Who?

15 2 0
                                    


Finalmente si cominciava. Avevo il mio palco scenico. Il mio pubblico. La tensione mi lasciò, dando spazio a quella sensazione di pace che il silenzio creava attorno a me. Potevo stare tranquilla, senza risentire quel peso addosso. Adesso se mi fissavano c'era un motivo diverso dalla mia anomalia. Certo, nessuno aveva ancora scoperto niente, in aula. Oltre il professor Foster, nessuno aveva ancora avuto occasione di accorgersene.
È un magnifico spettacolo, Grace. Aveva detto. Non dubitare dei ragazzi. Sono convinto che molti dei miei studenti realizzeranno particolari di te che ti lasceranno a bocca aperta.
Volevo con tutta me stessa che fosse vero. Avrei voluto affidarmi completamente alle sue parole. Per qualche motivo però non ci riuscivo. Mi sentivo insicura, come se tutto quello che nei mesi precedenti avevo costruito potesse crollare da un momento all'altro. E se non piacesse? Se questa volta non si sforzassero di cercare il bello in quel disastro? Dovevo calmarmi. Dovevo pensare ad altro.
"ascoltate- la voce del professore mi distolse da tutte quelle domande- sono sicuro che a Grace non dispiacerà se qualcuno di voi dovesse avvicinarsi per copiare bene un particolare, o per osservare semplicemente com'è fatto un dettaglio." Annuii impercettibilmente, ringraziando mentalmente il professore per la distrazione.
"non siate timidi, vi prego- mi riuscì di dire- sono soltanto un'oggetto. Sono lo spunto per il vostro estro. Nient'altro." O almeno... era così che mi sentivo e come... volevo mi considerassero tutti loro. Sentii un fruscio goffo tra gli sgabelli e, poco dopo, il viso di una ragazza mi comparve di fronte. Sorrisi leggermente alla sua vista, nella mia posizione era difficile non far altro che rimanere immobile.
"ciao" mormorò, timida. Aveva un pennino in mano, la tavoletta con la pergamena sorretta dall'altro braccio.
La vidi inclinare la testa di lato, fissarmi concentrata il viso. Il pennino toccò la carta e dovetti fare un grande sforzo per non abbassare lo sguardo e sbirciare.
"ti ringrazio" la sentii dire mentre tornava al suo posto. Il professor Foster girava tra gli sgabelli, dando piccoli suggerimenti qua e là, guardando verso di me ogni tanto. Mi mancava disegnare. Dal mio diploma mi ero concentrata su altro. Il disegno era stato uno sfogo, una via di fuga. Non l'avevo mai considerato altro. Invece ora, guardando tutte quelle matite scorrere sui fogli, le mie dita fremevano, impazienti di stringere di nuovo la grafite.
La campanella della prima ora suonò, dandomi il permesso di muovermi. Mi misi seduta, allungando le gambe e afferrandomi le caviglie, per allungare la schiena. Era faticoso stare in quella dannata posa per così tanto tempo. Devo riconoscere, però, che chiunque mi aveva fermato, doveva avere un occhio abituato al bello e al sensuale. Ora mi restava solo da capire chi fosse. Scesi dal palchetto, facendo qualche passo per sgranchirmi e approfittandone per ruotare i polsi indolenziti.
"tanto per sapere-dissi nel brusio generale- chi mi ha messa in quella posa?" tante paia di occhi mi osservavano, senza che nessuno aprisse bocca. "che sia un ragazzo mi è chiaro e capisco anche perché a qualcuno di voi possa piacere una posa del genere, ma sono curiosa"
"sono stato io" mi voltai, ansiosa di capire chi fosse il mio magnate, facendo scorrere piano lo sguardo fino ad incontrare un ragazzo abbastanza alto, non troppo muscoloso, con i capelli biondo miele e l'espressione segnata da un sorriso storto. Teneva un braccio sullo stomaco, come le avesse avute entrambe incrociate prima di alzare la mano.

