Capitolo 4 ¤Addio Fanní_parte 2¤

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La lama che teneva Fanní riflette il mio volto sfigurato dal pianto mentre me la rigiro tra le mani. Non sono mai stata un bello spettacolo, ma ora più che mai,con gli occhi arrossati e gonfi dal pianto e un'espressione da cane depresso e bastonato.

Edna,la guaritrice del villaggio,esce dalla porta strofinandosi le mani piccole e gonfie in un fazzoletto stropicciato e scolorito dai molteplici lavaggi. Prima sono corsa qui al villaggio per chiederle aiuto,e vedendomi in quello stato mi ha subito seguita per vedere cosa si poteva fare. Per mia sorella,ormai,il destino era segnato,mentre per il ragazzo c'era un barlume di speranza;così l'abbiamo portato al villaggio su un carretto per aiutarlo. Ora che è appena uscita noto la sua faccia soddisfatta
<Of,quel ragazzo se l'è vista brutta:ancora poco e sarebbe morto. Ma ce l'ho fatta e l'ho salvato,sono stata brava o no?>
<Si...ma avrei preferito che si salvasse Fanní.>rispondo
<Lo immagino,ma vedrai che anche lui sarà tuo amico>replica Edna sorridendo con la sua piccola bocca sottile. Le rivolgo un'occhiata bieca e lei alza le mani al cielo
<Va bene,la smetto> mormora piano guardando a terra.
<Piuttosto,se vieni dentro ti mostro come sistemare i bendaggi> propone
Le rispondo con un fiacco sorriso vuoto<Dimentichi che sei stata tu ad insegnarmi questo,tempo fa>
<È vero!Che sbadata!> conclude ilare la donna paffuta battendosi la fronte con un palmo.
<Beh allora vado,sai già tutto.> finisce rinettendosi in spalla la sua bisaccia di tela e tornando dove gli altri malati la aspettavano.
<Chiamami se hai bisogno> la sento dire allontanandosi.

Ritorno in casa e trovo il ragazzo steso sul letto con Potty a fianco,e appena il cane mi vede mi salta addosso innondandomi di pelo,feste e leccate sulle mani.
<Sta' buono>gli dico<Non è momento>
Potty non mi ascolta e continua a farmi le feste,e per farlo calmare sono costretta a prenderlo in braccio.

Mi siedo su uno sgabello vicino al letto.
Il ragazzo ha i capelli neri e folti e il viso contratto in una smorfia di dolore, una corporatura solida e un'enorme fasciatura che occupa gran parte del suo fianco.
Rimango lì,sullo sgabello,a ripensare alla giornata,col cane sulle ginocchia.
Chissà come si chiama il ragazzo. So che è una domanda stupida perché appena potrà prenderà la porta senza neanche salutare o ringraziare,però...
Mi è sempre sembrato che i nomi e le parole dessero un colore alle cose,che definissero una particolare qualità di una cosa,e per questo fossero un'arma molto potente;che può fare sia del male che del bene.
Magari se sapessi il suo nome riuscirei a capire di più chi è lui.
È ormai arrivato il tramonto,che col suo color sangue cancella l'azzurro del cielo diurno e porta il nero notturno;ed è con questi pensieri che,dopo aver cambiato le bende al ragazzo,mi vado a sedere sul davanzale.
Agli ultimi raggi del sole osservo la mia immagine riflessa nel vetro,e anche se sono sfigurata,riesco comunque a scorgere i miei tratti. Su un viso ovale spiccano due occhi celesti sovrastati da due sopracciglia che li fanno sembrare tristi e arrabbiati,uno dei quali semicoperto da un ciuffo di capelli lunghi fino alle scapole,e due labbra piegate all'ingiù dal peso della giornata. Porto un ginocchio al petto,lasciando l'altra gamba distesa. Rivolgo uno sguardo al villaggio che ha già acceso le lanterne e chiuso le porte: è infatti arrivata la sera,che con le sue pennellate annoiate comincia a tingere il cielo di scuro.
Rimango lí a godermi l'aria frizzantina della sera,ma poco dopo Morfeo mi prende tra le sue braccia e incomincio a dormire.

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