Freddo.
Ormai sentivo solo quello.
Un gelo che arrivava fin dentro alle ossa, che ghiacciava il poco sangue che mi era rimasto.
Sulla pelle sentivo la neve, prima soffice e candida, poi fangosa e scarlatta, una macabra melma.
Avevo visto per anni uomini innocenti perdere la vita per sciocchezze e sapevo di non essere diversa; anche molto presto sarei morta, era destino. Ma certo, non avrei mai pensato di morire in ciò da cui tutto era iniziato: la neve.
Rimasi minuti che mi sembrarono ore, o forse lo erano davvero, a ripensare a quanto poco avevo fatto nella mia vita, ma poi divenne troppo faticoso anche quello.
Passai i miei ultimi istanti in quel mondo orribile e crudele osservando i fiocchi freddi che cadevano dal cielo, che come uomini venivano sulla terra destinati a scomparire. E quando l'ultimo fiocco si sciolse sul mio petto, io me ne andai con lui.
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Avevo cinque anni quando mio padre cadde in battaglia insieme a altri migliaia di uomini nella battaglia del Vulcano. In città si era scatenato il panico: dopo anni di guerra contro i Teki ne avevamo persi di uomini, ma mai così tanti, tutti insieme.
Ormai anche i più forti d'animo vacillavano davanti a una simile sconfitta.
Inoltre, il popolo viveva nella povertà: solo i più ricchi potevano permettersi di mangiare tutti i giorni e naturalmente, la mia famiglia non era tra loro. Vivevamo dei pochi prodotti del nostro orto e dei soldi che mia madre guadagnava facendo la lavandaia, ma ovviamente non bastavano per mantenere me e mio fratello.
Lui, Alexander, si sarebbe arruolato nel giro di un anno, per seguire le orme di nostro padre e morire in battaglia. Per me invece l'unica possibilità era sposarmi, ma non avevo una dote. Sarei rimasta con mia madre a lavorare, forse per sempre.
Però, dopo quel giorno, ogni certezza si volatilizzò.
Quando i soldati avvisarono mia madre della morte di mio padre, lei rimase chiusa in casa per giorni, senza dire una parola, con gli occhi pieni di dolore.
Dopo tre giorni di silenzio, mia madre mi chiamò.
Corsi da lei, pregandola di parlarmi, di non lasciare me e Alex soli. Lei mi guardò, prese il mio braccio e con l'altra mano afferrò l'impugnatura delle forbici da sarta.
Il cuore cominciò a fremere e la pregavo di fermarsi, ma lei disse solo "Scusami, Lija, figlia mia"
Per la prima volta nella mia vita, mi preparai a morire.
Lei però spostò la mano dal mio braccio e prese i miei lunghi capelli neri e con un colpo di forbici, li tagliò. Ero immobilizzata dalla paura e anche quando prese la lama da barba di mio padre, non mi mossi.
Sentivo il gelo della lama bagnata sulla mia nuca e le ciocche corvine cadevano leggere sul pavimento.
Piangevo.
Perché questo? Non avrebbe guadagnato molto vendendo i miei capelli al parrucchiere.
Mia madre si alzò dalla sedia, prese il suo specchio e me lo mise tra le mani: guardai il mio viso, mai cambiato per anni, contornato da un taglio militare, rasato sulla nuca e intorno alle orecchie, con ciuffi un po' più lunghi che cadevano sul viso.
"Assomigli tanto a tuo padre" disse lei piangendo.
In quel momento, irruppe in casa mio fratello annunciando: "Stanno arrivando i carri per..." si bloccò appena mi vide.
"E lui chi è?" chiese, ma mia madre non si curò di lui, si tolse la fede dall'anulare, la mise nelle mie mani e disse: "Lija, amore mio, non parlare con nessuno di ciò che è appena successo, fai il tuo dovere senza disubbidire, non farti scoprire, ma soprattutto, resta viva"
Lei piangeva.
Io ero confusa.
Non capivo cosa stesse succedendo, o meglio, lo capivo, ma mi rifiutavo di accettarlo.
Alex mi prese per mano e mi portò fuori, dove un carro dell'esercito trainato da due cavalli neri attendeva. Salimmo insieme, mentre io urlavo a mia madre disperatamente.
Lei, chiuse la porta, asciugandosi le lacrime. Mi aveva abbandonata a un destino disumano, che io non avevo nemmeno potuto scegliere. Il mio cuore bruciava di ira. Non avevo mai provato odio per nessuno fino ad allora.
Un uomo alto e calvo, con una divisa della fanteria e una pergamena in mano si alzò e disse: "Dite i vostri nomi cadetti!"
"Alexander" disse mio fratello fremendo e l'uomo appuntò. Poi mi guardò con sguardo gelido e chiese: "E tu? Di' il tuo nome! Te lo ordino!"
"Ares" dissi.
"Mi chiamo Ares"
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Eirlys - La neve
FantasyPer anni le persone hanno combattuto per la ricchezza o la terra. Gli uomini si arruolavano all'esercito, pronti a morire per questi ideali. Ma io, io ero diversa, lo sapevano tutti. Non avrei mai combattuto come tutti gli altri. La fortuna volle ch...