***

Non riuscivo a capacitarmi di come la modella potesse tenere quella posa per cotanto tempo. Immaginavo dovesse essere piuttosto dolorosa da mantenere e di non indifferente sforzo, perché dopo la prima mezz'ora i muscoli del braccio con cui si sorreggeva avevano cominciato a vibrare. Era un tremolio dapprima impercettibile, che poi si era trasformato in violente scosse, segnando la stanchezza. Rimasi immobile, con la matita sospesa, cercando di immaginarmi l'espressione contratta del viso di lei, in un senso di sofferenza faticoso. Poi era suonata la campana, permettendole una piccola pausa. Così si era mossa, mettendosi seduta, stirando gli arti contratti a lungo. Restai a guardarla, inebetito, senza poter distogliere lo sguardo da quel corpo velato dalla giacca da camera. Perché se l'era rimessa? Aveva una pelle così bella...Poi la sua voce risuonò nell'aula, zittendo il mormorio generale.
"...chi mi ha messa in quella posa?" chissà perché non mi stupii di tale domanda. Aveva l'aria di una a cui piaceva capire il perché delle cose.
Quando Bobbie rispose, la ragazza fece qualche passo verso di noi, fermandosi a un metro dall'interessato. Era scalza, con i piedi che toccavano il parquet liscio dell'aula.
"come ti chiami?" chiese di nuovo lei, piegando un po' la testa di lato, mentre i capelli le coprivano gran parte del viso.
Bobbie esitò, ma poi sorrise, facendo un passo verso di lei.
"Bobbie, Bobbie Hoffman" disse, sicuro di sé, sempre con le braccia incrociate, in una mano la matita.
"bene, Bobbie. Io voglio sapere perché mi hai fermata in quella posa." La domanda celava un tono perentorio, suonava quasi come un ordine. Lo sguardo di lei era penetrante, curioso e deciso.
Bobbie non aveva una giustificazione per quella scelta. Gli si leggeva in faccia che c'era tutto tranne il senso artistico nella sua scelta.
"beh... ecco.. hai una schiena così bella.. -la ragazza della 121 continuò a guardarlo, dritto negli occhi- mi piace come si.. tendono i tuoi muscoli in... quella torsione" Bobbie cercava di trovare delle ragioni che venissero dal proprio intelletto e non dai più bassi istinti, finendo per balbettare un elenco di motivazioni che avrebbe saputo esaltare chiunque. La modella sembrò riflettere qualche secondo sulle parole del mio amico, distogliendo momentaneamente lo sguardo dai suoi occhi. Poi tornò su di lui:
"ecco, queste le posso accettare come motivazioni. Sai... il mi piace la tua schiena poteva risultare equivoco, senza una giustificazione adatta."
Per la prima volta da che lo conoscevo, vidi Bobbie arrossire. Da parte mia malcelai un sorrisetto di soddisfazione, cercando di tenere la testa bassa, perché non si notasse.

La campanella suonò di nuovo e la ragazza tornò verso il palchetto, cercando di replicare la posa. "ascoltate- disse con fermezza- non posso ricordare esattamente la posizione di poco fa. Quindi.. chiunque di voi se la senta, venga qui e sistemi ciò che non va"
Alzai lo sguardo, leggermente stupito. Una ragazza domandò con molta timidezza se ciò significasse che chiunque di noi avrebbe dovuto spostarla fisicamente da una posizione a quella più corretta. "Toccatemi. Non vergognatevi. Lo ripeto. Per voi, qui, io sono soltanto un oggetto."
Per qualche motivo, considerarla come un oggetto, suscitò in me un senso strano d'incongruenza, come di una cosa sbagliata.. come un atto sacrilego nei confronti di qualcosa di purissimo. Pensare che chiunque potesse toccarla senza curarsene troppo, senza riservarle la giusta premura, mi infastidì. Non so che cosa mi prese. So solo che i miei piedi si mossero, portandomi fino al palchetto, come sotto ipnosi.
Sentivo sulle spalle lo sguardo dei compagni, degli altri ragazzi, che probabilmente avrebbero voluto precedermi.
Non dissi nulla, tanto meno cercai il suo sguardo. Cercai soltanto di passarle ciò che sentivo attraverso il mio tocco. Con delicatezza le spostai una gamba, in modo che la piegasse di più verso di sé, adagiandole con cura il piede sul panneggio. Diedi un'occhiata al mio disegno, notando un altro piccolo errore nella posa d'ora. Quasi trattenendo il respiro, mi avvicinai di nuovo a lei. Questa volta risultava più complicato modellare la posa. Era la torsione del busto a non essere corretta. Con il cuore che mi martellava nel petto e nelle orecchie, feci aderire le mani sulla vita della ragazza, applicando una leggera pressione da un lato, mentre accompagnavo il movimento corretto del busto con l'altra mano. La modella torse maggiormente il busto e, mentre facevo scivolare via le mani dalla sua pelle, mi parve di sentire il dilatarsi improvviso della sua casa toracica, come s'avesse fatto un respiro profondo, finalmente completo. Un po' stupito e con la testa leggera, tornai al mio sgabello, con ancora sulle mani la sensazione carezzevole della sue pelle a contatto con la mia.


A Girl I KnowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora