiti e li piegai con cura, appoggiandoli poi su uno scaffale di legno. 

Uscii dal bagno, sistemandomi il ciuffo corvino di capelli che mi cadeva sul viso. Stavo camminando verso il letto quando Ness mi fermò: "Aspetta! Questa cintura non è allacciata bene!" disse abbassandosi all'altezza della mia coscia destra. Da dietro la gamba prese il laccio di cuoio che penzolava e lo fece girare due volte intorno alla coscia, stringendolo con la fibbia.

Poi si alzò e guardandomi negli occhi mi disse "Certo che sei gracilino eh mocciosetto"

I suoi occhi erano del colore del ghiaccio. Da vicino erano ancora più chiari di come mi erano sembrati in precedenza. Sarebbero sembrati gli occhi di un fantasma, se non fosse stato per la pupilla, che si ingrandiva sempre di più.

Il mio respiro divenne affannoso. Il cuore batteva come facesse una danza frettolosa nel mio petto.

"Ares io..." disse.

"N-ness?" risposi con voce strozzata.

Improvvisamente, la sua espressione cambiò e le pupille tornarono alla loro dimensione naturale.

"Dobbiamo scendere" disse con freddezza e distanza.

Io non sapevo bene che cosa dire. Ero immobile, con i brividi lungo tutta la schiena per come mi aveva guardata.

Andò verso la porta, la aprì e mi guardò.

"Se il signorino si volesse degnare di muoversi... senza fretta eh" mi prese in giro.

Uscii dalla porta, seguita da Ness, che con la sua chiave chiuse la serratura della porta. Vedendo che lo fissavo, si giustificò: "Nessuno di noi ha cose preziose da rubare, ma non puoi immaginare come mi dia fastidio quando gli altri frugano nelle mie cose"

Annuii semplicemente, incapace di dire una sola parola. O magari ci sarei riuscita, ma non sono sicura che avrebbe avuto molto senso. La mia testa era un uragano di pensieri frettolosi che si intrecciavano disordinatamente, creando uno strano gomitolo logico.

Mi limitai a seguirlo per i corridoi della Rocca in silenzio. 

Qualcosa in quel ragazzo mi intimidiva, mi faceva sentire in soggezione. Non sapevo spiegarmi quella sensazione, ma anche mentre camminava, mentre si destreggiava tra quei corridoi, teneva la schiena dritta, non si guardava mai indietro. Non saprei dire cosa avesse in testa, forse aveva davvero un animo così forte e superiore come cercava di dimostrare, o forse era solo pieno di sè. Ovviamente, logisticamente parlando, a un tipetto come me sarebbe stato utile un amico come Ness, anche se dubitavo che potesse provare sentimenti per qualunque cosa o persona.

"Smettila di fissarmi moccioso, sembri stupido" disse senza nemmeno girarsi a guardarmi.

"Ti preferisco dolce e premuroso, sai?" controbattei.

Rise.

"Peccato che i nemici non si sconfiggono con carezze e complimenti" disse.

"Ma io non sono un nemico da combattere" risposi seccata.

"I nemici non sono solo sul campo di battaglia. Ci sono tutti i giorni. Chiunque cerchi di indebolirti o ti tolga la libertà è da considerare nemico"

"Ma io non..." fui interrotta da passi veloci che venivano dal fondo del corridoio, seguiti da una voce roca.

"Cosa ci fate in giro per i corridoi? Il Capitano vi starà cercando! Andate subito nel cortile interno ragazzini" disse la voce.

Dal fondo del corridoio apparì un uomo alto e molto magro, con i capelli grigi e lunghi, le unghie sporche e i vestiti malridotti. Dalla chioma cinerea spuntavano due lunghe orecchie a punta.

"Cosa sei tu?" urlai terrorizzata.

"E' un elfo. Strano, credevo vi foste estinti" disse Ness, con la sua spavalderia.

"Io sono Fairen, custode dell'ala est della Rocca. In realtà, io sono un mezzelfo e sì, la mia razza si è quasi estinta. Ma ora non state qui a cincischiare, andate" disse l'essere.

Ness mi prese il polso e mi trascinò giù per le scale.

Aprendo una porta pesante, ci trovammo nel cortile interno, dove tutti gli altri cadetti erano già ordinatamente in fila. Noi due ci sistemammo al fondo, sperando che nessuno ci notasse troppo.

Mentre il Capitano parlava, guardai il polso che Ness aveva stretto per riuscire a tirarmi e farmi correre più velocemente: era rosso e livido, entro un ora sarebbe diventato di un malsano color bluastro. La presa di Ness era estremamente forte e si vedeva che non aveva nemmeno lontanamente pensato al fatto che potesse farmi male.

Lui nemmeno mi guardava.

E mai mi avrebbe davvero vista per quella che sono davvero.

Questo forse era più doloroso di tutto il resto.

La voce del capitano risuonava nel cortile come un'amara cantilena, che pur avendola sentita solo una volta, mi dava già il voltastomaco. 

Non so se durò ore o fu solo una mia impressione.

Silenzio.

Una fitta al cuore.

Sentivo il panico scorrermi nelle vene, ghiacciato e pesante.

Ness mi aveva preso il braccio, e lo teneva, ma questa volta senza nemmeno un filo di violenza o di forza. Più che altro, si teneva a me, come se stesse per cadere.

Piangeva.

In modo silenzioso.

Ma piangeva.

"Che razza di stupidi..." sussurrò.



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